I foderi combattono e le sciabole stanno appese
L’allegato 38 del DAC nella nuova versione precisa che alla casella 37 del DAU deve essere indicato il codice 42 in caso di “immissione in consumo con contemporanea immissione in libera pratica di merci con esenzione IVA per consegna in altro stato membro”. Vi è indicato anche come esempio:
“Importazione con esenzione IVA utilizzando i servizi di un rappresentante fiscale”.
In effetti noi non avevamo mai avuto dubbi che l’immissione in libera pratica di beni destinati ad altro stato membro fosse possibile soltanto da parte di soggetti identificati ai fini IVA nello stato d’importazione e che, qualora non lo fossero, c’era la necessità di nominarvi un proprio rappresentante fiscale, ovvero colà identificarsi direttamente.
Qual è la novità?
Forse non si faceva così?
In effetti è così.
Da quando l’Europa si è aperta a 27 paesi, alcuni nuovi arrivati consideravano, ad esempio, rappresentanti fiscali istituzionali le case di spedizione.
Così accadeva che l’immissione in libera pratica era posta in essere utilizzando il numero di partita IVA della casa di spedizione e non quello rilasciato ad hoc dall’ufficio competente in ciascun paese, in Italia l’Agenzia delle Entrate.
Tutto questo si traduceva in una grossa distorsione dei traffici, perché chiunque, di qualunque paese o nazionalità fosse poteva immettere in libera pratica la merce utilizzando il numero di partita di un soggetto diverso (la casa di spedizione), peraltro legittimamente, ed inviarla, ad esempio in Italia, dove la riceveva il compratore italiano.
L’intrastat delle cessioni intracomunitarie veniva presentato da un soggetto diverso dal rappresentante fiscale o dal soggetto identificato direttamente, come accade in Italia, mentre quello degli acquisti veniva regolarmente presentato dal compratore italiano che poneva in essere un acquisto intracomunitario.
Era tutto facile:
Si immetteva in libera pratica la merce in un altro paese e si riceveva in Italia ove, come per legge, l’IVA veniva assolta con il metodo del reverse charge, come si fa per tutte le fatture aventi ad oggetto un acquisto intracomunitario.
L’allegato 38 con la previsione dell’obbligo della nomina del rappresentante fiscale dovrebbe porre un argine a tale comportamento distorsivo.
La distorsione dove sta?
Il comportamento costituisce una semplificazione che nel nostro paese non c’era.
In Italia un soggetto non identificato ai fini IVA non ha mai potuto porre in essere alcuna immissione in libera pratica, neanche quella di beni destinati a deposito IVA, senza la previa nomina del rappresentante fiscale o l’identificazione diretta.
E la procedura è diversa.
La complicazione burocratica della nomina, della responsabilità del rappresentante fiscale è certamente un ostacolo in più che altri paesi fino ad oggi non hanno avuto.
Senza dire delle responsabilità che la legge IVA italiana attribuisce al rappresentante fiscale, qualora non adempia agli obblighi previsti dalla normativa in materia di imposta sul valore aggiunto e senza dire che la Corte di Cassazione addirittura vorrebbe estenderne la responsabilità, anche in caso di rappresentanza leggera di un soggetto comunitaria, a tutti gli aspetti, comprese le rettifiche dell’accertamento, come se fosse un rappresentante indiretto o un dichiarante doganale.
Se il comportamento è stato quello a che cosa serviva in Italia l’utilizzo del deposito IVA?
Bastava far giungere la merce al signore della porta accanto il quale ce la mandava in posizione comunitaria e noi assolvevamo l’IVA legittimamente con il metodo del reverse charge, perché così prevede il decreto sugli scambi intracomunitari.
Giusto per la precisione, sebbene il codice comunitario sia scritto secondo i criteri della Common Law, l’immissione in libera pratica di beni destinati ad altro paese comunitario è un’importazione a tutti gli effetti, a norma dell’art. 67 ° comma lett. a) del DPR 633/72, posta in essere non in esenzione d’imposta, ma in sua sospensione, da riscuotere nel paese di destinazione.
gianni gargano
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