Il bunker

Non vi è alcun dubbio che l’istituto del deposito Iva sta creando difficoltà operative non più sopportabili dal sistema economico.

Esso nasce nel 1997.

Contemporaneamente in tutti i Paesi UE.

Allo scopo di dare attuazione ad una direttiva comunitaria di semplificazione che si era prefissa di parificare , ai fini dell’imposta sul valore aggiunto l’ acquisto di beni di provenienza comunitaria (che scontano l’iva con il sistema del reverse charge ) a quello di beni di provenienza “terza”, ma che immessi in libera pratica in Italia abbiano scontato le risorse proprie della comunità (i dazi e le altre tasse di effetto equivalente), divenendo così, di fatto, essi stessi comunitari.

I singoli Stati membri hanno dato pratica applicazione all’istituto in modi diversi.

In Italia i depositi Iva sono disciplinati dall’articolo 50 bis del D.L. 331/93, che subordina la citata parificazione tra gli acquisti intracomunitari ed i beni di provenienza terza immessi in libera pratica, alla condizione che questi ultimi vengano introdotti nel deposito .

Solo se quella condizione sarà osservata sarà anche consentito l’assolvimento dell’Iva col metodo del reverse charge, che, è utile ribadirlo, consente il differimento del computo dell’imposta a debito nel periodo (mensile o trimestrale) nel quale si sarà verificata la cessione del bene.

Così come succede, appunto, in caso di acquisto intracomunitario.

E’ ancora più utile porre l’accento sulla circostanza che, nel caso che ci occupa, il reverse charge è il modo di assolvimento dell’imposta assolutamente obbligatorio, non essendone consentiti altri.

Lo studio compiuto dell’istituto del deposito Iva apre delle prospettive veramente straordinarie alle imprese.

Al di là dell’immissione in libera pratica di beni destinati ad essere introdotti in tali depositi, v’è una concerie di operazioni, tutte connesse al regime di sospensione dell’imposta di cui beneficiano i beni in essi custoditi, del tutto sconosciute ed ignorate dall’Amministrazione stessa, che non si è mai preoccupata di emanare complete istruzioni sul corretto uso dell’istituto volto a migliorare il sistema produttivo delle imprese.

Al contrario, esso è stato demonizzato, perché letto come uno strumento volto a consentire soltanto l’evasione dell’imposta.

Non v’è dubbio che, a lungo dimenticato dalla stessa Amministrazione, i male intenzionati, possano avervi fatto, e farvi ancora, ricorso per evadere l’imposta.

Ma questi male intenzionati (ai quali si fa riferimento solo, per evitare – come si suol dire – strumentalizzazione di controparte) possono utilizzare l’istituto per evadere anche l’iva, come nel caso di sottofatturazione all’immissione in libera pratica (ove si è prima evaso il dazio sul maggior reale valore e, poi, anche l’Iva, ma sempre sul maggior valore).

Sgombrato il campo da questa premessa corre l’obbligo, invece, di soffermarsi sui disastri che questo istituto ha creato e continua a creare agli operatori nazionali di buona fede.

Di quelli cioè che hanno dichiarato la merce in dogana per il giusto valore, alla corretta voce doganale, pagato il giusto dazio, ed introdotto la merce nel deposito Iva.

Che hanno evaso costoro?

Nulla!

Assolutamente nulla!

Parola d’onore!

E allora a che cosa si deve il menzionato disastro?

Al concetto di introduzione!

Sul quale sono state scritte centinaia di pagine e sul quale si sono esercitati tutti, generando una confusione tale che è dovuto intervenire il legislatore per dissolverla.

Egli sperava definitivamente.

E così tutti gli addetti ai lavori.

E così tutti gli operatori corretti (dazio ok, valore ok, iva ok) i quali rimasti impigliati nella resistenza degli interpreti , sono sommersi di inviti a pagare un’imposta che hanno già corrisposto (il reverse charge!), e di avvisi di garanzia emessi per contrabbando, spesso anche aggravato, che tra l’altro non si configura.

Gli scorretti no!

Quelli chi li piglia più!

Mentre scrivo mi sembra di vivere l’incubo di tanti operatori del settore di tutt’Italia.

Dico tutta.

E tutti grandi imprenditori.

Tutti dei grandi Signori.

E’ la nozione di introduzione della merce nel deposito che ha rappresentato l’aspetto più delicato e controverso.

Invero il problema è stato posto esclusivamente nell’ipotesi di immissione in libera pratica di merce destinata all’introduzione in deposito Iva (comma 4, lettera b) dell’articolo 50 bis) e mai nel caso acquisto intracomunitario di beni destinati all’introduzione in tali depositi (comma 4, lettera a)), o inell’ipotesi di beni ceduti a soggetto comunitario eseguite mediante introduzione in deposito Iva (comma 4, lettera c)).

