Gli aspetti dell’Iva in dogana

 I diritti che la dogana è tenuta a riscuotere sono sia risorse di competenza della Comunità economica europea (risorse proprie), sia risorse interne che confluiscono nel bilancio dello Stato italiano.

La distinzione tra diritti di confine e diritti doganali è riportata nell’articolo 34 del TULD che definisce:

“diritti doganali”, tutti quelli che la dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge (primo comma);

“diritti di confine”, i dazi, i prelievi e le altre imposizioni all’importazione o all’esportazione, previsti dai regolamenti comunitari ed inoltre i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato (secondo comma).

Alla luce della suddetta classificazione l’IVA in dogana, all’importazione, costituisce un diritto doganale e non un diritto di confine.

 

Questa affermazione è confermata:

dalla Sentenza n. 117 del 14/03/1985, della II Sezione di Cassazione, con la quale la Suprema Corte ha chiarito in via definitiva che:

“L’imposta sul valore aggiunto non può essere considerata alla stregua di un’imposta di consumo in favore dello Stato, ai sensi del capoverso dell’articolo 34 D.P.R. 43 del 1973, sia per la specialità delle violazioni finanziarie, sia perché l’articolo 1 del DPR 633/72 stabilisce che essa si applica sulle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio delle imprese, di arti e professioni, nonché sulle importazioni da chiunque effettuate e non già sui soli consumi”.

”L’IVA all’importazione è configurata come un diritto doganale, nell’ampia accezione fornita dall’art. 34 del D.P.R. n. 43/73, e deve essere collocata tra i diritti riscossi dalla dogana….”.

 

Sono i diritti di confine a costituire le risorse proprie della Comunità e che, una volta riscossi, pongono la merce in posizione di libera pratica (comunitaria).

 

La riscossione, invece, di tutti i diritti doganali, anche cioè, di quelli di competenza dello Stato italiano – tra i quali l’IVA – rendono  “importata” (nazionalizzata) la merce estera.

Il presupposto dell’obbligazione tributaria doganale, infatti, è costituito, ai sensi dell’art. 36 del TULD, relativamente alle merci estere, dalla loro destinazione al consumo entro il territorio nazionale, intendendosi tali quelle dichiarate per l’importazione definitiva.

 

Qui si vuol fare una distinzione tra l’importazione definitiva della merce, che comporta la sua introduzione nel territorio dello Stato, disciplinata dalle norme doganali (art. 36 TULD), e dalla normativa IVA (art. 67 DPR 633/72) e l’immissione in libera pratica di beni destinati all’introduzione in un deposito IVA, disciplinata dall’art. 50 bis D.L. 331/93.

Quest’ultima non può considerarsi importazione, né ai fini doganali, in quanto la merce non viene immessa in consumo nel territorio dello Stato, bensì introdotta in un deposito IVA, né dal punto della normativa dell’imposta sul valore aggiunto, in quanto esclusa dalle importazioni previste al citato art. 67, in virtù, proprio delle modifiche ad esso apportate dalla Legge 28/97 che, tra l’altro, ha istituito i depositi IVA in commento.

 

Importazione

L’IVA all’importazione è un diritto doganale.

Diversa è la questione per quanto riguarda le controversie e le sanzioni.

La questione se l’evasione dell’IVA all’importazione costituisca reato o comunque abbia carattere d’illecito, sia pure soltanto amministrativo, va risolta in base alle disposizioni del titolo V della legge sull’IVA, nel quale è sancito, in conformità di quanto disposto dall’articolo 1°, secondo comma, che l’IVA si applica sulle importazioni da chiunque effettuate, dettando negli artt. 67-70 la disciplina relativa.

In particolare l’art. 70 1° comma – 2° periodo dispone che, per quanto concerne le controversie e le sanzione relative all’IVA all’importazione, si applicano le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine ed è a tali  norme che bisogna far riferimento per stabilire le sanzioni applicabili alle violazioni dell’IVA all’importazione, considerata, in tal caso, come un vero e proprio diritto di confine.

Il testo dell’art.. 70, che   recita: “L’imposta relativa alle importazioni è accertata liquidata e riscossa per ciascuna operazione. Si applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine.” non può che interpretarsi nel senso che l’IVA riscossa all’importazione è un diritto doganale, in quanto in caso contrario sarebbe stato superfluo il richiamo, contenuto nel secondo periodo, alle sanzioni relativamente alle quali si applicano le norme relative ai diritti di confine.

Vale cioè il principio che l’IVA pur senza perdere la sua natura di diritto doganale non può non soggiacere, in virtù del citato art. 70,  alla disciplina sanzionatoria prevista dalle norme doganali.

Siano gli  illeciti amministrativi o penali.

Quindi nel caso di importazione definitiva non si concorda nel definire l’IVA in dogana sic et simpliciter un diritto di confine, ritenendolo, invece, un diritto doganale conformemente alla prevalente giurisprudenza.

Si ritiene, invece, pacifico la sua assimilazione ai diritti di confine per quanto attiene le controversie e le sanzioni.

 

Immissione in libera pratica

Non così nel caso di immissione in libera pratica di beni destinati all’introduzione in un deposito IVA, per il semplice fatto che in questo caso l’IVA non è dovuta in dogana.

Queste operazioni sono effettuate senza pagamento dell’imposta.

L’IVA sarà dovuta soltanto all’estrazione dal deposito IVA e non potrà che considerarsi IVA interna ed, in quanto non più diritto doganale, l’eccezione di cui all’art. 70 – 1° – 2° periodo, non sarà più riferibile alle operazioni di specie.

Si rammenta, solo per completezza, che all’uscita dal deposito la merce potrà essere destinata al consumo dello Stato, nel qual caso l’imposta sarà assolta mediante il meccanismo dell’inversione contabile (reverse charge), imposto dalla legge (non essendo prevista alcuna altra possibilità del suo assolvimento), ovvero all’esportazione o a cessione intracomunitaria, per le quali l’imposta non è nemmeno dovuta.

Anche qualora la merce non dovesse raggiungere, ovvero essere introdotta, nel deposito IVA il recupero dell’imposta non le fa assumere la natura di diritto doganale, con conseguente inapplicabilità dell’art. 70 del decreto IVA e della  conseguente contestazione del reato di contrabbando, in quanto l’IVA resta IVA interna e l’eventuale illecito avrà una natura diversa da quella doganale.

E’ pacifico che in quest’ultima ipotesi non sarà possibile mutare la destinazione doganale  dell’immissione in libera pratica di beni destinati ad un deposito IVA, originariamente attribuita alla merce, in quella dell’ importazione definitiva per il divieto posto all’art. 55 TULD.

 

gianni gargano

francesco pagnozzi

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