Maggiore IVA accertata in dogana. Chi la paga e chi la detrae?

La responsabilità del rappresentante indiretto del pagamento dei diritti doganali

Spesso, sia in dottrina che in giurisprudenza, si tende ad estendere al rappresentante indiretto la responsabilità del pagamento dei maggiori diritti doganali (intesi in senso ampio, ossia come dazi ed altri diritti applicabili alle merci importate, quali IVA, accise, ecc.), siano essi dovuti a seguito di revisione di accertamento o di altro fatto che ne possa legittimamente costituire il presupposto per la richiesta. Tale conclusione viene logicamente argomentata sulla base del combinato disposto degli artt. 4 e 201, paragrafo 3, del Codice Doganale Comunitario (Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913 del Consiglio). Più precisamente, l’art. 4, paragrafo 1, punto 19, considera “dichiarante” la persona che effettua la dichiarazione in dogana a nome proprio, ovvero la persona in nome della quale è fatta una dichiarazione in dogana. L’art. 201, dopo aver premesso al paragrafo 2 che l’obbligazione doganale sorge al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana, al successivo paragrafo 3 stabilisce che il debitore è il “dichiarante”. In caso di rappresentanza indiretta è parimenti debitrice la persona per conto della quale è presentata la dichiarazione in dogana.

Occorre innanzitutto precisare che la materia doganale, all’interno dell’Unione europea, è costituita da due gruppi di norme: una disciplina principale, di stampo europeo, racchiusa principalmente nel Codice Doganale Comunitario e nel relativo Regolamento di applicazione (Reg. 2454/1993), che si applica in maniera uniforme a tutti gli Stati membri, ed una serie di norme di diritto interno, proprie di ciascuno Stato membro, aventi una portata residuale, in quanto volte a disciplinare aspetti secondari non direttamente regolamentati dalla normativa europea.

Per inquadrare correttamente la questione in esame, occorre inoltre soffermarsi sui diritti doganali, sulla loro natura e sulla loro debenza all’atto della presentazione della merce in dogana da parte del suo detentore. Nell’illustrare tali caratteristiche, si seguirà il seguente schema:

a)    classificazione dei diritti che la Dogana è tenuta a riscuotere;

b)    riscossione dei diritti in sede di primo accertamento;

c)    natura dell’imposta sul valore aggiunto;

d)    risorse proprie dell’Unione Europea;

e)    responsabilità solidale del rappresentante indiretto;

f)     detrazione dell’imposta sul valore aggiunto in sede di revisione dell’accertamento.

 a)    Classificazione dei diritti che la Dogana è tenuta a riscuotere

 I diritti che la dogana deve riscuotere all’atto di una operazione di importazione o di esportazione sono indicati all’art. 34 TULD, che li classifica come segue:

  • diritti doganali”: sono in genere tutti quei diritti che la dogana è tenuta a riscuotere in relazione ad una determinata operazione doganale in forza di una specifica legge;
  • diritti (doganali) di confine”: sono i dazi di importazione e quelli di esportazione, i prelievi e le altre imposizioni all’importazione o all’esportazione previsti dai Regolamenti europei e dalle relative norme di applicazione e (per quanto concerne le merci in importazione), i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato. La categoria dei “diritti di confine” rappresenta pertanto una sub specie di diritti doganali, espressamente elencati dal legislatore nazionale, sia pure in maniera non tassativa ed individuati  facendo riferimento a tutte quelle prestazioni a carattere tributario il cui obbligo di versamento è collegato all’effettuazione di un’operazione doganale. Tra i diritti di confine figurano, secondo la giurisprudenza, una gamma assai eterogenea di entrate a carattere tributario, tutte accomunate dal fatto che il diritto alla loro percezione scaturisce dall’effettuazione di operazioni doganali in senso lato (es. tasse di sbarco ed imbarco, tassa di ancoraggio, diritti di magazzinaggio, diritti per visita sanitaria, diritto di stazionamento per natanti da diporto, ecc.).