Ma tant’è!

Credo che il fatto sia attribuibile alla circostanza che le maggiori resistenze a cogliere il senso dell’interpretazione letterale della norma siano quelle della Agenzia delle Dogane che, tra l’altro, non riconosce, o stenta a farlo, l‘autonomia concettuale e normativa della particolare immissione in libera pratica in commento (ma l’argomento, sebbene interessante, appare, in questa occasione, fuori tema).

Non v’è alcun dubbio che l’articolo 50 bis è una norma di natura fiscale e che il contratto di deposito sottinteso, rientra, invece, nell’ambito del diritto civile.

E’ sui due aspetti che pertanto occorre soffermarsi, in quanto la norma fiscale, riferendosi a soggetti di diverso valore sociale, non può essere disciplinata dal diritto privato, ma da quello pubblico. Le norme tributarie devono essere certe ed inderogabili.” Esse non hanno mai natura di norme permissive; ma, al contrario, sempre carattere di norme obbligatorie, imperative, inderogabili, alla cui osservanza gli organi dello Stato sono obbligati esattamente come coloro che sono soggetti alla capacità tributaria, e nelle quali sono peraltro inderogabilmente stabiliti tutti gli elementi costitutivi dell’ obbligazione d’imposta” (cfr. Prof. Antonio Pistone “L’Ordinamento tributario – volume I – Lezioni di diritto tributario – Ed. CEDAM – Padova, pagina 41)

Il contratto di deposito, invece, avente natura privatistica, è disciplinato dal codice civile , che non prevede una durata minima. L’articolo 1771 c.c. prevede anzi la normale esigibilità immediata della restituzione. Trattandosi, poi, di cose determinate, il deposito è senza dubbio regolare, e pertanto il depositario è in grado, una volta completata l’introduzione, di conoscere esattamente quali sono le merci ricevute e per le quali ha l’obbligo di custodia e di riconsegna. Ulteriore conseguenza della mancata durata minima è che l’obbligo di custodia può esaurirsi in tempi brevissimi o quasi istantanei: in particolare, è del tutto lecito che la custodia abbia durata pari allo svolgimento delle operazioni contabili di introduzione, che presuppone che il depositario proceda a verificare, e di conseguenza ad annotare nell’apposito registro, il numero e la specie dei colli, la natura, la qualità e la quantità dei beni, il loro valore, il luogo di provenienza e di destinazione dei beni di volta in volta introdotti, oltre naturalmente ad identificare il soggetto per conto del quale l’introduzione dei beni è stata effettuata.

Completate le procedure di introduzione si coglie in tutta evidenza il “ricongiungimento” del profilo civilistico con quello fiscale, in quanto il contratto di deposito è perfezionato, e sul versante tributario sorgono gli effetti tipici della sospensione d’imposta e la garanzia del depositario.

Il successivo momento dell’estrazione fa, di conseguenza, tanto estinguere il contratto di deposito, quanto il regime agevolativo, comportando ex lege l’obbligo del pagamento dell’Iva , col metodo del reverse charge, imposto al comma 6 dellarticolo 50 bis (qualora la merce non venga destinata all’esportazione o a una cessione intracomunitaria).

Il contratto di deposito è causale, nel senso che l’obbligazione di consegnare include sempre anche l’obbligo di custodire (causa custodiae)

La causa è lo scopo immanente, la funzione economico e sociale insita nel negozio stesso, che “non si deve confondere con lo scopo individuale, con l’impulso che induce il soggetto al negozio, cioè con il motivo” (Trabucchi)

Sul concetto di introduzione l’amministrazione ha sostenuto le cose più disparate.

In particolare sono state le Direzioni Regionali ad ingenerare confusione tra gli operatori con le più diverse interpretazioni.

Fermo restando ed indiscusso che la merce (l’automezzo) deve raggiungere il deposito Iva, la stessa Agenzia delle Dogane, ha sostenuto, sin dal 1999, la tesi, quanto meno bizzarra, che l’introduzione si intende verificata con l’ingresso dell’automezzo nel deposito, senza che fosse necessario che le merci ne fossero scaricate.

L’amministrrazione ha sostenuto che le verifiche dell’integrità e rimozione dei sigilli, verifica sommaria del carico e registrazione della partita sul registro di carico e scarico, potessero essere effettuate senza scaricare la merce del camion, purchè l’intero automezzo fosse entrato, anche se per soli pochi minuti, o giù di lì, nel deposito.

