Meditazioni notturne
Il Regolamento n. 95/7 CEE del Consiglio del 10/04/1995 di semplificazione, recepito dalla Legge n. 28 del 18/02/97 ha contemporaneamente modificato l’art. 67 del Decreto IVA ed introdotto l’art. 50 bis nel D.L. 331/93 convertito dalla Legge n. 427/93.
Esso, allo scopo di parificare la merce terza a quella comunitaria, ha espulso dall’art. 67[1], ove sono elencate le importazioni ai fini IVA, le immissioni in libera pratica di beni di provenienza terza destinata ad essere introdotta in deposito IVA, per inserirle, invece, al comma 4 lettera b) del Decreto n. 331/93, che contiene, tra l’altro, norme di armonizzazione in materia di IVA interna con quelle recate dalla VI Direttiva CEE (l’IVA è un’imposta armonizzata).
Introdotte nel deposito IVA, le merci restano in sospensione dell’imposta sul valore aggiunto, che si renderà, poi, dovuta all’estrazione soltanto qualora vengano immesse in consumo nel territorio nazionale ovvero, non dovuta, invece (perché non imponibili o non soggette), qualora siano destinate all’esportazione – art. 8 Dpr 633/72 – ovvero cedute ad un soggetto comunitario – art. 41 D.L. 331/93.
Il Regolamento di cui si tratta ricalca il disposto della VI Direttiva CEE (IVA) n. 2006/112/CE del 28/11/2006 che, all’art. 157, 1° paragrafo lettera a), espressamente consente agli Stati membri di “esentare “le importazioni”[2] di beni destinati ad essere vincolati ad un regime di deposito diverso da quello doganale”.
L’immissione in libera pratica di beni destinati all’introduzione in deposito IVA non costituisce, pertanto, una destinazione doganale, come definita dal Codice doganale comunitario, che considera tale, invece, il vincolo della merce ad un regime doganale[3] .
L’esenzione concessa dalla norma comunitaria è stata recepita in modo diverso dai vari Stati appartenenti alla Comunità, tra i quali alcuni (come l’Olanda) non l’hanno sempre subordinata all’introduzione in un luogo fisico, come nel caso della “Administrative VAT warehouse”, che si contraddistingue per l’assenza di spazi fisici predeterminati entro cui custodire le merci[4].
L’Italia consente che siano adibiti a depositi IVA sempre e soltanto luoghi fisici. Ciò, sia nel caso dei depositi cosiddetti istituzionali (indicati al primo comma dell’art. 50 bis), che sono sottoposti al controllo dell’Agenzia delle Dogane, sia nel caso di quelli appositamente autorizzati, il cui controllo è demandato all’Agenzia delle Entrate.
Ovvero, in entrambi i casi, alla Guardia di Finanza.
Altri Stati comunitari hanno adottato sistemi analoghi a quelli previsti dall’Italia, ovvero intermedi, a seconda delle esigenze e della struttura doganale di base di ciascuno di Essi.
E’ necessario, pertanto, secondo il “sistema italiano”, disciplinato dall’art. 50 bis del D.L. 331/93, perché le immissioni in libera pratica in questione siano esentate, che la merce ad essa relativa venga introdotta nel deposito IVA.
E’, perciò, determinante, nella soluzione del caso in specie, definire con la massima precisione il concetto di introduzione.
Sul punto la legge n. 2 del 28 gennaio 2009 all’art. 16 comma 5 bis, che è norma di interpretazione autentica e, pertanto, con valenza retroattiva, e perciò applicabile anche ad operazioni effettuate prima della sua entrata in vigore, costituisce una linea di demarcazione tra il concetto di introduzione prima della sua approvazione e quello, a valere retroattivamente, dalla data di approvazione in avanti.
Prima dell’approvazione di quella legge l’introduzione si riteneva realizzata alla condizione che l’automezzo entrasse fisicamente nel deposito, senza la necessità di un tempo minimo di sosta e senza che le merci ne fossero materialmente scaricate.
