Deducibilità dei “costi da reato”

Il decreto sulle semplificazioni fiscali (D.L. n. 16/2012), interviene, tra l’altro, sulla deducibilità dei cosiddetti “costi da reato”.

In particolare l’art. 8, comma 1, 2 e 3 del D.L. 16/2012 (sulle semplificazioni fiscali) rubricato alle “Misure di contrasto all’evasione” così recita:

comma 1: Il comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, è sostituito dal seguente: «4-bis. Nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi»;

comma 2: Ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi.

comma 3: Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi; resta ferma l’applicabilità delle previsioni di cui al periodo precedente ed ai commi 1 e 2 anche per la determinazione del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive.

Prima delle modifiche apportate al citato articolo 14, co.4-bis, della legge 537/1993 era previsto che, nella determinazione del reddito imponibile, non fossero ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l`esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti.

Ora, invece, grazie alle succitate modifiche, viene chiarito che l’indeducibilità riguarda solo i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come “delitto non colposo” per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale, facendo così salva la deducibilità degli oneri correlati al compimento dei “delitti colposi”, in ragione della non intenzionalità del reato commesso.

La deducibilità ha effetto anche ai fini IRAP ed è applicabile anche in caso di reati commessi prima dell`entrata in vigore del D.L. 16/2012 (2 marzo 2012), ove più favorevole (tenuto conto delle imposte, o maggiori imposte dovute), a condizione che i provvedimenti emessi in base alla previgente disposizione non si siano resi definitivi.

Da ultimo, viene specificato che, nelle ipotesi di “delitti non colposi” – per i quali vige il regime di indeducibilità dei costi – qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione, compete il rimborso delle maggiori imposte versate e dei relativi interessi.

Da quanto detto deriva, quindi, che le fatture soggettivamente inesistenti sono sempre deducibili.

Sul punto la relazione illustrativa al Decreto Legge è chiara: “per effetto di tale disposizione, l’indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fattura o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”.

Si tratta di operazioni realmente avvenute in cui, di norma, il cedente o il prestatore non è quello reale. È il caso della maggior parte delle frodi carosello. L’amministrazione, in queste ipotesi, è solita contestare all’acquirente non solo l’Iva detratta ma anche l’indeducibilità del costo (da reato).

Ne consegue che i soggetti terzi coinvolti nelle frodi carosello (che dovrebbero rappresentare la casistica più numerosa cui si rivolge la normativa) non hanno più problemi di deduzione del costo: i beni acquistati infatti non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, venduti.

Si passa, quindi, da una generica “riconducibilità” a fatti qualificabili come reato, a spese e costi “direttamente” utilizzati per il compimento di atti o attività illeciti.

Si tratta, in buona sostanza di un restringimento dell’ambito della indeducibilità.

In presenza, viceversa, di costi relativi a beni o prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di attività delittuose, non colpose, l’indeducibilità scatta solo dopo l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, evidentemente per il delitto cui si riferiscono direttamente i beni acquistati (è il caso, per esempio, della contraffazione).

Se successivamente dovesse intervenire una sentenza definitiva assolutoria, al contribuente competerà il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione e dei relativi interessi.

La nuova norma al comma 2, inoltre, stabilisce che non vengono rettificati quali maggiori ricavi, in sede di accertamento, i componenti positivi, direttamente afferenti costi e spese non sostenuti, nella misura in cui i costi (derivando da fatture false) non sono stati ammessi in deduzione. Si applica, comunque, una sanzione dal 25% al 50% dell’ammontare delle spese non sostenute, riducibile eventualmente di un terzo ove si faccia acquiescenza alle sanzioni.

Resta ovviamente ferma l’indetraibilità dell’Iva sugli acquisti relativi a fatture oggettivamente inesistenti.

Il comma 3 precisa, infine, che le nuove norme trovano applicazione anche per il passato ove più favorevoli rispetto a quelle previgenti salvo che i provvedimenti già emessi non siano definitivi.

Ciò vuol dire che i contribuenti cui sia già stato notificato un accertamento in base alle vecchie regole (la casistica più frequente attiene proprio le fatture soggettivamente e oggettivamente inesistenti) potranno chiedere l’applicazione delle disposizioni più favorevoli.

Se invece è già in corso un contenzioso, il contribuente dovrà chiedere analogamente al giudice l’applicazione delle disposizioni più favorevoli.

 gianni gargano

vincenzo guastella

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