Dell’evasione……………….

E’ mia intenzione soffermarmi nei prossimi giorni su chi, come e quando evade.

Cioè sulla lotta all’evasione, che si rischia di fare nei confronti di chi già ha corrisposto tutti i tributi richiesti che, in verità, nel nostro sistema e, causa anche la crisi, non sono pochi.

“La iscrizione della notitia criminis trae origine dalla c.n.r. in atti, con cui il Nucleo di Polizia Tributaria di ……. all’esito di una verifica fiscale a carico di …….., comunicava di aver accertato, per una serie di operazioni commerciali relative ad importazioni comunitarie effettuata dalla citata società in regimo sospensivo di IVA, ai sensi dell’art. 50 bis, comma 4, lettera b) D.L.  331/1993, l’omessa introduzione delle merci importate nei depositi IVA.

Così sinteticamente delineato l’antefatto, e data per nota la funzione cui assolvono i depositi IVA, di cui all’art. 50 bis, comma 4, lettera b), va richiesta l’archiviazione (poi disposta dal G.I.P.) per infondatezza della notizia di reato, risultando ……… le transazioni oggetto di verifica tutte registrate presso i depositi IVA, con successivo assolvimento dell’imposta all’atto della formale estrazione della merce dal deposito stesso.

Consegue, al di la di ogni valutazione circa la possibilità di ricondurre l’imposta sul valore aggiunto alla nozione di “diritti di confine” di cui all’art. 292 D.P.R. 43/73, che la mancata materiale immissioni delle merci oggetto di importazione nel deposito non ha determinato alcuna deviazione dal meccanismo tipico di assolvimento dell’imposta previsto per operazioni similari in ambito comunitario, né alcuna effettiva evasione d’imposta, risultando l’IVA regolarmente assolta dall’acquirente della merce…….”

 

Tutto questo è stato affermato da un Pubblico Ministero, che è un Giudice come e più degli altri.

E’ non è la prima volta !

Il Giudice Tributario ne deve tener conto, perché lo ha stabilito la Cassazione.

Non è tenuto a conformarsi a quel principio, ma non può non tenerne conto.

Anche questo ha stabilito la Cassazione.

Io non voglio dire che la merce non debba necessariamente essere introdotta.

Anche se lo penso!

Dico che la merce deve essere introdotta, ma non possono più prendersi per oro colato i contenuti delle ormai famose sentenze della Suprema Corte nn. 12262/10 e seguenti che parificano i depositi IVA ai depositi doganali privati, che ritengono che la merce debba prima essere introdotta nel deposito IVA e poi estratta per raggiungere gli spazi limitrofi al deposito ove eseguire le prestazioni di servizi semplici sui beni immessi in libera pratica.

Nessuno osserva, su quest’ultimo punto che non è così, perché quella condizione della preventiva introduzione nel deposito con la successiva estrazione è stata da sempre consentita dalla lettera h) del comma 4 dell’art. 50 bis e che, invece, la novità, cassata totalmente da quella sentenza, fissata dal comma 5 bis dell’art. 16 del D.L. 185/2008, è che le prestazioni di servizi eseguite sulle merci consegnate al depositario costituiscono, a tutti gli effetti, introduzione nel deposito IVA.

E la Corte di Giustizia, e la stessa Cassazione, non hanno detto e scritto che si deve evitare la duplicazione dell’imposta?

Che si verificherebbe quando l’imposta, già assolta con il metodo del reverse charge (obbligatorio all’estrazione della merce dal deposito IVA per la loro immissione in consumo nel territorio dello Stato) dovesse di nuovo essere assolta.

Ma poi se il reverse charge è stato posto in essere due o tre anni prima dell’accertamento certamente la merce avrà avuto un esito successivo che avrà comportato in qualche modo il versamento dell’imposta.

Anche di questo si deve tener conto quando si parla di duplicazione dell’imposta.

Si verifica, cioè, quasi sempre un effettivo doppio versamento della stessa imposta.

Ma anche se la dovessi pagare si capisce che me la porterei in detrazione e quindi a credito?

Questa possibilità è stata confermata dall’Agenzia delle Entrate.

Andiamo avanti.

E’ intervenuta la VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati che ha fissato nella seduta del 31/05/2011 principi del tutto diversi da quelli indicati nelle sentenze dalla Cassazione n. 12262/10 e seguenti.

E, cioè, che il deposito IVA è una cosa e il deposito doganale privato un’altra.

Ha detto, la Commissione: signori non vi dimenticate che questa differenza l’avete riconosciuta voi stessi, con la circolare n. 440/E, che in giudizio, si ignora.

E che il reverse charge è l’unico modo di assolvere l’imposta all’estrazione dal deposito IVA e che ……………

Ma l’Amministrazione stessa ha diramato la nota n. 84920/RU del 07/09/2011 che sembra scritta proprio per chi non ha evaso.

Per chi, cioè, non solo ha introdotto la merce nel deposito IVA (dentro o negli spazi limitrofi è la stessa cosa) ma, principalmente, ha dichiarato l’esatto valore, ha dichiarato la corretta voce doganale ed ha, perciò, pagato il dazio dovuto ed ha determinato correttamente l’imponibile IVA da indicare nell’autofattura, o nella fattura integrata, all’estrazione, ma ha anche adottato correttamente il metodo del reverse charge, registrando le fatture nei due registri IVA e procedendo alle liquidazioni periodiche correttamente, ecc. ecc.

Quella circolare supera la Cassazione 12262/10, perché conferma:

–       la circolare n. 16/D famosa che richiamando la precedente nota n. 2162, vigente prima del conversione nella Legge 2/2009 del D.L. 185/2008, disponeva che l’automezzo dovesse entrare nel deposito IVA, senza che fosse necessario che le merci ne fossero scaricate (problema della ruota dentro e della ruota fuori);

–       le direttive n. 7521 e 22321/RU, datate rispettivamente 28/12/2006 e 24/02/2009, ove, la prima consentiva l’introduzione senza un tempo minimo di sosta, senza che fosse violato il principio dello stoccaggio e della custodia e, per la seconda, voglio citare testualmente quanto indicato a pag. 2 della nota 84920/RU in commento: “Preliminarmente, si ribadiscono le disposizioni emanate con la citata direttiva 22321 del 24/02/2009 di commento alla norma di interpretazione autentica recata dall’art. 16, comma 5 bis, del D.L. 185/2008, convertito dalla Legge 2/2009.”;

–       che (pag. 4) le immissioni in libera pratica di beni destinati ad essere introdotti in deposito IVA sono effettuate senza applicazione dell’IVA, (finalmente!) sulla base di una dichiarazione dell’importatore circa la destinazione dei beni, dal momento che il relativo onere viene assolto solo successivamente, al momento dell’estrazione dal deposito stesso dai soggetti passivi agli effetti IVA con il meccanismo dell’inversione contabile (cosiddetto reverse charge).

O no?

E’ vero che sono state disposte tutte le garanzie per verificare che poi l’IVA sia stata effettivamente assolta all’estrazione mercè la corretta applicazione del reverse charge.

Ma questo è ovvio e giusto ed è sempre valso, perché chi lo aveva posto in essere fraudolentemente doveva essere necessariamente perseguito.

Ma questa è un’altra storia.

Diversa da quella di cui stiamo parlando.

gianni gargano

francesco pagnozzi

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