La rappresentanza fiscale attribuita al gestore del deposito Iva 2

Dopo aver messo in evidenza quali siano le operazioni che possono  compiersi con riferimento alla merce  già introdotta (giacente) nel deposito Iva (v. l’articolo LE OPERAZIONI SUI BENI CUSTODITI IN DEPOSITO IVA, pubblicato su questo blog  il 12 marzo 2010) e che la rappresentanza fiscale assunta dal gestore del deposito Iva  è proprio quella (l’unica) prevista all’articolo 17, comma 2 del decreto Iva (v. IL GESTORE DEL DEPOSITO IVA RAPPRESENTANTE FISCALE O DICHIARANTE IN DOGANA, pubblicato su questo blog l’11 marzo 2010) insisto e chiedo scusa ai miei lettori, ma l’amministrazione tace, D’altronde si è sempre astenuta dall’illustrare compiutamente la funzione economica e tutte le possibilità d’utilizzo dei depositi Iva.

Il titolare del deposito Iva rappresentante fiscale o, comunque un rappresentante fiscale in Italia,può utilizzare l’istituto, ad esempio,  per distribuire un prodotto nel mondo,  anche dopo averlo attrezzato per eseguire lavorazioni sulle merci, anche negli spazi ad esso limitrofi.

Non è questa la funzione del ministero dell’Economia?

O è quella  di punire, punire, punire!

Chi lavora, s’intende!

O quella di eliminarli proprio i depositi Iva?

Che sarebbe un’ingiustizia sociale, perchè  riscosso bene il dazio sarà riscossa bene anche l’Iva.

Altrimenti il problema è un altro.

Ma di questo parleremo una prossima volta:

O ne abbiamo già parlato?

 

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E quindi:

 

Si ribadisce innanzitutto che il titolare di deposito IVA, può assumere la veste di rappresentante fiscale di soggetti non residenti, prevista all’articolo 17, comma 2, del decreto Iva, nei limiti di cui all’art. 44 comma 3 – secondo periodo – del D.L. 331/93, ai fini dell’adempimento degli obblighi tributari afferenti le operazioni concernenti i beni introdotti nei depositi stessi.

E ciò richiedendo l’attribuzione di un numero di partita IVA unico per tutti i soggetti passivi non residenti da esso rappresentati (art. 50 bis, comma 7 D.L. 331/93).

Le modifiche apportate al comma 7 dell’art. 50 bis del D.L. 331/93, dall’art. 2, comma 1, lett. b) del D.lgs. 19.06.2002, n. 191, entrato in vigore il 31.08.2002, hanno finito col riscrivere del tutto la norma.

Si espone, pertanto, qui di seguito il regime vigente prima e dopo l’entrata in vigore del nuovo testo del comma 7 in commento.

 

1 – Il testo del comma 7 dell’articolo 50 bis in vigore fino al 31/08/2002.

 

Fino al 31/08/2002 il testo del comma 7 dell’art. 50 bis era il seguente

“Nei limiti di cui all’articolo 44, comma 3, secondo periodo, i gestori dei depositi IVA assumono, qualora non sia stato già nominato un rappresentante fiscale, la veste di rappresentanti fiscali dei soggetti passivi di imposta identificati in altro Stato membro ai fini dell’adempimento degli obblighi tributari afferenti le operazioni intracomunitarie concernenti i beni introdotti nei suddetti depositi”.

 

L’art. 50 bis, nella veste indicata, consentiva al titolare del deposito IVA di assumere la rappresentanza fiscale leggera dei soggetti comunitari  ai soli fini degli adempimenti afferenti le operazioni intracomunitarie di cui agli artt. 37 e seguenti del D.L. 331/93.

Le operazioni, cioè, che il rappresentante fiscale poteva compiere, in nome e per conto del rappresentato, vigente la precedente normativa, erano soltanto le due seguenti:

  1. 1.   gli acquisti intracomunitari di beni eseguiti mediante introduzione in deposito IVA (art. 50 bis – comma 4° – lett. a) (non è neanche ipotizzabile lì acquisto intracomunitario di un bene già introdotto in deposito Iva.: articolo 38, 2 comma del D.L. 331/93 :”costituiscono acquisti intracomunitari le acquisizioni, derivanti da atti a titolo oneroso, della proprietà di beni o di altro diritto reale di godimento sugli stessi, spediti o trasportati nel territorio dello Stato da altro Stato membro del cedente, nella qualità di soggetto passivo d’imposta ovvero dall’acquirente o da terzi per loro conto.”) 
  2. le cessioni intracomunitarie di beni estratti da un deposito IVA con spedizione in un altro stato membro della Comunità Economica Europea (art. 50 bis – comma 4° – lett. f).

 

Nel primo caso, l’acquisto intracomunitario realizzato dal titolare del Deposito IVA, nella sua qualità di rappresentante fiscale, si caratterizza per il fatto che i beni, provenienti da un altro stato membro, giunti in Italia, vengono introdotti in un deposito IVA.

La procedura è la seguente:

  • il rappresentante fiscale, titolare del deposito IVA, integra la fattura di acquisto emessa da parte del cedente comunitario annotando direttamente sul documento estero che l’operazione è effettuata senza esposizione dell’imposta ai sensi dell’art. 50 bis, comma 4°, lett. a) D.L. 331/933 e la registra sia sul registro degli acquisti che su quello delle fatture emesse (reverse charge);
  • egli deve presentare l’elenco riepilogativo degli acquisti intracomunitari (modello Intra 2 e 2 bis);
  • all’atto dell’introduzione in deposito il depositario – rappresentante fiscale deve annotare la fattura di acquisto, integrata secondo le indicate modalità, sul registro di cui al D.M. 419/97 (registro di magazzino del deposito IVA);
  • nel  caso prospettato il depositario resta rappresentante fiscale leggero, in quanto l’operazione posta in essere non ha comportato alcun debito di imposta

Corre l’obbligo di osservare da subito che l’operazione è posta in essere dal depositario – rappresentante fiscale, al fine di introdurre nel deposito Iva i beni provenienti da altro Paese comunitario e non riguarda, per nulla, beni già introdotti in deposito Iva.