La classificazione in oggetto non ha rilievo puramente dottrinale, in quanto assume rilievo ai fini dell’applicabilità della disciplina sulle violazioni doganali. Nel nostro ordinamento infatti solo l’evasione fraudolenta dei “diritti di confine” (e non anche delle altre tipologie di diritti doganali all’importazione) è sanzionata dalla legge doganale con il reato di contrabbando.

 b)   Riscossione dei diritti in sede di primo accertamento

 In sede di primo accertamento, trova applicazione l’articolo 38 del T.U.L.D. (D.P.R. 23 gennaio 2014 n. 43) a norma del quale (vedi anche Cassazione I Sezione Civile del 07.01.1961 in Pezzinga – Giuffré Editore – “La Legge Doganale”), soggetti passivi dell’imposta sono tanto il proprietario della merce, quanto colui che provvede semplicemente alla presentazione della merce in dogana o detiene la stessa al momento del passaggio della linea doganale, ancorché non proprietario nonché il semplice importatore o esportatore. La norma non fa alcuna differenza tra rappresentante diretto o indiretto, basandosi sul principio che chi presenta la dichiarazione doganale debba pagare i diritti sulla merce in essa dichiarata.

La liquidazione e la riscossione dei diritti doganali devono seguire le norme previste dal TULD e dalle altre norme nazionali (D.Lgs. 374/90).

I dazi, i prelievi e le altre imposizioni previste dai Regolamenti europei sono, invece, accertati e riscossi secondo le disposizioni dei relativi Regolamenti europei.

Le stesse disposizioni si devono osservare anche per quanto concerne i rimborsi e gli sgravi ed i recuperi dei diritti doganali.

Così dispone l’articolo 3 (rispettivamente, commi 1, 2 e 3) del D.Lgs. 374/90 che ha abrogato all’articolo 24 il previgente articolo 35 del T.U.L.D.

 c)    Natura dell’Imposta sul Valore Aggiunto

 L’Imposta sul Valore Aggiunto è un diritto doganale, in quanto la Dogana è deputata alla sua riscossione. Si dibatte, però, se sia da ricomprendere o meno tra i diritti di confine, così come definiti al 2° comma dell’art. 34 del T.U.L.D.

Per i motivi qui di seguito specificati, la questione se l’IVA all’importazione sia o meno da ritenersi un diritto di confine appare assolutamente irrilevante.

L’art. 34 del TULD definisce diritti di confine, tra gli altri, le imposte di consumo dovute all’importazione. Poiché l’IVA è un’imposta di consumo (sia perché colpisce il consumo dei beni, sia perché così definita all’articolo 1, paragrafo 2 della Direttiva 2006/112/CE dell’11 dicembre 2006 del Consiglio) quando è dovuta all’importazione dei beni, rientra nel novero dei diritti di confine.

Tale considerazione, tuttavia, non inficia la neutralità dell’imposta, né porta a teorizzare l’esistenza di una “duplice” Iva: una “generica” ed una all’importazione. Il settimo considerando della Direttiva in esame precisa che.: “ il sistema comune di Iva dovrebbe portare, anche se le aliquote e le esenzioni non sono completamente armonizzate, ad una neutralità dell’imposta ai fini della concorrenza nel senso che, nel territorio di ciascuno Stato membro, sui beni e sui servizi di uno stesso tipo gravi lo stesso carico fiscale, a prescindere dalla lunghezza del circuito di produzione e di distribuzione”.

L’IVA pertanto resta un unico tributo, qualunque sia la sua modalità di accertamento: all’importazione (ai sensi degli articoli 1, 67 e 70 del DPR n. 633/72), o secondo l’ordinaria modalità di funzionamento dell’IVA interna (riscossione, liquidazione e dichiarazione).

Se dovuta all’importazione essa viene qualificata come diritto di confine, ma non per questo può essere equiparata ai dazi, ai prelievi ed alle altre imposizioni all’importazione ed alla esportazione, che costituiscono risorse proprie dell’UE e le cui modalità di accertamento e di riscossione sono demandate alla normativa UE.