Se invece, tali operazioni venivano eseguite negli spazi adiacenti o limitrofi al deposito, ovvero senza che l’automezzo fosse entrato per intero nel deposito, considerava l’introduzione non verificata.

Tale assurda interpretazione, del tutto formale, aveva conseguenze disastrose.

Spostando tra l’altro (cosa gravissima per gli interessi dell’Erario) l’attenzione dalla regolarità dell’operazione ad un fatto formale di nessuna rilevanza fiscale.

Infatti: se un est asiatico importava a 1000, invece che al valore reale di, ad esempio, 10.000, purchè l’automezzo fosse entrato (senza scarico della merce) nel deposito Iva, tutto ok.

Al contrario un italiano, una griffe, un imprenditore che trascina con sofferenza e sacrificio la nostra economia, che dichiara il giusto valore e paga il giusti tributo a Cesare, se il suo automezzo, magari a sua insaputa, pur avendo raggiunto il deposito Iva, vi fosse rimasto con due ruote fuori, veniva messo alla gogna come contrabbandiere.

Nel panorama concettuale e normativo come sopra delineato, interviene l’interpretazione autentica del legislatore.

Per la precisione, l’articolo 16 legge n. 2\2009 recita:

“5-bis. La lettera h) del comma 4 dell’articolo 50-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, si interpreta nel senso che le prestazioni di servizi ivi indicate, relative a beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA.

Essa è senza dubbio norma di interpretazione autentica, e quindi ha piena efficacia retroattiva.

Non cambia l’elenco oggettivo delle prestazioni consentite che restano “le prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali”, quali verifica e rimozione sigillo, verifica sommaria della merce, riscontro con il documento doganale, registrazioni contabili e fiscali, l’acquisizione dell’autofattura o altra documentazione per l’estrazione dal deposito e la consegna all’importatore.

L’effettuazione materiale di tali prestazioni può avvenire anche al di fuori dei locali (o delle linee di demarcazione) del deposito iva, purchè esse avvengano “nei locali limitrofi”, ossia, in genere, negli altri spazi a disposizione del depositario che non godano dello status di deposito iva.

La ratio della norma,che si ricava esplicitamente dalla rubrica dell’art. 16, denominato “Riduzione dei costi amministrativi a carico delle imprese”, e in senso ancor più ampio dalla linea di indirizzo che sorregge l’intero provvedimento legislativo, è tesa a fronteggiare con misure innovative l’attuale eccezionale stato di crisi.

Sembra evidente che la novità sposta ancor più l’accento sull’attività del depositario, la cui maggiore “libertà di manovra” è da ritenersi compensata dall’immediata presenza a suo carico di tutti gli obblighi e responsabilità, sia civili che fiscali, del consegnatario (o depositario).

Il dato testuale definisce “introduzione” a tutti gli effetti le prestazioni di servizi relative a merce consegnata al depositario negli spazi indicati, ovviamente sempre se vengano al contempo adempiute tutte le formalità prescritte dall’art 3 d.m. 419/97.

Già la relazione illustrativa al testo dell’emendamento consegnato al Governo “brevi manu” dall’onorevole Cosimo Ventucci così conferma tutto quanto sin qui esposto:

“ La ragione dell’intervento interpretativo è rappresentata dalla perplessità insorta negli operatori doganali e nell’Amministrazione in ordine alla legittimità di operazioni consistenti in manipolazioni usuali (quali, a titolo esemplificativo, verifiche e controlli dei sigilli, della qualità e quantità delle merci) effettuate dal gestore del deposito IVA nei luoghi limitrofi ovvero adiacenti al deposito stesso, senza la materiale introduzione dei beni nel deposito, spesso in ragione di peculiari situazioni connesse alla funzionalità del deposito.

Tuttavia è noto che la merce destinata al deposito è già stata controllata dalla Dogana e fatta uscire dagli spazi doganali con bolla esitata, garantita da fideiussione per la parte attinente all’IVA.

All’atto della presa in carico della merce sul registro del depositario, quest’ultimo appone sul retro della bolla la dicitura “presa in carico nel deposito n°…..” e la stessa viene ripresentata in Dogana che provvede a liberare la garanzia prestata all’atto dell’effettuazione dell’operazione doganale.

 

 

Vi sono poi situazioni particolari che si stanno sviluppando nella prassi operativa nelle quali le merci, giunte in containers nei porti italiani, devono essere trasferite sui treni o su automezzi per proseguire in via intermodale il loro transito verso la destinazione finale.

 

L’introduzione nel deposito Iva delle merci risulta in casi del genere estremamente difficoltosa dal punto di vista pratico ed idonea a creare non pochi problemi sia alle operazioni doganali che alla funzionalità del deposito Iva.