Tra l’altro l’operazione descritta non avrebbe potuto in alcun modo riguardare beni già introdotti (giacenti) nel deposito Iva, per la semplice ragione che essi, in quella posizione, non potevano essere oggetto di un acquisto intracomunitario, che si caratterizza per il fatto che i beni, provenienti da un altro stato membro, giunti in Italia, vengono successivamente introdotti nel deposito IVA.

Si veda al riguardo, in mancanza di una interpretazione ufficiale delle due Agenzie:

–       “I depositi Iva” – Benedetto Santacroce, pagina 35 –

–       Il Sole  24 ore dell’11 maggio 1998, pagina 11, ove in risposta ad in quesito sul funzionamento dei depositi Iva, è riportato quanto segue: “Il depositario assume la veste di rappresentante fiscale prima della materiale introduzione dei beni nel deposito….omissis…..”  

–       La circolare n. 114 del 17 dicembre 1997 della Associazione fra le Società Italiane per Azioni, che, alla pagina 15, sul punto così si esprime: “Per quanto concerne l’adempimento degli obblighi relativi alle operazioni intracomunitarie in esecuzione delle quali si verifica la introduzione o l’estrazione dei beni dal deposito (operazioni costituite prevalentemente da acquisti intracomunitari per mero trasferimento nel deposito di beni provenienti da altri Stati membri dell’Unione europea, o cessioni intracomunitarie), il comma 7 dell’art. 50-bis prevede che se gli obblighi fanno capo a soggetti passivi d’imposta identificati in altri Stati membri, privi di rappresentante fiscale nel territorio dello Stato, il gestore del deposito assume la veste di rappresentante fiscale degli stessi, ma nei limiti di cui all’art. 44, comma 3, secondo periodo, del decreto-legge n. 331, del 1992. In sostanza, l’assunzione – “ope legis” – della funzione di rappresentante fiscale riguarda essenzialmente operazioni per le quali non è dovuta l’imposta dall’operatore non residente ancorché debbano posti in essere i relativi adempimenti (c.d. rappresentante leggero).Nell’ipotesi in esame pertanto il gestore del deposito sarà tenuto agli obblighi formali, in nome e per conto degli operatori non residenti, relativi all’acquisto intracomunitario ovvero alla relativa cessione e quindi anche alla presentazione delle conseguenziali dichiarazioni intrastat. Trattandosi di rappresentanza fiscale non conferita convenzionalmente ma derivante direttamente dalla legge sarebbe ragionevole ritenere che, ai fini dell’assunzione della stessa e dell’espletamente dei compiti che ne derivano, non sia necessario l’esperimento della procedura di nomina prevista dall’articolo 17 del d.p.r. n.633, per la nomina del rappresentante fiscale su base negoziale.”

–       Il titolare del deposito Iva, rappresentante fiscale del soggetto comunitario, poteva, cioè, porre in essere un acquisto intracomunitario, per conto del suo rappresentato, solo allo scopo di introdurre i beni  deposito. E ciò già nella versione dell’articolo 50 bis previgente quella attuale.

Nel secondo caso –, la cessione intracomunitaria comportava l’estrazione dal deposito IVA a cura del rappresentante fiscale, titolare del deposito IVA che, per conto del suo mandante comunitario, cedeva i beni ad un soggetto identificato in altro stato membro della Comunità.

Il rappresentante fiscale doveva rispettare la seguente procedura:

 

a)    emissione di una fattura intracomunitaria, ai sensi dell’art. 46 del D.L. 331/93, contenente, quale motivo di non imponibilità, il riferimento all’art. 41 del D.L. 331/93;

b)   predisposizione e presentazione in dogana dell’elenco riepilogativo delle cessioni intracomunitarie (modello intra 1 e 1 bis).

 

2 Il testo del comma 7 dell’articolo 50 bis in vigore dal 31/08/2002.

 

Dal 31/08/2002 l’art. 2 del DLgs. n. 191/2002 ha così modificato, l’art. 50 bis, comma 7 del D.L. 331/93

“Nei limiti di cui all’articolo 44, comma 3, secondo periodo, i gestori dei depositi IVA assumono la veste di rappresentanti fiscali ai fini dell’adempimento degli obblighi tributari afferenti le operazioni concernenti i beni introdotti negli stessi depositi, qualora i soggetti non residenti, parti di operazioni di cui al comma 4, non abbiano già nominato un rappresentante fiscale ovvero non abbiano provveduto ad identificarsi direttamente ai sensi dell’articolo 35 ter del DPR 26 ottobre 1972, n. 633. In relazione alle operazioni di cui al presente comma, i gestori dei depositi possono richiedere l’attribuzione di un numero di partita IVA unico per tutti i soggetti passivi d’imposta non residenti da essi rappresentati”.

 

La nuova versione del comma 7 dell’art. 50 bis, attribuisce al gestore del deposito IVA la facoltà di assumere la rappresentanza fiscale anche di soggetti residenti in paesi terzi, essendo stato soppresso il riferimento ai soggetti comunitari di cui alla precedente versione.

Sulla interpretazione del disposto dell’articolo 50 bis, così come modificato dall’articolo 2 delle legge 191/2000, va subito evidenziato che:

