Il concetto d’importazione secondo la direttiva 2009/132/CE del Consiglio

La  direttiva 2009/132/CE del Consiglio del 19 ottobre 2009, all’articolo 2 dà un importante contributo alla definizione del concetto di  “importazione” da valere in ciascun Paese della Comunità che abbia adottato un’imposta sui consumi armonizzata con la VI direttiva in tema di imposta sul valore aggiunto.

Corre, pertanto, l’obbligo di svolgere alcune considerazioni in merito alla normativa comunitaria e nazionale vigente in materia di immissione in libera pratica e di importazione definitiva.

A tal fine occorre precisare che il Codice Doganale Comunitario ed il suo regolamento di applicazione n. 2454/93 del 2 luglio 1993 (DAC), hanno introdotto nell’ordinamento giuridico degli Stati aderenti all’Unione Europea le norme doganali comunitarie, sia per quanto riguarda i regimi doganali che le procedure ad essi relative.

Fino all’entrata in vigore della normativa comunitaria, ed in presenza di frontiere doganali esterne e di frontiere fiscali interne alla Comunità, i regimi e le procedure doganali erano regolati dalla normativa nazionale di ciascuno degli Stati membri.

Per quanto riguarda l’Italia, la normativa principale era contenuta nel TULD, il quale, proprio in forza del carattere nazionale della normativa specifica, regolava l’obbligazione doganale anche con riferimento alle implicazioni che le operazioni avevano con la normativa fiscale interna.

Con l’entrata in vigore del codice doganale comunitario e del suo regolamento di applicazione, le norme del TULD nazionale hanno mantenuto la loro rilevanza giuridica solo per la parte non regolamentata dalla normativa comunitaria e per gli aspetti di natura non doganale (fiscalità interna), e sempre che tale normativa non sia in contrasto con quella comunitaria.

In sostanza, quindi, il codice doganale comunitario regola gli scambi sotto il profilo esclusivamente doganale, mentre la normativa interna di ciascuno degli Stati membri regola gli effetti che tali scambi hanno sul proprio territorio sia sotto l’aspetto doganale sia sotto quello della fiscalità interna (IVA).

Alla luce di tali precisazioni occorre ora procedere all’analisi dei riferimenti normativi utili alla esposizione che segue..

a) Il concetto di territorio

 Il territorio nazionale e quello comunitario sono definiti all’art. 7, comma 1, lettere a) e b) del decreto IVA, ove:

  • per “Stato” o “territorio dello Stato”, si intende il territorio della Repubblica italiana, con esclusione dei comuni di Livigno e di Campione d’Italia e delle acque italiane del Lago di Lugano;
  • per “Comunità” o “territorio della Comunità” si intende il territorio corrispondente al campo di applicazione del Trattato istitutivo della Comunità europea con le eccezioni previste al primo comma lett. b) e c) per Paesi comunitari diversi dall’Italia.

b) La normativa comunitaria

Il codice doganale comunitario:

–                     all’articolo 4, punto 15 lettera a), definisce “destinazione doganale” il vincolo di una merce ad un regime doganale;

 –                     all’articolo 4, punto 16, considera l’immissione in libera pratica un “regime doganale”:[1]

L’articolo 79 del Codice Doganale Comunitario sancisce che “l’immissione in libera pratica attribuisce la posizione doganale di merce comunitaria ad una merce non comunitaria”.

Posta in libera pratica la merce terza viene resa comunitaria e può circolare liberamente nella Comunità.

L’immissione in libera pratica può raffigurarsi come una “importazione” nella Comunità.

Tale destinazione, dunque, non integra l’immissione in consumo nel territorio nazionale (italiano) delle merci “terze“, ma conferisce a quelle merci lo status di merci comunitarie, previo pagamento dei dazi legalmente dovuti, l’espletamento delle formalità previste per l’importazione e l’applicazione delle eventuali misure di politica commerciale.

Tutto ciò è confermato, si spera definitivamente, dalla direttiva 2009/132/CE del Consiglio, del 19 ottobre 2009, che determina l’ambito di applicazione dell’articolo 143, lettere b) e c) della VI direttiva (2006/112/CE9.

Essa, all’articolo 2, fissa le condizioni alle quali una data merce debba considerarsi “importata” in ciascun Stato membro.

Essa definisce  “importazione”[2]:

“le importazioni definite all’articolo 30 della direttiva 2006/112/CE[3], come pure l’immissione in consumo all’uscita da uno dei regimi previsti dall’articolo 157, paragrafo 1, lettera a), della medesima direttiva o da un regime d’ammissione temporanea o di transito;”

Sono di grande importanza due concetti :

  • l’articolo 30 della VI direttiva (2006/112/CE) considera importazione nella comunità, innanzitutto l’ingresso nella Comunità di un bene, proveniente da un Pese Terzo, (e che perciò non è già in libera pratica  sul suo territorio); 
  • l’immissione in consumo all’uscita  da un regime di deposito diverso da quello doganale, o da un regime d’ammissione temporanea o di transito. 

Perché si realizzi una “importazione” in un Paese Comunitario occorre che una merce terza vi venga immessa in consumo.

Qui di seguito si dimostrerà che questo principio è trasfuso, pari pari, nella normativa interna nazionale  (nella fattispecie italiana, ma il discorso è riproponibile in ogni Stato membro, stante l’armonizzazione dell’imposta sul valore aggiunto a livello comunitario)

 c) La normativa nazionale

 Sono tuttora vigenti:

  • l’art. 55 del TULD che prevede, tra le altre, l’importazione definitiva tra le

destinazioni doganali per le merci estere:

  • l’art. 36 dello stesso Testo Unico che stabilisce che le merci dichiarate per l’importazione definitiva sono destinate ad essere immesse in consumo e pertanto sono assoggettate a diritti di confine.

