La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 12/E del 24.03.2014 sui Depositi IVA
L’Agenzia delle Entrate, con la circolare 12/E del 24/03/2014, ha affrontato in modo esaustivo l’intero istituto del Deposito IVA fissandone, con leggerezza e fluidità di scrittura, alcuni aspetti finora ancora controversi.
Tra questi quello che salta immediatamente agli occhi è la assoluta irrilevanza dei motivi sottostanti l’introduzione della merce nel deposito IVA.
Verrebbe da osservare che così, negli uffici finanziari si è provveduto a licenziare streghe psicologi e psichiatri.
Si analizzano qui di seguito alcuni punti sui quali la circolare si è soffermata e che appaiono di maggior interesse.
1) Con riferimento ai beni che possono essere introdotti nei depositi IVA ha ricordato che, aldilà dei trasferimenti da deposito a deposito e dei riferimenti alle merci elencate alla tab. A bis allegata al Decreto 331/93, l’introduzione può riguardare solo beni oggetto di acquisto intracomunitario (art. 50 bis, comma 4, lett. a), ovvero beni importati (art. 50 bis, comma 4, lett. b), ovvero ceduti ad un soggetto passivo in altro Stato membro (art. 50 bis, comma 4, lett. c);
2) Sulla coesistenza, nello stesso spazio, di depositi per i quali non è prevista l’autorizzazione e il deposito IVA, la circolare ha definitivamente precisato che laddove siano contemporaneamente presenti merci sottoposte al regime del deposito doganale e merci in regime di deposito IVA, occorre prevedere dei sistemi che consentano un agevole individuazione delle merci soggette ai diversi regimi, e custodite nei medesimi spazi del magazzino, senza necessità che esse vengano conservate in aree distinte, purché si adottino accorgimenti tali da poter correttamente individuare le merci sottoposte ai diversi regimi. Essa, richiama i concetti già espressi con la risoluzione n. 440 del 12/011/2008 ove è chiaramente indicato che nei depositi doganali privati può essere custodita solo merce terza ancora allo stato estero, mentre nei depositi IVA soltanto beni nazionali e comunitari. Di qui l’esigenza di tenere una distinzione tra di essi. Possono essere introdotti nel deposito IVA anche beni provenienti da Paesi terzi purché, però, preventivamente immessi in libera pratica; è indispensabile, infatti, che i beni provenienti da territori extracomunitari abbiano perso lo status di “merce non comunitaria” e acquisito quello di “merce comunitaria”, così da poter circolare liberamente nel territorio dello Stato;
3) Non possono essere introdotti nei depositi IVA i beni esistenti in Italia in regime di ammissione temporanea ovvero introdotti in recinti o magazzini di temporanea custodia in attesa di ricevere un’autorizzazione doganale e quelli importati a scarico di un regime di perfezionamento attivo con la modalità dell’esportazione anticipata (art. 115, punto 1, lett. b) Reg. CEE 2913/92).
4) La circolare ha dettagliatamente commentato tutte le operazioni per le quali è possibile usufruire dell’istituto del deposito IVA (art. 50 bis, comma 4), distinguendo, in particolare, quelle in cui è necessaria l’introduzione dei beni, da quelle eseguite sui beni che già si trovano in deposito, soffermandosi in particolar modo (v. par. 5.2.2) sulle operazioni previste dalla lettera “h” del comma 4 in commento, ossia sulle “prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali, relative ai beni custoditi in un deposito IVA, anche se materialmente eseguite non nel deposito stesso ma nei locali limitrofi sempreché, in tal caso, le suddette operazioni siano di durata non superiore a sessanta giorni”.
Tali prestazioni, sin dalla nascita dell’istituto del Deposito IVA, possono essere eseguite anche nei locali limitrofi al deposito stesso (ove per locali limitrofi si intendono quelli che pur non costituendo parte integrante del Deposito IVA, sono a questo funzionalmente e logisticamente collegati in rapporto di contiguità e che comunque rientrano nel plesso aziendale del depositario).
La circolare ha affrontato e risolto la annosa questione se i beni su cui eseguire le prestazioni di cui alla lettera “h” del comma 4 dell’art. 50 bis debbano essere comunque preventivamente introdotti fisicamente negli spazi autorizzati quali deposito IVA, ovvero basta che raggiungano gli spazi limitrofi.