  • diversamente dalla precedente versione, il riferimento all’articolo 44, comma 3, secondo periodo, non è fatto al solo scopo di consentire al depositario di assumere la rappresentanza fiscale “leggera ai fini dell’adempimento degli obblighi tributari afferenti le operazioni intracomunitarie concernenti i beni introdotti nei suddetti depositi”, ma il nuovo testo del comma 7 dell’articolo 50 bis consente al depositario di porre in essere, restando sempre rappresentante leggero, tutte le operazioni elencate al comma 4;
  • se sono effettuate solo operazioni non imponibili, esenti, non soggette o, comunque, senza obbligo di pagamento dell’imposta, la rappresentanza può essere limitata all’esecuzione degli obblighi relativi alla fatturazione delle operazioni intracomunitarie di cui all’articolo 46, nonché alla compilazione, ancorché le operazioni in tal caso non siano soggette all’obbligo di registrazione, degli elenchi di cui all’articolo 50, comma 6“.
  • il nuovo comma 7 dell’articolo 50 bis non pone alcuna limitazione alla rappresentanza, ma solo l’obbligo, qualora siano poste in essere operazioni intracomunitarie, di fatturazione e di compilazione degli elenchi intrastat;
  • gli obblighi di fatturazione delle operazioni intracomunitarie e di compilazione dei modelli Intrastat non devono far ritenere, come pure l’Amministrazione in qualche occasione ha sostenuto, che le cessioni intracomunitarie siano le uniche che il gestore del deposito Iva, rappresentante fiscale, possa porre in essere. Ritenendo, così, di fatto, che l’espressione, posta al comma 3, secondo periodo, dell’articolo 44 “obblighi relativi alla fatturazione delle operazioni intracomunitarie    “ identificasse nelle operazioni intracomunitarie le uniche consentite. Egli invece può porre in essere tutte le operazioni indicate al comma 4 dell’articolo 50 bis, senza alcun obbligo di natura contabile amministrativa, se non quello di fatturare le cessioni intracomunitarie e di presentare gli elenchi intrastat. E ciò in quanto sono proprio quegli adempimenti a perfezionarle fino a definire quelle operazioni, appunto, intracomunitarie. Senza dire che il voler considerare eseguibili le sole operazioni intracomunitarie, equivarrebbe a disconoscere, di fatto, la validità stessa del riferimento al comma 4 dell’articolo 50 bis.

 

La nuova formulazione del comma 7 dell’art. 50 bis, consente al titolare del deposito IVA, richiedendo l’attribuzione di un numero di partita Iva unico per tutti i soggetti passivi d’imposta non residenti rappresentati, di assumere la rappresentanza fiscale ai fini dell’adempimento degli obblighi tributari afferenti tutte le operazioni indicate al comma 4 dell’art. 50 bis, che sono:

a)    acquisti intracomunitari di beni eseguiti mediante introduzione in un deposito IVA;

b)   immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA;

c)    cessioni di beni, nei confronti di soggetti identificati in altro Stato membro della Comunità europea, eseguite mediante introduzione in un deposito IVA;

d)   cessioni di beni custoditi in un deposito IVA;

e)    cessioni intracomunitarie di beni estratti da un deposito IVA con spedizione in un altro Stato membro della Comunità europea, salvo che si tratti di cessioni intracomunitarie soggette ad imposta nel territorio dello Stato;

f)     le cessioni di beni estratti da un deposito IVA con trasporto o spedizione fuori del territorio della Comunità europea;

g)   trasferimento dei beni in altro deposito IVA.

 

Qui di seguito si espongono le modalità di effettuazione di tutte le operazioni elencate.

 

Punto sub a) – acquisti intracomunitari di beni eseguiti mediante introduzione in un deposito IVA.

 

Le modalità di effettuazione di tale operazione sono state già descritte al precedente paragrafo 1.1 primo caso

 

Punto sub b) – immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA.

 

L’immissione in libera pratica di merce destinata all’introduzione in deposito IVA è un’operazione, specificamente disciplinata e prevista dal comma 4 dell’art. 50 bis del DL 331/93.

La definizione di immissione in libera pratica deriva dal combinato disposto dell’art. 79 del CDC e dell’art. 249 del TULD.

Essa:

a)    attribuisce la posizione doganale di merce comunitaria ad una merce non comunitaria;

b)   implica l’applicazione delle misure di politica commerciale, l’espletamento delle altre formalità previste per l’importazione di una merce, nonché l’applicazione dei dazi legalmente dovuti.

 

Ai fini dell’assolvimento degli obblighi Iva nel territorio dello Stato, il soggetto non residente, comunitario o terzo, per poter porre in essere l’operazione in commento, deve nominare un proprio rappresentante fiscale, ovvero, ricorrendone le condizioni, identificarsi direttamente.

Immessa in libera pratica e svincolata la merce, la dogana non deve riscuotere l’imposta sul valore aggiunto, che da quel momento perde la connotazione di “diritto doganale” per assumere quella di “Iva interna”, ma prendere tutte le misure necessarie ad evitare che la merce, prima di raggiungere il deposito, possa essere immessa in consumo nel territorio nazionale.

Al riguardo, la circolare n. 1241 del 03/04/1997  dispone che la dogana dovrà assumere idonea garanzia, da svincolare soltanto al ricevimento della comunicazione del depositario di aver preso in carico la merce, divenendo, così, egli stesso responsabile dell’imposta assoggettata a tale tributo;dovuta all’estrazione dal deposito.

Sul punto si osserva che:

1)   dal punto di vista doganale, svincolata la merce, la dogana non può riscuotere l’imposta sul valore aggiunto. Essa sarà, eventualmente, da riscuotere successivamente, e non potrà più essere considerata un diritto doganale, così come definito all’art. 34 del TULD, ma IVA interna, da recuperarsi da parte dell’amministrazione finanziaria, qualora, per un qualsiasi motivo, la merce dovesse essere

2)   l’impegno posto sulla dichiarazione di immissione in libera pratica di raggiungere il deposito IVA, potrà tradursi: i) nel ricevimento da parte della dogana dell’attestazione di presa in carico da parte del depositario; ii) nel mancato ricevimento di tale attestazione. In tal caso la dogana, provvederà a recuperare l’IVA e a segnalare la circostanza all’Agenzia delle Entrate.

 

A sostegno della tesi esposta valga il disposto della recente decisione della Commissione Provinciale di Trieste, n. 27/7/08, depositata il 12/3/2008 (allegato n. 12), ove è espressamente riconosciuto, tra l’altro che “ il gestore del deposito fiscale (leggi deposito Iva) infatti, assume in carico la merce, non l’imposta gravante e il registro di carico-scarico non fa distinzioni tra merci nazionali, merci comunitarie e merci nazionalizzate: di conseguenza, l’imposta che sarà versata per effetto dell’estrazione dal deposito della merce (già estera) ricade sotto la normativa dell’Iva interna (non più sotto l’art.67 e  segg. Del DPR n. 633/72).