L’IVA pertanto, se riscossa all’importazione, costituisce un diritto di confine, ma non anche una risorsa propria dell’Unione.

 d)   Risorse proprie dell’Unione Europea

 Occorre a questo punto soffermarci brevemente sulla individuazione delle risorse proprie dell’UE, quali sono i dazi, le cui modalità di accertamento e riscossione sono demandate a Regolamenti europei (Codice Doganale Comunitario – Reg. CEE 2913/92, d’ora in avanti “CDC”, e relative Disposizioni di Attuazione – Reg. CE 2454/93, d’ora in avanti “DAC”) e che hanno natura e caratteristiche del tutto diverse da quelle dell’IVA che, invece, è un’imposta dovuta in ciascuno Stato membro qualora la merce sia destinata al consumo all’interno di quello Stato. La disciplina sull’IVA è armonizzata in tutta l’UE (vedasi la Direttiva 2006/112/CE), sebbene ciascun membro sia libero di regolamentarne il funzionamento allo scopo di adeguarlo al proprio sistema tributario.

Per questo motivo l’Imposta sul Valore Aggiunto è disciplinata da Direttive che vengono recepite dai singoli Stati membri e non da Regolamenti che, invece, sono direttamente applicabili (quali, appunto, il Codice Doganale Comunitario e le relative Disposizioni di Attuazione, che costituiscono la normativa doganale di base applicabile in tutta l’UE).

L’attuale sistema di finanziamento del bilancio della UE è regolato dalla Decisione sulle Risorse Proprie n. 597/2000 che elenca queste ultime come segue:

– R.P.T. – Risorse Proprie Tradizionali (dazi doganali, prelievi agricoli e contributi sulla produzione dello zucchero) versate alle casse dell’UE previa deduzione del 25% a favore dello Stato membro di contribuzione (quale rimborso delle spese di riscossione);

L’IVA, che pur non essendo una risorsa propria dell’Unione europea, concorre al finanziamento di quest’ultima. Ciascuno Stato membro rimette alle casse dell’UE un importo, attualmente pari allo 0,50 %, di tutta la base imponibile IVA comunque accertata – in dogana o altrove – restando l’imposta sempre unica e neutra.

Nessuna assimilazione può pertanto farsi tra le risorse proprie dell’UE, disciplinate dal CDC e dalle DAC e l’IVA riscossa ed accertata in dogana.

L’assimilazione tra l’IVA riscossa in dogana all’importazione e le risorse proprie europee non appare, perciò, condivisibile.

Ne consegue che il rappresentante indiretto è debitore dei maggiori dazi, prelievi (Risorse Proprie Tradizionali), in quanto l’art. 201, terzo paragrafo, del CDC – che a quelle risorse fa riferimento – espressamente lo considera debitore di tali tributi, in solido con l’importatore. Tale solidarietà non può estendersi – sic et sempliciter – anche all’Imposta sul Valore Aggiunto che è disciplinata in ciascuno Stato membro da norme nazionali specifiche, sia pure basate su criteri comuni, dettati dalle varie direttive europee di armonizzazione.

Senonché con la sentenza n. 7720 del 27.03.213, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che “L’IVA all’importazione, a norma del DPR n. 43 del 1973, articolo 34, comma 2, e del successivo articolo 35 (oggi, D.Lgs. n. 374 del 1990, articolo 3, n. 2) è un diritto di confine che deve essere accertato e riscosso nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo costituito dall’importazione”.

Sul punto si osserva che il riferimento fatto dalla Suprema Corte al 2° comma dell’art. 3 del D.Lgs. 374/90 (che si riferisce ai dazi, ai prelievi e alle imposizioni all’importazione ed all’esportazione previsti da Regolamenti europei, che sono, come sopra meglio definiti, Risorse Proprie Tradizionali dell’UE), non è estensibile all’IVA. Ciò in quanto, come accennato sopra, l’IVA, pur essendo un diritto di confine (anche se la questione è dibattuta in dottrina e giurisprudenza) non è equiparabile in alcun modo ai dazi o ai prelievi, né è tantomeno assimilabile a qualunque altra risorsa propria tradizionale. E ciò, si ribadisce, in quanto non regolamentata in sede UE, ma disciplinata da norme nazionali armonizzate da direttive europee. Per cui il riferimento all’art. 201 del Codice Doganale Comunitario che, si ripete, riguarda esclusivamente i dazi, non pare attagliarsi all’Imposta sul Valore Aggiunto.