L’Agenzia delle Entrate, riportandosi a quanto disciplinato dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 16, comma 5 bis, del D.L. 29.11.2008, n. 185, convertito con modificazione dalla Legge 28.01.2009, n. 9, nella versione attualmente in vigore[1], ha chiarito che le prestazioni di servizi costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA, senza tempi minimi di giacenza, né obbligo di scarico dal mezzo trasporto.
Ancora, la circolare, chiarisce che non è necessario che i beni in questione, una volta terminate le prestazioni di servizio, siano introdotti fisicamente negli spazi autorizzati quale Deposito IVA, ma possono dai locali limitrofi essere estratti direttamente. Effettuata così l’introduzione, risultano assolte, comunque, le funzioni di stoccaggio e di custodia della merce e si intende perfezionato il contratto di deposito di cui all’art. 1766 del codice civile.
Pertanto, nel caso in cui sui beni da introdurre nel Deposito IVA, per una delle ipotesi di cui alle lettere da “a” a “d” del comma 4 dell’art. 50 bis, debbano essere eseguite delle prestazioni di servizio (lavorazione, manipolazioni e/o prestazioni semplici) non è necessaria l’introduzione fisica dei beni negli spazi autorizzati, ma queste possono essere eseguite negli spazi limitrofi al deposito. Viceversa, nel caso in cui sui beni non debba essere effettuata alcuna prestazione di servizi, gli stessi dovranno essere introdotti fisicamente nel Deposito IVA.
5) Di rilevante importanza è anche il riconoscimento da parte dell’Agenzia delle Entrate della possibilità per il depositario di assumere la rappresentanza fiscale dei soggetti non residenti per tutte le operazioni previste dal citato comma 4 dell’art. 50 bis, con l’unica limitazione che la rappresentanza deve restare “leggera”, ossia limitata alle sole operazioni non imponibili, esenti, non soggette o comunque senza obbligo di pagamento dell’imposta. Per tali operazioni il gestore del deposito IVA può richiedere l’attribuzione di un solo numero di partita IVA da utilizzare per tutti i soggetti passivi d’imposta non residenti per i quali assume la rappresentanza fiscale leggera. L’Agenzia prende atto che il comma 7 dell’art. 50 bis fa riferimento, senza esclusioni, a tutte le operazioni relative a beni “introdotti” nei depositi di cui al comma 4 dello stesso articolo e che esso rinvia al solo secondo periodo del terzo comma dell’art. 44 del D.L. 331/93 e, quindi, limita l’operatività del gestore del deposito IVA come rappresentante fiscale alle sola condizione che, come detto, resti leggero.
Di tale questione era stata già interessata la Direzione Centrale dell’Agenzia delle Dogane, su impulso della Direzione Regionale per il Friuli Venezia Giulia in relazione ad alcuni contenziosi proposti da questo studio. La Direzione Centrale Gestione Tributi e Rapporti con gli Utenti – Ufficio per l’applicazione dei tributi, sentita l’Avvocatura delle Stato, ha risolto la questione nei termini riportati dalla circolare in commento e, cioè, che il gestore del Deposito IVA, può assumere la rappresentanza fiscale leggera di tutti i soggetti non residenti (comunitari ed extra comunitari) per tutte le operazioni previste dal quarto comma dell’art. 50 bis.
6) L’Agenzia delle Entrate affronta anche le problematiche relative all’ipotesi in cui la merce destinata ad un deposito IVA non vi venga introdotta, anche alla luce dell’orientamento espresso dai Giudici della Corte di Giustizia Europea nella sentenza resa nella causa C-272/13 (Equoland), cosiddetta “introduzione virtuale”.
Sul punto l’Agenzia si richiama alla citata sentenza Equoland nella quale i Giudici Europei, in mancanza di altre indicazioni nella sesta direttiva hanno affermato che ciascuno Stato membro può determinare le formalità che il soggetto passivo deve adempiere al fine di poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA e che, pertanto, è legittimo che il legislatore italiano abbia previsto, a tal fine, l’obbligo di introdurre fisicamente la merce immessa in libera pratica nel deposito IVA. In ogni caso i Giudici ribadiscono che devono essere garantiti il rispetto del diritto dell’Unione, nonché i suoi principi generale e, di conseguenza, il principio di proporzionalità.
Ancora, la Corte di Giustizia ha ritenuto che i singoli Stati possano prevedere delle sanzioni, volte a penalizzare il mancato rispetto degli obblighi previsti dalla normativa nazionale, tenendo però conto della natura e della gravità dell’infrazione che la sanzione mira a penalizzare, precisando, al Giudice del rinvio, che l’obbligo di introdurre fisicamente la merce nel deposito fiscale costituisce un requisito formale (punto 29 della sentenza) e che la sua inosservanza non comporta il mancato pagamento dell’IVA all’importazione, qualora questa venga correttamente assolta con il metodo dell’inversione contabile.