In queste condizioni, la riscossione in dogana dell’Iva dopo che la merce è stata introdotta e presa in carico in un deposito fiscale, porterebbe ad una ingiustificata duplicazione dell’imposta (a fronte di quella riscossa o che sarà riscossa al momento dell’estrazione della merce dal deposito); oppure a un pagamento di IVA non dovuta, quando la merce fosse poi estratta dal deposito per una destinazione che non comporta il pagamento dell’imposta: es. lettere f) e g) della norma citata “(articolo 50 bis D.L. 331/93).

3)     la destinazione al deposito IVA previa assunzione di garanzia per il caso che la merce non lo raggiunga, così come l’impegno in dichiarazione di raggiungere il deposito Iva non  è un “vincolo doganale, così come definito agli ultimi due commi dell’articolo 36 del TULD, la cui inosservanza la fa presumere la merce  immessa in consumo (“si presume definitivamente immessa in consumo la merce o parte di essa indebitamente sottratta ai vincoli doganali) 

In tal senso anche li istruzioni ministeriali (vedi Pezzinga – La legge doganale, pagina 117/120,). La presunzione d’immissione in consumo riguarda, invece, le merci che, pur risultando giacenti nei magazzini o recinti di temporanea custodia o nei depositi doganali ovvero spedite da una dogana all’altra, ovvero assoggettate al regime della temporanea importazione ecc., non siano rinvenute all’atto delle verifiche o dei controlli doganali o non vengano presentate alla dogana entro il prescritto termine.

Tutte situazioni, queste, che attengono a sottrazione della merce ai vincoli doganali corrispondenti a specifiche destinazioni doganali, relative a merci estere soggette a diritti di confine (articolo 36, primo comma, del TULD).

4)   – la direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, armonizzato con quello del codice doganale comunitario, ribadisce gli stessi principi, e cioè:

 

  • o all’articolo 70, che l’IVA “diventa esigibile nel momento in cui è effettuata l’importazione di beni“;

 

e, al successivo

 

  • o articolo 71, che “quando i beni sono vincolati, al momento della loro entrata nella Comunità, ad uno dei regimi o ad una delle situazioni di cui agli articoli 156,…- “(a – cessioni di beni destinati ad essere portati in dogana e collocati in temporanea custodia; b- cessioni di beni destinati ad essere collocati in una zona franca o in un deposito franco; c- cessioni di beni destinati ad essere vincolati ad un regime di deposito doganale (che non è il deposito IVA) o ad un regime di perfezionamento attivo: d – …omissis…; e …..omissis….),……., il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile soltanto nel momento in cui i beni sono svincolati da tali (regimi o) situazioni”.

 

5)   –  la merce vincolata ad un regime doganale (vedi art. 4, punti 15 e 16 del Codice Doganale Comunitario), ovvero alla destinazione doganale dell’importazione definitiva  (articolo 55 del TULD), sulla quale gravino, però, ancora diritti doganali da riscuotere, può essere rilasciata solo con la procedura del daziato sospeso (rilascio della merce con bolletta, appunto, di “daziato sospeso“), fissata sin dal 1896, dall’articolo 164 del Regolamento doganale (RD 13/02/1896); 

Nella fattispecie, ove l’IVA non deve essere riscossa dalla Dogana in quanto non è più da considerarsi un diritto doganale, la stessa Dogana non ha mai adottato tale procedura.

6)   L’esposizione dell’Iva “0 %” in bolletta  conferma che all’immissione in libera pratica di beni destinati all’introduzione in deposito Iva l’Iva non è dovuta.;

7)    il rilascio della merce immessa in libera pratica in quanto destinata all’introduzione in deposito Iva, non può in alcun modo assimilarsi allo svincolo della merce, che è il provvedimento con il quale l’Autorità doganale mette una merce a disposizione per i fini previsti dal regime doganale al quale è stata vincolata;

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L’operazione d’immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in deposito IVA costituisce un’operazione espressamente prevista alla lettera b) del comma 4 dell’art. 50 bis.

La circolare 16/D del 28 aprile 2006 della Centrale Area Gestione e Tributi dell’Agenzia delle Dogane (allegato n. 14), ha precisato che l’operazione di immissione in libera pratica di beni destinati ad essere introdotti in un deposito IVA “si conclude, dunque con la dimostrazione dell’avvenuta introduzione fisica dei beni in questione nel deposito IVA, a cui deve fare esplicito riferimento l’attestazione che il depositario deve sottoscrivere sul relativo documento doganale”.

 

Al fine di porla correttamente in essere, il titolare del deposito Iva, rappresentante fiscale, dovrà .

a)    qualificarsi come rappresentante fiscale del dichiarante, facendone menzione nella casella 8 della dichiarazione d’immissione in libera pratica, con un’indicazione del tipo “Il Sig: XX “, quale rappresentante fiscale ai fini Iva del soggetto estero “ Mister YY “ in virtù del disposto del comma 7 dell’art. 50 bis del D.L. 331/93 P..IVA n. ………………, all’uopo attribuitale dall’Ufficio di ……………

b)   giunta la merce presso il deposito Iva, prenderla in carico sull’apposito registro di magazzino;

c)    restituire alla dogana un esemplare della bolletta d’immissione in libera pratica, debitamente annotato degli estremi della presa in carico sul registro di cui al punto sub b). Da quel momento, la responsabilità del debito d’imposta si trasferisce in capo al depositario, il quale ne risponderà in caso di mancata o irregolare applicazione dell’imposta relativa all’estrazione, qualora non risultino osservate le prescrizioni relative alle modalità di tenuta e conservazione del registro di cui al D.M. 419/97.

 

Introdotta in deposito Iva la merce potrà, poi, essere destinata:

–       all’immissione in consumo nel territorio nazionale, nel qual caso sconterà l’imposta con emissione di autofattura, o fattura integrata, registrate, entrambe, col sistema del reverse charge, che costituisce, per espressa previsione della norma, “pagamento dell’imposta” (comma 6 dell’art .50). E’ evidente che l’estrazione dal deposito deve essere effettuata da un soggetto diverso dal titolare del deposito Iva, rappresentante fiscale leggero. Qualora, i beni siano stati oggetto di una o più cessioni durante la permanenza in deposito (cessioni a catena), provvede all’estrazione l’ultimo cessionario, con la conseguenza che il gestore del deposito potrà restare rappresentante fiscale leggero qualora abbia acquisito, in tali cessioni, la figura del cedente. Tutte operazioni, queste ultime, poste in essere senza esposizione dell’imposta ai sensi del 4° comma, lettera e) dell’art. 50 bis;

–       all’esportazione verso paesi terzi. L’operazione, non imponibile ai sensi dell’articolo 8 del decreto Iva, può essere posta in essere dal rappresentante fiscale leggero, titolare del deposito Iva, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 50 bis, comma 7 e dell’articolo 44, terzo comma, secondo periodo, del D.L.331/93,

–       ai mercati comunitari (cessione intracomunitaria), anch’essa consentita, in quanto “non soggetta” all’imposta;

–       al trasferimento ad altro deposito Iva[1].