 e)    Responsabilità solidale del rappresentante indiretto

 Il rappresentante indiretto, responsabile di tutti i diritti doganali, comunque definiti all’art. 34 del TULD, dovuti all’atto della presentazione della dichiarazione doganale (primo accertamento), deve considerarsi responsabile in solido anche per i maggiori dazi o diritti successivamente accertati?

La risposta è certamente positiva per quanto riguarda i dazi o, comunque, le maggiori risorse proprie tradizionali, stante il disposto dell’art. 201 CDC che considerando dichiarante il rappresentante indiretto, ma parimenti responsabile per l’imposta il rappresentato, sancisce il principio della solidarietà tra questi due soggetti.

Lo stesso ragionamento non può invece estendersi anche all’Imposta sul Valore Aggiunto, ove la Direttiva 2006/112/CE all’art. 201 rimanda alle norme nazionali per l’individuazione del debitore dell’imposta all’importazione, mentre l’articolo 205 fa riferimento alle circostanze, tutte diverse da quella di cui al citato articolo 201, nelle quali gli Stati membri possono stabilire che una persona diversa dal debitore dell’imposta sia responsabile in solido per l’assolvimento dell’IVA.

Il DPR 633/72, che ha recepito le Direttive UE in materia di IVA, ha stabilito:

–       Che l’imposta si applica, tra l’altro, sulle importazioni da chiunque effettuate (art. 1);

–       Che per importazione s’intende l’introduzione della merce nel territorio dello Stato per la sua immissione in consumo (art. 67);

–       Che l’imposta è commisurata al valore dei beni importati determinato ai sensi delle disposizioni doganali (art. 68);

–       Che l’imposta relativa alle importazioni è accertata, liquidata e riscossa per ciascuna operazione e che si applicano, per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine. Viene cioè  confermato che soltanto ai fini sanzionatori l’IVA è equiparata ai diritti di confine, con la conseguenza che l’imposta resta unica e neutrale, per cui nel caso di evasione di IVA all’importazione, in caso di dolo o colpa grave, si configura il reato di contrabbando, negli altri casi la violazione sarà punita con le sanzioni amministrative previste dalle leggi doganali relative ai diritti di confine (art. 70);

–       Che, in applicazione degli articoli 167 e 168 della Direttiva 2006/112/CE, il diritto alla detrazione compete al soggetto passivo in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione (art. 19).

In conclusione, mentre per quanto riguarda i dazi e le altre risorse europee, la solidarietà viene sancita da Regolamenti UE (nella fattispecie, dall’art. 201 del CDC), per quanto riguarda l’IVA, la norma nazionale nel recepire l’articolo 201 della Direttiva 2006/11/CE non prevede alcuna solidarietà a carico di un soggetto diverso dall’importatore.

f)     Detrazione dell’imposta sul valore aggiunto in sede di revisione di accertamento

Infine, si ritiene che, nel rispetto dei termini indicati dalla citata Circolare 35/E del 17.12.2013, il rappresentante indiretto – che abbia dovuto corrispondere l’imposta o la maggiore imposta  perché riconosciutone debitore in sede contenziosa o in qualunque altra sede – abbia il diritto a portare in detrazione l’IVA pagata a seguito di accertamento, in quanto l’imposta pagata resta a suo carico in virtù della modalità di presentazione delle dichiarazioni doganali d’importazione (rappresentanza indiretta) che lo fa ritenere soggetto passivo ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

La Direttiva 2006/112/CE fissa il principio generale della neutralità dell’imposta sul valore aggiunto (art. 1, punto 2 della Direttiva 2006/112/CE), operante attraverso il meccanismo della detrazione dell’imposta, di cui agli artt. 167 e ss. della citata direttiva.