“Certamente – (punto 38 della sentenza) – si potrebbe argomentare che siccome la merce non è stata fisicamente introdotta nel deposito fiscale, l’IVA era dovuta al momento dell’importazione e, pertanto, il pagamento mediante il meccanismo dell’inversione contabile costituisce un pagamento tardivo del tributo.”
Orbene (così la sentenza al successivo punto 39) la Corte su questo punto ha chiaramente fissato i seguenti principi:
1) un versamento tardivo dell’IVA costituisce, in mancanza di introduzione fisica nel deposito Iva, solo una violazione formale che non può rimettere in discussione il diritto a detrazione del soggetto passivo;
2) che, un siffatto versamento tardivo non può essere equiparato, di per sé, ad una frode volta ad ottenere il mancato versamento dell’imposta che, invece, sebbene in ritardo, risulta regolarmente assolta con il metodo dell’inversione contabile (Reverse charge).
In particolare, e per quanto attiene alla regolarità dell’assolvimento dell’imposta con questo metodo, la Corte, al punto 42 della sentenza, ha osservato: “D’altro lato, dalla giurisprudenza della Corte emerge che, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano in udienza, il regime dell’inversione contabile previsto dalla sesta direttiva consente, in particolare, di contrastare l’evasione e l’elusione fiscale constatate in taluni tipi di operazioni” (v. sentenza Véleclair, C-4141/10, EU: C:2012:183, punto 34)
Ancora si rappresenta che la Corte di Giustizia Europea nella sentenza in commento ha riconosciuto che, seppur nel rinviare sul punto alle valutazioni del Giudice nazionale, la percentuale del 30 % prevista dall’art. 13 del D.Lgs. 471/97 e l’impossibilità di adeguarla a circostanze specifiche di ogni caso, può rendere la sanzione irrogata sproporzionata rispetto alla violazione accertata (punto 45 della sentenza).
Pertanto nel caso di “introduzione virtuale” la sanzione amministrativa da contestare è da attribuirsi, alla luce della già più volte citata sentenza della Corte di Giustizia Europea n. 272/13, ad un ritardo nel versamento dell’imposta e non al suo mancato pagamento, così come sino ad oggi ritenuto dall’Amministrazione.
Sul punto la circolare, nel riprendere quanto disposto dall’Agenzia delle Dogane con la recente circolare n. 16/D del 20.10.2014 (v. pag. 12), riconosce che nelle ipotesi di “introduzione virtuale” la sanzione amministrativa eventualmente applicabile è quella prevista all’art. 13, primo comma, ultimo periodo del D.Lgs. 471/97 (ritardato pagamento di un tributo) con la riduzione ad un importo pari ad un quindicesimo per ogni giorno di ritardo.
Infine si rappresenta che la Commissione Tributaria Regionale di Firenze – Sez. Staccata di Livorno, che aveva rimesso la questione alla Corte di Giustizia, con la sentenza n. 585/10/15 depositata il 27.03.2015 ha recepito appieno le motivazioni della sentenza della Corte di Giustizia Europea resa nella causa C-272/13. Sentenza che oltre a provenire proprio dal Giudice che avevo posto i quesiti alla Corte Europea, rappresenta la prima pronuncia emessa dopo la pubblicazione della citata sentenza Equoland.
Giovanni Gargano
Francesco Pagnozzi
[1] “La lettera h) del comma 4 dell’articolo 50-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, si interpreta nel senso che le prestazioni di servizi ivi indicate, relative a beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA senza tempi minimi di giacenza ne’ obbligo di scarico dal mezzo di trasporto. L’introduzione si intende realizzata anche negli spazi limitrofi al deposito IVA, senza che sia necessaria la preventiva introduzione della merce nel deposito. Si devono ritenere assolte le funzioni di stoccaggio e di custodia, e la condizione posta agli articoli 1766 e seguenti del codice civile che disciplinano il contratto di deposito. All’estrazione della merce dal deposito IVA per la sua immissione in consumo nel territorio dello Stato, qualora risultino correttamente poste in essere le norme dettate al comma 6 del citato articolo 50-bis del decreto-legge n. 331 del 1993, l’imposta sul valore aggiunto si deve ritenere definitivamente assolta.”
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