 

Punto sub c) – cessioni di beni, nei confronti di soggetti identificati in altro Stato membro della Comunità europea, eseguite mediante introduzione in un deposito IVA.

 

Il titolare del deposito IVA, nella qualità di rappresentante fiscale di soggetto non residente, può effettuare una cessione di beni nei confronti di un soggetto identificato in un altro Stato membro, senza trasferire materialmente i beni in quello Stato, ma introducendoli nel deposito IVA (vedi nota prot. 24286/2002 del 31/07/2007 della Direzione Regionale per la Campania dell’Agenzia delle Entrate )

In tal caso:

–       non si tratta di cessione intracomunitaria non imponibile, bensì di un’operazione effettuata senza pagamento dell’IVA ai sensi dell’art. 50 bis, comma 4° lett. c) del D.L. 331/93;

–       la cessione non deve essere inclusa nel modello intra 1 quale cessione intracomunitaria;

–       alla successiva estrazione occorrerà verificare il regime applicabile secondo la destinazione dei beni.

 

Sul punto la citata n. 66/E del 2001 ha precisato che la condizione sine qua non, per l’applicazione nell’ipotesi considerata, del regime del deposito IVA, è la mancanza di una posizione IVA in Italia del cessionario comunitario, e la presenza, invece, di un codice identificativo nell’altro Stato membro.

 

Punto sub d) – cessioni di beni custoditi in un deposito IVA;

 

Il titolare del deposito IVA, nella qualità di rappresentante fiscale di un soggetto non residente, può cedere per suo conto merce giacente nel deposito IVA.[2]

Si tratta delle cosiddette vendite a catena.

In tal caso il titolare del deposito provvederà ad emettere, per conto del suo mandante, fattura senza applicazione dell’imposta ai sensi dell’art. 50 bis – 4 comma – lett. e).

L’imposta sarà dovuta dal soggetto che provvederà all’estrazione, secondo le modalità di cui al comma 6 dell’art. 50 bis.

Anche il tal caso la rappresentanza fiscale resta “leggera”.

 

Punto sub e) cessioni intracomunitarie di beni estratti da un deposito IVA con spedizione in un altro Stato membro della Comunità europea

 

Di tali operazioni già si è detto al precedente paragrafo 3.1 secondo caso

 

Punto sub f) cessioni di beni estratti da un deposito IVA con trasporto o spedizione fuori del territorio della Comunità europea.

 

Anche in tal caso, poiché i beni sono estratti dal deposito, è necessario che il soggetto estero nomini un proprio rappresentante fiscale, che potrà essere anche il titolare del deposito IVA.

Il rappresentante fiscale dovrà emettere fattura in regime di non imponibilità, ex art. 8 del Decreto IVA e dovrà presentare la relativa dichiarazione doganale d’esportazione, in nome e per conto del suo mandante.

 

Punto g) – trasferimento dei beni in altro deposito IVA

 

Il depositario-rappresentante fiscale, dovrà emettere un documento di trasporto per il trasferimento de i beni ad altro deposito IVA, riportando la relativa annotazione di scarico sul registro di magazzino.

 

Il riferimento al concetto di “beni introdotti”

 

Tutto ciò premesso, sta a dimostrare che l’indicazione contenuta nell’articolo 50 bis che  “nei limiti di cui all’articolo 44, comma 3, secondo periodo, i gestori dei depositi Iva assumono la veste di rappresentanti fiscali, ai fini dell’adempimento degli obblighi tributari afferenti le operazioni concernenti  beni introdotti negli stessi depositi,…….”:, non può che essere intesa, sintatticamente, nel senso di moto a luogo e non di stato in luogo. Il riferimento è fatto alla merce da introdurre e non alla merce giacente in deposito. E’, tra l’altro, concettualmente e giuridicamente impossibile porre in essere le seguenti operazioni, per merce giacente in deposito Iva:

a)    acquisti intracomunitari di beni eseguiti mediante introduzione in un deposito Iva, di cui al comma 4, lettera a);

b)   cessioni di beni, nei confronti di soggetti identificati in altro Stato membro della Comunità europea, eseguiti mediante introduzione in un deposito Iva (comma 4, lettera c);

c)    operazioni di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito Iva (comma 4, lettera b).

 

 

 La specialità delle operazioni di immissione in libera pratica di merce destinata all’introduzione in deposito Iva, previste al comma 4, lettera b) dell’articolo 50 bis

 

Le notazioni che seguono si prefiggono di dimostrare che l’operazione d’immissione in libera pratica di beni destinati all’introduzione in deposito Iva ha una connotazione sua propria, diversa sia da quella dell’importazione definitiva, sia da quella della stessa immissione in libera pratica di beni aventi una destinazione diversa da quella dell’introduzione in deposito Iva.

Infatti:

L’ articolo 55 del TULD  elenca le destinazioni doganali, tra le quali quella dell’importazione definitiva, alla quale consegue l’immissione in consumo della merce nel territorio italiano.

 L’immissione in libera pratica, invece, in quanto immissione in consumo nella Comunità, è definita dal combinato disposto dell’articolo 4, punto 15, lettera a) e 16, lettera a) del CDC

Non è consentito mutare la destinazione doganale delle merci, se non prima che ne sia intrapresa la visita, e solo previa autorizzazione scritta del capo della dogana (.articolo 33 del Regolamento doganale approvato con regio Decreto 13 febbraio 1896, n.65), ovvero rettificare o invalidare la dichiarazione una volta concesso lo svincolo delle merci (v. artt. 65 e 66 CDC) che comporta la messa a disposizione degli operatori della merce.[3]

 

L’immissione in libera pratica di beni destinati all’introduzione in depositi Iva, tra l’altro, non è  un’importazione definitiva!

