E ora?

Io che sono stato un doganiere fino a venticinque anni fa, quando me ne andai per motivi per me ritenuti incompatibili con la mia personalità e con la mia cultura.

Pure devo dire che la dogana era bella.

Era bello il lavoro, il rapporto tra colleghi e l’obiettivo che l’Amministrazione si prefiggeva e che era quello di agevolare il commercio.

Gli scambi.

Con gli occhi aperti.

Ma questo è naturale.

Altrimenti che doganiere si era.

Io sono stato a Trieste.

Per circa dieci anni

Una vita. La parte migliore della mia vita.

Lì mi sono formato e dopo non sono più cambiato.

Agevolare gli scambi.

In pieno boom economico , con il nostro Paese che cresceva, che competeva con gli altri, che vinceva le rovine stesse della guerra appena persa.

E che fa parte dei sei Paesi fondatori della Comunità Economica Europea.

E che orgoglio  nel vedere i nostri prodotti esportati in tutto il mondo.

Il frutto dell’inventiva dei nostri artigiani.

Dei nostri artisti.

Dei nostri agricoltori.

E allora prima di tutto il commercio.

E  l’orgoglio di essere doganieri.

E allora tutti a studiare, a porre e risolvere quesiti e problemi che, spesso, gli stessi spedizionieri ci sottoponevano.

Senza alcun interesse se non quello di essere tutti utili.

E si progrediva nella carriera lentamente, ma per merito.

Insomma dovevi conoscerlo il mestiere.

E l’Amministrazione diramava circolari e risoluzioni chiare e dotte.

Che davano certezze a tutti, doganieri e spedizionieri.

Poi tutto è cambiato.

Ora conta il risultato.

Che, innanzitutto, non si capisce (perché nessuno lo ha mai spiegato) quando si deve ritenere conseguito.

Perché se lo è al momento della contestazione è un conto, se lo è al momento della riscossione ne è un altro.

E tutto ciò senza alcuna indicazione da parte di nessuno su alcune questioni talmente importanti che se non risolte, questa volta, l’obiettivo non sarà stato quello di agevolare il commercio ma, al contrario, quello di distruggerlo.

Forse perché stanchi di aver fatto progredire la nostra Nazione, il nuovo obiettivo è solo quello di far progredire in grado, funzione e contratti, i dirigenti dello Stato.

Già ho detto mille volte che il periodo 1996/2005, o giù di lì, è un buco nero.

Una massa densa e impenetrabile.

E allora saltiamolo quel periodo che ha visto trionfare a qualunque costo i mercati dell’est del mondo, alla faccia nostra e di tanti altri come noi.

Gli anni sono passati e così la memoria.

E poi ci sono la prescrizione e la decadenza.

Però adesso, in piena crisi, o, forse, in piena ripresa, vogliamo di nuovo certezze.

Le esigiamo.

E’ un nostro diritto, per Bacco!

Innanzitutto sui depositi Iva.

Mi sembra assurdo che l’immissione in libera pratica di beni destinati all’introduzione in questi depositi sia ancora ritenuta un’importazione.

Mi sembra assurdo che si voglia ancora discutere sul concetto di introduzione, dopo che per anni si è dissertato intorno all’automezzo se fosse da considerare entrato per intero nel deposito o no se una ruota ne fosse rimasta fuori, dopo che c’è stata una norma di interpretazione autentica che recita (cito a memoria, d’istinto, per cui chiedo scusa per qualche imperfezione) “ le prestazioni di servizi indicate alla lettera h del comma 4 dell’articolo 50 bis del D.L. 331/93 rese sui beni consegnati al depositario, costituiscono, a tutti gli effetti introduzione nel deposito Iva”

E allora basta!

Una volta pagato bene il dazio, una volta corrisposta l’Iva all’estrazione, col metodo obbligatorio dell’inversione contabile, non c’è più niente da riscuotere.

L’Iva è ormai Iva interna!

Ancora se ne discute?

E il contratto di deposito soddisfatto.

Basta leggere il codice civile.

E invece no!

Nessuna ammissione.

Nessuna circolare.

Solo e sempre sostenere il contrario, nella speranza che un giudice tributario si arrenda di fronte alla complessità del problema, che invece, per gli addetti ai lavori, complesso non è.

Anzi è semplice.

Banale

E se cento sentenze ci danno ragione, l?amministrazione le ignora.

Se, invece, una sola.

Sbagliata.

Che confonde tra i vari istituti coinvolti nel problema, allora la difende a spada tratta come  se fosse dall’altra parte della barricata o, peggio, come se avesse fatto i tre punti in classifica!

In tema di rappresentanza fiscale, poi, ancora peggio:

Che se  si rappresenta un soggetto comunitario non si è dichiarante in dogana.

Che se si  rappresenta un soggetto terzo, invece, lo si  è.

Che  basta con la confusione continua tra rappresentanza fiscale e rappresentanza in dogana.

Difficile da comprendere per i non addetti ai lavori.

Che il titolare del deposito Iva può rappresentare i propri clienti, terzi o comunitari che siano, per compiere tutte le operazioni che in tali depositi si possono porre in essere, anche le immissioni in libera pratica di beni a questi depositi destinati.

Che l’articolo 303 del Testo Unico non si applica in tema di origine.

Ma quanti giudici lo devono confermare.

E invece si fa ancora risultato con qualche sentenza fuori controllo.

E infine.

E ancora:

E sempre.

Sto parlando di ditte italiane che comprano bene, che vendono bene, che sono titolari dei nostri marchi, che reggono la nostra economia.

Non sto parlando di quell’altra gente.

Che non mi riguarda.

Gianni gargano

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