Pasquale

Da casa vedeva il mare.

Dall’alto.

E perciò quasi tutta la città.

Quella parte che va dalla punta della Campanella a Posillipo, con Capri di fronte.

L’altra, quella che guarda il Vesuvio no, perché la collina del Vomero glielo impediva.

Uscito di casa per andare al Vomero doveva imboccare la strada sulla sinistra, in salita.

Per scendere al centro, invece, svoltava a destra.

Al Vomero non ci andava spesso e neanche volentieri.

Gli ricordava la sua gioventù felice.

Gli piacevano i quartieri del centro, perché amava stare con la gente, col popolo.

Il Vomero, poi, non era più lo stesso, si era imborghesito.

Non lo riconosceva più, tranne quando incontrava qualcuno dei meravigliosi amici della sua vera gioventù.

E allora andava giù.

A piedi

Via Aniello Falcone, Via Tasso, le scale di San Francesco, Corso Vittorio Emanuele, via Pontano, Via Crispi, Piazza Amedeo, via dei Mille, via Filagieri, Piazza dei Martiri, Via Chiaia e Piazza trieste e Trento.

Tutto con a destra il mare che si avvicinava sempre di più.

E poi uno dei paradisi napoletani.

Uno squarcio di luce pieno di cose e di gente.

Con i suoi vizi e con le sue virtù.

Arrivato a Piazza Trieste e Trento pensava subito ad Enzo, il suo compagno di sempre, che stava lì a due passi, subito dopo Piazza Plebiscito e Santa Lucia, nel suo albergo sul mare, ad uno schioppo dal Vesuvio.

L’albergo aveva ospitato lo Shaker Club, un grande night degli anni sessanta.

Lì aveva bevuto il suo primo wisky e coca, ballato alla grande e conosciuto i grandi cantanti di quegli anni.

Solo che Enzo la mattina non c’era in albergo, perché era un gufo e andava a letto molto tardi, mentre lui era un allodola che stava lì già alle sette del mattino

E così pur volendosi molto bene si vedevano poco e di pomeriggio, quando, dopo lo studio, non gli andava di tornare subito a casa, come faceva sempre.

E allora a sinistra.

Per via Roma.

Toledo per i napoletani.

Napoli Napoli!

Adorabile.

E poi in Galleria dove spesso trovava qualche barbone infagottato tra cartoni e coperte che dormiva ancora, o forse si sforzava di farlo, per accorciare il giorno che nasceva.

Si domandava come facessero a fare a meno di tutto, anche del cesso.

Dove facevano la cacca?

La pipì l’avevano già fatta. Era ancora lì per terra.

Ma la cacca. Come e dove la facevano. E come e dove si vestivano? E chi offriva loro un caffè? E una volta svegli che avrebbero fatto?

E così gli veniva in mente Pasquale, un barbone che aveva amato molto e che non aveva visto più e che forse era morto, perché l’ultima volta che l’aveva incontrato tossiva proprio male, vomitava, e non gli aveva chiesto niente.

Però l’aveva salutato.

Pasquale per la verità non gli aveva mai chiesto niente.

Era stato lui che aveva voluto conoscerlo. Avvicinarlo.

Perché gli ricordava un altro uomo, con gli stessi occhi azzurri di Pasquale, che gli aveva insegnato ad alzare lo sguardo per vedere come erano belli i tetti dei palazzi e che gli aveva fatto vedere il mare e le cose più belle e semplici della vita.

Le prime volte che l’aveva visto, Pasquale stava seduto sullo scalino di una delle vetrine della Banca nazionale del Lavoro al Corso Umberto.

Puzzava d’urina in modo schifoso.

Lui provava un invincibile disgusto.

Perciò quando gli passava davanti, si allargava il più possibile, fino al bordo del marciapiede che dà sulla strada.

Però si sentiva un verme.

Un uomo di mmerda.

Quello era un essere umano come e più di lui!

Chi si credeva di essere?

Il fratello del cazzo? Che aveva avuto tutto dalla vita? Il bel signorino tutto acchittato?

No! Lui non era così!

Si doveva spogliare di quella maschera!

Lui era come Pasquale, come l’uomo dei tetti e del mare.

Anche lui aveva pensato chissà quante volte di mandare tutti e tutto a fare in culo e di lasciarsi andare.

Farsi cullare fino a non esserci più.

E così entrò in quella nebbia maleodorante e conobbe Pasquale.

Dopo non lo sentì più il puzzo.

Era interessante Pasquale.

Molto più dei normali!

Era forte!

Una volta gli raccontò che spesso la sera doveva pagare ad un altro barbone il pizzo delle elemosine raccolte.

Le vie della camorra erano infinite!

Pasquale si accontentava di uno o due caffè o di un cappuccino che lui gli prendeva al bar a fianco.

Una volta che voleva dargli una moneta di carta non la volle perché, gli disse, non avrebbe saputo che farsene di tutti quei soldi.

Solo il calzone non riuscì a comprargli.

Glielo aveva chiesto più volte. E lui glielo voleva comprare in quel bel negozio che era proprio lì, a due passi.

Ma Pasquale non voleva che spendesse tutti quei soldi.

Dopo non lo vide più.

Uscito dalla Galleria un altro splendore.

E dopo circa un’ora di strada arrivava lì dove voleva.

In mezzo alla gente come lui

Alfò

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