 

Il concetto di “importazione” viene definito sia  dal diritto doganale nazionale (T.U.L.D.)., sia dal decreto Iva.

Sotto il primo aspetto perché la merce estera, proveniente da paesi terzi, possa considerarsi “importata” – e non solo immessa in libera pratica – è necessario che:

– si verifichi il presupposto dell’operazione tributaria doganale della sua immissione in consumo nel territorio dello Stato (art. 36);

– venga presentata apposita dichiarazione di importazione definitiva (art. 133).

 

Le merci estere, per le quali si siano verificate entrambe le condizioni indicate, si dicono “nazionalizzate” e sono equiparate a quelle nazionali (Art. 134)

L’’articolo 67 del decreto Iva non annovera tra le importazioni le operazioni di immissione in libera pratica in questione, che sono invece disciplinate dall’articolo 50 bis del DL 331/93, da considerarsi legge speciale,

Sulla base del nuovo dettato normativo – articolo 50 bis del DL 331/93 – l’operazione è specificatamente nominata, al quarto comma, lettera b), dello stesso articolo, quale “operazione di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito Iva “. L’imposta sarà dovuta alla estrazione dei beni dal deposito Iva, a seconda della destinazione loro attribuita: “un’operazione interna, intracomunitaria ovvero una cessione all’esportazione “

 

 

Il Decreto IVA, invece, definisce l’importazione all’art. 67, che ribadisce gli stessi concetti ed il cui testo originario è stato modificato, prima, in occasione dell’abbattimento delle barriere doganali avvenuta l’1/01/1993 (D.L. 331/93), e, poi, con la citata Legge 28/97.

 

Per cui, l’art. 67 in commento:

 

1)      fino al 31.12.1992, definiva importazioni, agli effetti dell’IVA, le operazioni considerate importazioni definitive ai sensi delle norme doganali.

Esso recitava testualmente: “costituiscono importazioni, da chiunque siano effettuate, le operazioni considerate importazioni definitive ai sensi delle norme doganali……”

Per effetto di tale collegamento al tributo doganale per la determinazione dell’operazione (importazione) imponibile, al pari dell’imposta doganale, l’IVA era dovuta, per effetto della destinazione delle merci estere al consumo entro il territorio doganale italiano, quale definita nell’art. 36 del TULD, e nel momento della ricezione della relativa “dichiarazione per importazione definitiva”, da parte del funzionario incaricato dell’accettazione;

 

2)      dal 1° gennaio 1993, con l’abbattimento delle barriere doganali la norma è stata completamente riscritta nel seguente modo

Costituiscono importazioni le seguenti operazioni aventi per oggetto beni introdotti nel territorio dello Stato, che siano originari da paesi o territori non compresi nel territorio della Comunità e che non siano stati già immessi in libera pratica in altro paese membro della Comunità medesima…..omissis…:

a) le operazioni di immissione in libera pratica, con sospensione del pagamento dell’imposta qualora si tratti di beni destinati a proseguire verso altro stato membro della Comunità Economica Europea, ovvero ad essere immessi in un deposito non doganale autorizzato”.

Che l’espressione “beni introdotti nel territorio dello Strato”, indicata al primo comma dell’articolo 67, sia l’equivalente del concetto di “immissione in consumo” di cui all’articolo 36 del TULD, risulta dal testo della VI Direttiva IVA, n. 77/388/CEE, nel testo in vigore all’epoca in cui sono state eseguite le operazioni doganali in questione, ove:

– all’articolo 3, primo paragrafo, il “territorio dello Stato” è definito “l’interno del Paese” come definito da ciascuno Stato membro;

– all’articolo 3, paragrafo 2, ove “l’interno del Paese” corrisponde al campo di applicazione del trattato, quale definito per ciascuno Stato membro;

– all’articolo 3, paragrafo 3, che esclude dal concetto di “interno del Paese” i seguenti territori:

…………

omissis

…………

Repubblica italiana:

Livigno, Campione d’Italia e le acque territoriali del Lago di Lugano.

– all’articolo 7 – importazione:

“l’importazione di un bene è effettuata nello Stato membro nel cui territorio si trova il bene nel momento in cui entra nella comunità”.

 

3)      dal 14/03/1997, data di entrata in vigore della Legge 28/97

Costituiscono importazioni le seguenti operazioni aventi per oggetto beni introdotti nel territorio dello Stato, che siano originari da paesi o territori non compresi nel territorio della Comunità e che non siano stati già immessi in libera pratica in altro paese membro della Comunità medesima…..omissis…:

a)    le operazioni di immissione in libera pratica, con sospensione del pagamento dell’imposta qualora si tratti di beni destinati a proseguire verso altro Stato membro della Comunità economica europea

b)    …omissis….

 Risulta subito evidente che è stato soppresso l’inciso “ovvero ad ad essere immessi in un deposito doganale non autorizzato”.e che pertanto l’operazione d’immissione in libera pratica di beni destinati ad essere introdotti nel deposito Iva:

a)   non può più definirsi un’importazione;[4]

b)   l’Iva non è più dovuta in dogana, ma solo all’estrazione dal deposito Iva;

Sono, pertanto, da considerare importazioni ai fini IVA, soltanto:

1)   le operazioni di immissione in libera pratica, purché riguardino beni introdotti nel territorio dello Stato, cioè immessi in consumo in Italia; cioè, ancora, dichiarati in dogana per l’importazione definitiva;

2)   le operazioni di immissione in libera pratica, in sospensione d’imposta, di beni destinati a proseguire verso altro stato membro della Comunità economica europea.

 

Mentre le operazioni di immissione in libera pratica, per merce destinata ad essere introdotta in deposito IVA, non sono più qualificate “importazioni”, ai fini dell’IVA, così come definite all’art. 67 del Decreto IVA.

 

Esse sono, invece, operazioni effettuate senza pagamento dell’imposta, così come ribadito espressamente dall’art. 50 bis comma 4° lett. b).