Tali norme debbono essere lette alla luce della loro compatibilità con la richiamata normativa comunitaria.

Acclarato dunque che l’immissione in libera pratica ha il solo effetto di conferire alle merci non comunitarie il carattere di merci comunitarie, la normativa nazionale può rilevare i suoi effetti solo se si consideri l’importazione definitiva come la destinazione doganale che attribuisce alle merci terze non solo il carattere comunitario ma anche, e contemporaneamente, il carattere di merci nazionalizzate.

 

L’art. 134 del TULD recita infatti:

“Le merci estere per le quali sono state osservate le condizioni e le formalità prescritte per l’importazione definitiva diconsi nazionalizzate e sono equiparate, agli effetti del presente testo unico, a quelle nazionali, salvo che per esse non sia diversamente disposto”.

 

E’ chiara dunque la sussistenza di una duplice possibilità :

–                    l’una, prevista dal codice doganale comunitario, consistente nel dichiarare le merci per l’immissione in libera pratica, che produce i soli effetti di conferire alle merci il carattere di merci comunitarie;

–                    l’altra, prevista dal Testo Unico delle Leggi Doganali, consistente nel dichiarare le merci per l’immissione in libera pratica e contemporaneamente per l’immissione in consumo in Italia (importazione definitiva), allo scopo di conferire alle merci il carattere di merci “nazionalizzate” equiparate normativamente alle merci nazionali.

 

Perché una merce estera possa ritenersi importata, secondo le disposizioni doganali, dovrà essere presentata apposita dichiarazione, e dovranno essere osservate le condizioni e le formalità prescritte per l’importazione definitiva, con riscossione sia delle risorse proprie comunitarie che dell’IVA, secondo le disposizioni previste dagli articolo 67 e seguenti del DPR n. 633/72, sulle quali vale la pena di soffermarsi.

 

Il Decreto IVA, il cui testo è armonizzato con la normativa comunitaria, definisce l’importazione all’art. 67, il cui testo, dal 14/03/1997, data di entrata in vigore della Legge 28/97 è il seguente:

 

“Costituiscono importazioni le seguenti operazioni aventi per oggetto beni introdotti nel territorio dello Stato, che siano originari da paesi o territori non compresi nel territorio della Comunità e che non siano stati già immessi in libera pratica in altro paese membro della Comunità medesima…..omissis…:

a)                le operazioni di immissione in libera pratica, con sospensione del pagamento dell’imposta qualora si tratti di beni destinati a proseguire verso altro Stato membro della Comunità economica europea;

b)               le operazioni di perfezionamento attivo di cui all’articolo 2, lettera b), del Regolamento CEE  n. 1999/85 del Consiglio del 16 luglio 1985;

c)                le operazioni di ammissione temporanea aventi per oggetto beni, destinati ad essere riesportati tal quali, che, in ottemperanza alle disposizioni della Comunità economica europea, non fruiscano della esenzione totale dai dazi di importazione;

d)                le operazioni di immissione in consumo relative a beni provenienti dal Monte Athos, dalle Isole Canarie e dai Dipartimenti francesi d’oltremare[4]; 

……………………………………………………………… 

Anche l’articolo 7 del decreto IVA definisce “importazione:

“l’importazione di un bene è effettuata nello Stato membro nel cui territorio si trova il bene nel momento in cui entra nella comunità”.

 

La condizione posta al primo comma, primo periodo, ”che (i beni) siano originari da paesi o territori non compresi nel territorio della Comunità e che non siano stati già immessi in libera pratica in altro paese membro della Comunità medesima…”, è da attribuirsi alla circostanza che l’importazione, anche ai fini Iva, deve avere ad oggetto merce “terza“. Quella comunitaria, ovvero quella immessa in libera pratica nella Comunità, configura, invece, un “acquisto intracomunitario“ di cui agli articoli 37 e seguenti del DL 331/93; 

 

 

 

 


, [1]L’articolo  4, punto 16 del CDC definisce regimi doganali  l’immissione in libera pratica;  il transito in deposito doganale, il perfezionamento attivo, la trasformazione sotto controllo doganale; l’ammissione temporanea , il perfezionamento passivo e  l’esportazione.

[2]

ovviamente nel territorio comunitario, in quanto è ad esso che fa riferimento la direttiva in commento e non certo al territorio nazionale (italiano), che è invece oggetto del decreto Iva, che sebbene armonizzato con le norme comunitarie, è norma interna, che disciplina  le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni (in Italia) da chiunque effettuate (Art.1)

 [3]

Con l’adozione della direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, che sostituisce la n. 77/388/CEE, il Consiglio Europeo ha dato via libera alla proposta di rifusione della VI direttiva, secondo le indicazioni della Commissione, proposta Doc. Com. (2004) 246 del 15 aprile 2004.

[4] In merito si osserva:

  • che l’espressione “beni introdotti nel territorio dello Strato”, indicata al primo comma dell’articolo 67 sia equivalente al concetto di “immissione in consumo” di cui all’articolo 36 del TULD si evince dal testo stesso della VI Direttiva,  ove:
  • il “territorio dello Stato” è definito “l’interno del Paese” di ciascuno Stato membro,

– “l’interno del Paese” corrisponde al campo di applicazione del trattato, quale definito per ciascuno Stato membro;

– restano esclusi dal concetto di “interno del Paese” i seguenti territori:

omissis

Repubblica italiana:

Livigno, Campione d’Italia e le acque territoriali del Lago di Lugano.

 

gianni gargano

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