Tale meccanismo opera riconoscendo al soggetto passivo il diritto di detrarre dall’imposta di cui è debitore, l’importo dell’IVA assolta sugli acquisti a titolo di rivalsa ovvero pagata all’atto dell’importazione dei beni nel territorio dello Stato.

Il meccanismo della detrazione è stato recepito dall’art. 19 del D.P.R. 633/72, il quale dispone che affinché il soggetto passivo possa avvalersi del diritto alla detrazione è necessario che l’imposta sia stata assolta (ovvero che sia dovuta) e che la stessa sia relativa a beni e/o servizi utilizzati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione (principio di inerenza).

Nel caso prospettato, l’IVA viene richiesta a seguito di revisione di accertamento di operazioni di importazione di beni di proprietà dei clienti del rappresentante indiretto (mandanti), che ha provveduto a presentare e sottoscrivere le relative dichiarazioni  doganali.

Quelle importazioni, benché relative a beni non di proprietà del rappresentante indiretto, devono, tuttavia, ritenersi inerenti all’attività da lui svolta, considerata, innanzitutto, l’irrilevanza del diritto di proprietà della merce (non richiamato nel citato art. 19 del DPR 633/72 ai fini della detrazione dell’imposta).

La presentazione di dichiarazioni doganali, e i relativi rischi che ne conseguono, rientrano a pieno titolo fra le prestazioni tipiche rese nell’esercizio d’impresa dalle “case di spedizioni internazionali”. Considerato, altresì, che l’attività svolta dal rappresentante indiretto è soggetta all’imposta sul valore aggiunto, ne deriva che per l’IVA richiesta dalla Dogana a seguito di revisione dell’accertamento doganale e da lui corrisposta, deve riconoscersi il diritto alla detrazione.

Negare al rappresentante indiretto il diritto alla detrazione dell’IVA richiestagli a seguito di rettifiche e/o revisione d’accertamento, lo lascerebbe inciso dell’imposta, in violazione del richiamato principio di neutralità, principio cardine dell’Imposta sul Valore Aggiunto (art. 1, punto 2 della Direttiva 2006/112/CE), confermato anche dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza del 12 luglio 2012, resa nella causa C-284/11.che, nel dispositivo, recita “il principio di neutralità fiscale osta a una sanzione consistente nel diniego del diritto alla detrazione”.

Negare al rappresentante indiretto il diritto alla detrazione, oltre a comportare una violazione ai principi generali dell’imposta, armonizzati a livello comunitario dalla Direttiva 2006/112/CE, rappresenterebbe una disparità di trattamento tra due soggetti gravati dagli stessi obblighi, in quanto per uno (l’importatore / proprietario delle merci) l’imposta sarebbe detraibile e, perciò, neutra (restando a suo carico soltanto gli interessi e la sanzione), per l’altro (il rappresentante indiretto in dogana), l’imposta si tradurrebbe in costo puro e semplice ed in una ulteriore sanzione rispetto a quella già comminatagli per le violazioni contestate. Egli, alla fine, resterebbe inciso: dell’IVA, dei relativi interessi e delle relative sanzioni.

Tale comportamento violerebbe il principio di uguaglianza fiscale (cfr. art. 3 e 53 della Costituzione), in quanto la stessa situazione avrebbe conseguenze diametralmente opposte per due soggetti ai quali la legge prescrive gli stessi obblighi. Uguaglianza fiscale la quale impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa.

Conclusioni

In questa breve trattazione non abbiamo considerato la figura dello spedizioniere doganale che abbia agito nei limiti dei poteri, conferitigli mediante procura, con le modalità della rappresentanza diretta.

La legge 25 luglio 2000, n. 213 ed una giurisprudenza consolidata escludono da ogni responsabilità civile lo spedizioniere doganale che, a maggior ragione, deve essere considerato esonerato da ogni responsabilità per l’Iva da corrispondere in dogana a seguito di revisione di accertamento.

gianni gargano

francesco pagnozzi

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