L’immissione in libera pratica di merce destinata all’introduzione in deposito IVA, perciò:

–       non può considerarsi “un’importazione”, né ai fini doganali, né ai fini dell’imposta sul valore aggiunto;

–       resta tale (immissione in libera pratica), e non si configura in nessun caso come una importazione. L’IVA,  non più dovuta in Dogana per effetto della modifica apportata all’art. 67 del Decreto IVA dalla Legge 28/97, non è più da considerarsi un diritto doganale, così come definito all’art. 34 del TULD (“si considerano diritti doganali tutti quelli che la Dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge”)

Il Ministero delle Finanze, con circolare n. 145 del 10 giugno 1998 emessa allo scopo di fornire chiarimenti in ordine alle nuove disposizioni comunitarie di cui alla direttiva n. 95/7/CE del 10.4.1995, recepite con la legge 18 febbraio 1997, n. 28, al punto 2.1, testualmente recita: “ beni introdotti in deposito Iva. L’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge n. 28 del 1997, ha modificato l’articolo 67 del DPR 633 del 1972, prevedendo, alla lettera a) del comma 1, la soppressione delle parole “ovvero ad essere immessi in un deposito non doganale autorizzato“, nonché l’abrogazione della successiva lettera e). Le modifiche suddette sono strettamente connesse con quanto stabilito dall’articolo 50 bis, comma 4, lettera b) in materia di depositi Iva “;[5]

  • che l’Agenzia delle Entrate, competente in materia di Iva, al capitolo 12.6 della circolare n. 28/E del 21 giugno 2004 ha affermato testualmente: 

“12.6 depositi IVA

Le operazioni elencate nell’articolo 50-bis, comma 4, del decreto legge n. 331 del 1993, relative ai beni introdotti in depositi fiscali ai fini Iva, sono effettuate, ai sensi dello stesso comma 4, senza pagamento dell’imposta sul valore aggiunto. Ai sensi del successivo comma 6 del citato articolo 50 bis, l’imposta è dovuta dai soggetti passivi d’imposta al momento di estrazione del bene dal deposito IVA ai fini dell’utilizzazione o della commercializzazione nello Stato. Costoro sono tenuti ad integrare l’eventuale fattura d’acquisto o ad emettere autofattura con applicazione dell’imposta, e ad annotare entrambe nel registro delle vendite“;

  • che in caso di mancata introduzione in deposito Iva, l’Amministrazione finanziaria deve provvedere a recuperare l’Imposta, IVA interna e non diritto doganale, incamerando la garanzia, ove prestata (come nel caso dei depositi Iva ubicati negli spazi doganali) ovvero chiedendone il pagamento; 

 

La risoluzione n. 440/E del 12/11/2008 dell’Agenzia delle Entrate

 

Con la risoluzione n.440/E del 12 novembre 2008 l’Agenzia delle Entrate ha diramato la risposta ad una istanza di interpello rivoltale dalla società francese ALFA S.A. che opera in Italia tramite un proprio rappresentante fiscale.

Il parere è espresso con molta chiarezza conferma la tesi sin qui sostenuta.

Il quesito si può così scomporre:

I°)     Il rappresentante fiscale in Italia di ALFA S.A. (francese) compra dalla Società Inglese BETA Ltd, che li aveva acquistati presso un Paese Terzo, autoveicoli viaggianti allo stato estero. BETA Ltd emette fattura sul rappresentante fiscale in Italia di ALFA S.A., senza esposizione dell’imposta trattandosi di operazione “fuori campo Iva” per mancanza del presupposto territoriale.

II°)    Il rappresentante fiscale in Italia di Alfa S.A., provvede all’introduzione degli autoveicoli in deposito doganale, in sospensione di Iva, dazi e accise, anche al fine svolgervi manipolazioni usuali, ai sensi dell’articolo 152, primo comma, del TULD, ossia operazioni che non alterano la natura e le caratteristiche essenziali del bene. A tal fine egli dovrà presentare, in nome e per conto di Alfa S.A. la relativa dichiarazione doganale.

III°)   Successivamente il rappresentante fiscale in Italia di Alfa S.A. provvede, prima ad immetterli in libera pratica al fine di corrispondere le risorse proprie e rendere comunitari gli autoveicoli (allo scopo presentando, anche in questo caso, in nome e per conto di ALFA Ltd  la dichiarazione doganale relativa) e poi ad introdurli in un deposito Iva nel quale gli autoveicoli potranno subire interventi di perfezionamento attivo, ai sensi dell’articolo 50 bis, comma 4, lettera h) del DL 331/93, consistenti nel montaggio di accessori o nella riparazione dei mezzi danneggiati o mal funzionanti. Gli accessori e i mezzi di ricambio da utilizzare nella riparazione, da introdurre anch’essi nel deposito Iva, potranno essere acquistati da fornitori nazionali, oppure in un altro Paese UE da altri fornitori comunitari.

IV°)   Gli autoveicoli, all’atto dell’estrazione dal deposito Iva, possono avere le seguenti tre diverse destinazioni:

         – essere venduti ai concessionari italiani;

         – essere inviati alla società francese ALFA S.A.

essere inviati in Spagna, dove è presente un rappresentante fiscale della stessa ALFA S.A.

 

         Innanzitutto l’Agenzia ha ritenuto di dover premettere i seguenti concetti, per certi versi ancora posti in discussione, e da ritenersi così definitivamente fissati:

  1. i due tipi di deposito, quello doganale e quello Iva, assolvono a funzioni diverse in ragione della diversa posizione fiscale delle merci in esse introdotte. Infatti, nei depositi doganali sono introdotti e conservati beni “allo stato estero”, cioè beni che non sono stati ancora immessi in libera pratica in ambito comunitario e per i quali non sono stati ancora assolti i dazi doganali e gli altri diritti doganali,…omissis…I depositi Iva, regolati dall’articolo 50 bis del DL n. 331 del 1993, consentono, invece, di poter custodire merce comunitaria e di poter effettuare tutte le operazioni relative ai beni in essi introdotti senza l’applicazione dell’Iva, che verrà assolta al momento dell’estrazione dal deposito dei beni medesimi”
  2. stabilita la diversa operatività dei due tipi di deposito, all’interno dei quali possono essere custoditi beni in posizione doganale differente, va ricordato che i depositi doganali, ex lege e senza ulteriore specifica autorizzazione, possono essere utilizzati come depositi Iva, a condizione, tuttavia, che ne sia data comunicazione alla dogana competente alla vigilanza e che siano indicate le modalità adottate ai fini della individuazione delle merci soggette ai diversi regimi. Tali modalità non consistono, necessariamente, nella individuazione di aree distinte all’interno dello stesso deposito, ma nel porre in essere ogni utile accorgimento per rendere visibilmente chiaro il regime cui sono sottoposti i beni, quale, ad esempio, l’apposizione di specifici contrassegni.