La formulazione dell’articolo 50 bis del D.L. 331/93, comma 4, è tuttavia tale da far ritenere che, in siffatti casi, possa considerarsi assolutamente corretta la prassi di trazionare i containers negli spazi adiacenti al deposito Iva, ossia nell’area antistante il deposito stesso, per poi procedere alle operazioni che danno contenuto al contratto di deposito.

Del resto, la nozione di introduzione in deposito contemplata dall’articolo 50 bis deve essere necessariamente ricondotta alla nozione giuridica del contratto di deposito.

Il contratto di deposito, infatti, consiste nell’obbligo che il depositario ha di custodire e trattare le merci a lui consegnate dal depositante con l’obbligo di restituirle al depositante quando lo stesso ne faccia richiesta.

In tal modo, evidentemente, anche il passaggio dei beni per il deposito, allo scopo di realizzare specifiche prestazioni di servizi consistenti in semplici manipolazioni usuali, soddisfa sia la nozione di introduzione in deposito, sia la connessa nozione giuridica di deposito.

La merce affluisce al deposito Iva in modo da permettere al depositario di venire in possesso di essa e di effettuare prestazioni di servizi consistenti, come accennato, in manipolazioni semplici, quali verifica e rimozione dei sigilli, verifica sommaria della merce, riscontro con il documento doganale, presa in carico, registrazioni contabili e fiscali tra cui l’acquisizione dell’autofattura o altra documentazione per l’estrazione dal deposito e la consegna all’importatore.

Il meccanismo soddisfa in pieno le condizioni imposte dalla norma, in quanto il deposito è giustificato in modo congiunto sia dall’esigenza per il depositario di prendere possesso giuridicamente e contabilmente delle merci sia per il depositante di ottenere dal depositario un primo sommario controllo della merce.

Nel caso di specie il depositante, inviando le merci al deposito vuole ottenere due risultati: in primo luogo, vuole che il depositario prenda visione del carico allo scopo di verificare l’integrità dei sigilli ovvero la qualità e la quantità della merce arrivata; in secondo luogo, vuole che il depositario prenda in carico la merce per chiudere gli adempimenti con l’autorità doganale: pertanto, nessuna violazione può rinvenirsi nell’ipotesi che le descritte semplici operazioni, per esigenze connesse alla funzionalità del deposito, vengano materialmente eseguite nei luoghi limitrofi ovvero adiacenti al deposito Iva.

Infine, non si palesano rischi connessi a salti ovvero evasioni d’imposta”.

In tal senso anche la relazione (A.S. n. 1315 Articolo 16, comma 5 – bis):

 

” Il comma 5 bis, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, interviene sulla disciplina dei depositi fiscali ai fini IVA recando una norma interpretativa della lettera h) del comma 4 dell’articolo 50 bis del decreto legge n. 331/1993.

L’articolo 50 bis del decreto legge n. 331/93 disciplina il regime di deposito Iva il quale consente alle merci comunitarie introdotte in Italia di fruire della non imponibilità al tributo, rinviando l’imposizione al momento dell’estrazione dei beni, se ed in quanto destinati al consumo nel territorio dello Stato. La sospensione opera solo se i beni non sono destinati alla vendita al minuto nei locali dei depositi. Sono individuati, a tal fine, sia i soggetti che possono essere autorizzati dall’Amministrazione finanziaria a gestire i depositi IVA sia gli adempimenti a carico dei medesimi soggetti.

In particolare, ai sensi del comma 4, lettera h) del citato articolo 50 bis, sono effettuate senza pagamento dell’IVA le prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali, relative a beni custoditi in un deposito IVA, anche se materialmente eseguite non nel deposito stesso ma nei locali limitrofi semprechè, in tal caso, le suddette operazioni siano di durata non superiore a sessanta giorni.

Il comma in esame stabilisce che la richiamata lettera h) si interpreta nel senso che le prestazioni di servizio in essa indicate, relative a beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA.”

 

Resta qualche ultima considerazione sul momento terminale del deposito in tale particolare regime, ossia la cd. “estrazione”. Sotto il profilo tributario si tratta di fase di particolare rilievo, atteso che essa coincide con quella della nascita dell’obbligazione di pagamento dell’iva. E’ evidente tuttavia che, avvenuta l’introduzione nel senso indicato dalla norma in commento, le procedure di estrazione devono essere regolarmente espletate dal depositante, il quale ricopre un ruolo nevralgico ai fini del godimento del regime di agevolazione (differimento) del momento impositivo.