Entrato l’automezzo e, poste in essere le prestazioni di servizi semplici di cui al comma 4, lettera h) dell’art. 50 bis (verifica e rimozione del piombo apposto dalla Dogana, riscontro della regolarità del carico e presa in carico della merce sul registro previsto dal D.M. 419/97), l’introduzione si intendeva verificata e la merce si considerava giacente nel deposito in regime sospensivo.
Nel panorama concettuale e normativo come sopra delineato, interviene l’interpretazione autentica del legislatore.
Per la precisione, l’articolo 16 della legge n. 2\2009 che così recita:
“5-bis. La lettera h) del comma 4 dell’articolo 50-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, si interpreta nel senso che le prestazioni di servizi ivi indicate, relative a beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA.
Essa è senza dubbio norma di interpretazione autentica, e quindi ha piena efficacia retroattiva.
L’effettuazione materiale delle indicate prestazioni di servizi può avvenire anche al di fuori dei locali (o delle linee di demarcazione) del deposito IVA, purché esse avvengano “nei locali limitrofi”, ossia, in genere, negli altri spazi a disposizione del depositario che non godano dello status di deposito IVA.
La ratio della norma, che si ricava esplicitamente dalla rubrica dell’art. 16, denominato “Riduzione dei costi amministrativi a carico delle imprese”, e in senso ancor più ampio dalla linea di indirizzo che sorregge l’intero provvedimento legislativo, è tesa a fronteggiare con misure innovative l’attuale eccezionale stato di crisi.
Sembra evidente che la novità sposta ancor più l’accento sull’attività del depositario, la cui maggiore “libertà di manovra” è da ritenersi compensata dall’immediata presenza a suo carico di tutti gli obblighi e responsabilità, sia civili che fiscali, del consegnatario (o depositario).
Il dato testuale definisce “introduzione” a tutti gli effetti le prestazioni di servizi relative a merce consegnata al depositario negli spazi indicati, ovviamente sempre se vengano al contempo adempiute tutte le formalità prescritte dall’art 3 D.M. 419/97.
gianni gargano
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[1] l’art. 67 del DPR 633/72
– fino al 31.12.1992, definiva “importazioni definitive“, agli effetti dell’IVA, le operazioni considerate tali anche dalle norme doganali.
Esso recitava testualmente: “costituiscono importazioni, da chiunque siano effettuate, le operazioni considerate importazioni definitive ai sensi delle norme doganali…….……….”;
– dal 1° gennaio 1993, con l’abbattimento delle barriere doganali, la norma è stata completamente riscritta nel seguente modo:
“Costituiscono importazioni le seguenti operazioni aventi per oggetto beni introdotti nel territorio dello Stato, che siano originari da paesi o territori non compresi nel territorio della Comunità e che non siano stati già immessi in libera pratica in altro paese membro della Comunità medesima…..omissis…:
a) le operazioni di immissione in libera pratica, con sospensione del pagamento dell’imposta, qualora si tratti di beni destinati a proseguire verso altro stato membro della Comunità Economica Europea, ovvero ad essere immessi in un deposito non doganale autorizzato”;
– dal 14/03/1997, data di entrata in vigore della Legge 28/97 (testo vigente alla data delle immissioni in libera pratica in commento:
“Costituiscono importazioni le seguenti operazioni aventi per oggetto beni introdotti nel territorio dello Stato, che siano originari da paesi o territori non compresi nel territorio della Comunità e che non siano stati già immessi in libera pratica in altro paese membro della Comunità medesima…..omissis…:
a) le operazioni di immissione in libera pratica, con sospensione del pagamento dell’imposta qualora si tratti di beni destinati a proseguire verso altro Stato membro della Comunità economica europea.
[2] Sul concetto di immissione in libera pratica vedi articolo 79 cdc
[3] Art. 4 – punto 15 – del CDC: “Ai fini del presente codice si intende per destinazione doganale di una merce: a) il vincolo della merce ad un regime doganale”
[4] “TAXUD/C/3/ID D (2003), 27 October 2003”
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