 

Fatte queste premesse, si riportano qui di seguito, gli stralci della circolare riferibili al caso in esame e che riguardano gli adempimenti che la Società francese ALFA S.A. deve porre in essere attraverso l’ausilio del proprio rappresentante fiscale in Italia:

 

1. Introduzione di beni in deposito IVA.

All’atto dell’immissione in libera pratica verranno assolti i dazi e gli altri diritti doganali diversi dall’IVA, la quale non verrà corrisposta in quanto i beni sono contestualmente introdotti in un deposito IVA. Il rappresentante fiscale dovrà essere indicato, quale destinatario, al quadro 8 del DAU.

 

2. Estrazione dei beni dal deposito IVA.

Nella successiva fase di estrazione delle autovetture dal deposito IVA, per i beni destinati al mercato italiano il rappresentante fiscale italiano dovrà assolvere l’IVA tramite l’emissione di autofattura ai sensi dell’art. 17, terzo comma, del DPR n. 633 del 1972, secondo quanto previsto dall’art. 50-bis, comma 6, del DL n. 331 del 1993.

 

3. Acquisto di accessori e pezzi di ricambio (acquisto intracomunitario).

L’acquisto di accessori e pezzi di ricambio presso fornitori comunitari sarà effettuato attraverso il rappresentante fiscale italiano come “acquisto intracomunitario” con introduzione nel deposito IVA. Il rappresentante integrerà la fattura emessa dal fornitore comunitario senza applicazione dell’IVA, ai sensi dell’art. 50-bis, comma 4, lett. a), del citato D.L. n. 331 del 1993 e compilerà l’elenco riepilogativo degli acquisti intracomunitari. Gli accessori e i pezzi di ricambio provenienti dal mercato nazionale e ceduti dai fornitori italiani direttamente ad ALFA S.A, potranno essere fatturati senza applicazione dell’imposta ai sensi dell’art. 50-bis, comma 4, lett. c), del citato D.L. n. 331 del 1993, a condizione che siano introdotti, all’atto della cessione, nel Deposito IVA a cura dello stesso cedente. A tal fine si rammenta che, come chiarito con la risoluzione del 15 maggio 2001, n. 66, e anche con riferimento alle precisazioni contenute nella circolare del 23 febbraio 1994, n. 13, “l’obbligo di avvalersi del rappresentante fiscale, ancorché già nominato per altre operazioni, non sussiste nelle ipotesi in cui sia per le cessioni che per le prestazioni, l’operazione venga posta in essere direttamente tra l’operatore comunitario e quello nazionale”.

 

Questa risposta ad un interpello che, per gli addetti ai lavori, può apparire per certi versi addirittura ovvia, afferma invece, con la massima chiarezza anche la funzione del rappresentante fiscale ai fini Iva, senza del quale il soggetto comunitario non avrebbe potuto né presentare le dichiarazioni in dogana, ai sensi dell’articolo 4, punto 18) del CDC (dichiarazione d’introduzione in deposito e quella d’immissione in libera pratica ai fini dell’introduzione degli autoveicoli in deposito Iva), né porre in essere l’acquisto intracomunitario di accessori e pezzi di ricambio da introdurre nel deposito Iva.

La insistenza della dogana a non riconoscere che l’Agenzia delle Entrate, unanimemente riconosciuta competente in tema di depositi Iva e di iva interna e intracomunitaria condivide, parola per parola, le tesi sin qui esposte dalla ricorrente è del tutto incomprensibile. 

gianni gargano

 


[1] Raggiunto il quale, cesserà il rapporto di rappresentanza fiscale.

[2] In realtà la vendita si merce in deposito può essere posta in essere anche direttamente dal mandante non identificato in Italia: Non cos’ per il soggetto che provvederà all’estrazione dei beni che dovrà, invece, essere necessariamente un soggetto Iva nello Stato.

[3] Non è possibile, una volta svincolata la merce, riportare, per così dire, le lancette dellorologio indietro, e mutare la destinazione doganale da immissione in libera pratica a importazione definitiva.

[4] Che l’immissione in libera pratica di beni destinati all’introduzione in depositi Iva, di cui alla lettera b) del quarto comma dell’articolo 50 bis del D.L. 331/91 è logica e comprensibile, in quanto la merce non viene immessa in consumo, secondo il concetto doganale d’importazione (articolo 36 del TULD), né introdotta nel territorio dello Stato ( articolo 67, primo comma del DPR 633/72), ma introdotta in un luogo (il deposito Iva) nel quale resta in sospensione d’imposta, sotto la responsabilità del depositario. L’imposta sarà dovuta all’estrazione se destinata al mercato italiano, e non si tratterà di riscossione di un diritto doganale, ma di iva interna:

[5] l’espressione, pure contenuta a pagina 21.1 della circolare 145 in commento, che l’immissione in libera pratica in esame “ è da considerarsi importazione , non più in sospensione d’imposta, bensì non soggetta ad Iva sulla base di una dichiarazione dell’importatore circa la destinazione del bene comprovata dalla restituzione di copia del documento doganale munito dell’attestazione, sottoscritta dal depositario, di avvenuta presa in carico delle merci nel registro previsto per i depositi Iva dall’art. 50 bis, comma 3, del D.L. 331/93”, e da ritenere irrilevante e da attribuire ad un lapsus dell’estensore della circolare emessa il 10 giugno 1998, per aver essa stessa ammesso che in virtù delle modifiche apportate all’articolo 67 dalla legge 28/97, l’iva non più dovuta in dogana.

gianni gargano

 

 

 

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