Nell’ipotesi più “classica”, vale a dire laddove il depositario non svolge anche funzioni di vettore, l’estrazione coincide con la riconsegna della merce al depositante-titolare della stessa, o al soggetto legittimato in base ai titoli rappresentativi ordinari, e dunque le operazioni previste della legge e dal decreto ministeriale n. 419/1997 vengono eseguite contestualmente al ritiro.

 

Più problematico diventa individuare il momento di estrazione laddove sussista una prestazione unitaria e complessa, includente anche la consegna della merce al di fuori dei locali del deposito iva. Anche in questi casi, essendo sempre possibile distinguere il profilo impositivo tributario dagli obblighi strettamente civilistici, le formalità di estrazione devono essere compiute non già alla consegna presso il luogo indicato dal titolare della merce, bensì all’uscita dal deposito. Esaurito detto compito, cessa a mio parere anche la solidarietà passiva del depositario.

 

Sembrava tutto chiarito!

E invece no!

L’Amministrazione resiste, quasi fosse una sua faccenda personale.

E perciò, in barba alle stesse pronunzie della Suprema Corte che, anche a sezioni Unite, ha più volte ribadito la validità talmente limitata delle circolari da poter essere disattese dagli stessi funzionari dipendenti dall’Ente che le abbia diramate, l’agenzia delle Dogane ha emesso, il 24 febbraio u.s., la nota n. 22321 R.U. inviata a mezza Italia, avente ad oggetto proprio l’articolo 16, comma 5 – bis della legge 2/2009.

Essa consta di quattro periodi, dei quali i primi tre non fanno che ripetere il contenuto ed il testo della norma del decreto anti-crisi.

Nel quarto, invece, di nuovo il dubbio, l’interpretazione sibillina per deludere e confondere di nuovo.

“Resta fermo – recita il quarto periodo – quanto in precedenza precisato da questa Agenzia in merito all’applicabilità dell’articolo 50 – bis in esame in caso di inesistenza giuridica o simulazione del contratto di deposito, presupposto imprescindibile per l’applicazione del tributo”

Che significa?

Che senza contratto di deposito l’istituto del deposito Iva non esiste?

Ma questo è ovvio e allora perché scriverlo in una nota così diffusa?

La merce immessa in libera pratica, dispone la norma del decreto anti-crisi, (ovvero oggetto di un acquisto intracomunitario, ovvero ancora, ceduta ad un soggetto identificato in altro Stato membro mediante introduzione in deposito Iva) deve raggiungere gli spazi limitrofi o adiacenti il deposito Iva ove deve essere consegnata al depositario, che dovrà eseguire le prestazioni di servizi che costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito Iva.

Non capisco perché è tanto dura da buttar giù!

La verità è invece che l’Amministrazione al quarto periodo della nota 22321 R.U. vuole ribadire il principio che ha sempre sostenuto che devono essere dimostrate le ragioni economiche connesse alla causa del contratto di deposito, che a Suo giudizio devono comunque sussistere ed essere dimostrate.

Il titolare del deposito Iva dovrebbe, cioè, acquisire (al fine di poterlo poi dimostrare alla stessa Amministrazione) le motivazioni economiche sottostanti ciascun contratto di deposito.

Dimenticando, o volendo dimenticare, che le motivazioni economiche del contratto di deposito sono in re ipsa e non debbono essere fornite da chi intende introdurre la merce nel deposito Iva, e che essendo il contratto di deposito un negozio causale non è onere dei contraenti provare la causa del contratto, vale a dire l’interesse economico giuridico dello stesso.

Anche a livello periferico si resiste a riconoscere la portata della norma, sicchè si continua a tenere in piedi un contenzioso che, invece, potrebbe essere eliminato in autotutela.

Se l’automezzo è giunto nei luoghi limitrofi o adiacenti basta!

L’articolo 16 della legge 2/2009 ha sgombrato il campo da un problema solo formale, che non aveva comportato alcuna evasione d’imposta.

Lo scopo del deposito Iva era e resta il differimento di qualche giorno del pagamento dell’imposta. E’ uno scopo lecito, consentito dalla legge.

Come quello, previsto anch’esso dalla legge, di considerare a debito l’imposta esposta sulle fatture emesse solo all’atto della sua riscossione.

L’Amministrazione si deve porre anche dalla parte del cittadino, non deve perseguire soltanto ed ad ogni costo il risultato ed i premi.

Deve diventare una casa di vetro non un bunker impenetrabile.

Forse erano migliori le vecchie carriere dove si progrediva per meriti e senza premi economici perché lo stipendio era onnicomprensivo.

Forse deve rinnovarsi come la scuola, con il cinque in condotta.

 

gianni gargano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *