La chiarezza delle norme evita problemi ai contribuenti

La lotta all’evasione è argomento quotidiano di conversazione.

Esso è tra gli obbiettivi principali che si propone il Governo.

Il “compito” è affidato al Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Premesso che la lotta all’evasione deve essere stato sempre l’obbiettivo principale dell’Amministrazione, posto a garanzia della giustizia sociale, e premesso che è utopistico eliminarla del tutto, devo ribadire, per l’ennesima volta, che senza norme chiare e di facile applicazione, capaci di contribuire alla certezza del diritto, quell’obbiettivo rischia di essere raggiunto a scapito di chi cerca di adeguare i propri comportamenti a quelli dell’onestà e del vivere civile.

Su questo blog e in “Le Voci di Fuori” si è posto chiaramente il problema del valore all’importazione dei beni che certamente determina l’evasione innanzitutto dei dazi e, solo successivamente, di qualsiasi altra imposta dovuta. In quelle occasioni si è fatto riferimento agli anni 1995/2005 nei quali pochissime revisioni dell’accertamento furono fatte e ove qualche dubbio sulla congruità dei valori dichiarati poteva sorgere.

L’obbiettivo della lotta all’evasione non si persegue se non combattendo il riciclaggio del danaro superiori ai 5000 euro, e verificando le posizioni patrimoniali dei soggetti sensibili, intendendo per tali tutti quelli partecipanti alla “filiera”.

Le regole poste dall’ordinamento tributario, per essere di certa e corretta applicazione, o non devono essere oggetto di commento da parte dell’Amministrazione, ovvero, se commentate, le relative circolare, note e risoluzioni devono contribuire a semplificare “la vita” del contribuente e non a creare dubbi interpretativi che possano generare falsi convincimenti utili soltanto a produrre un maligno contenzioso.

Faccio, non a caso, due esempi.

Primo

La risoluzione 134/E del 20 dicembre 2010 secondo me è sbagliata. E l’ho scritto su questo blog in un articolo pubblicato il 4 gennaio scorso intitolato, apunto, “La Risoluzione 134/E per me è errata”. Non pretendo di avere ragione ma i miei dubbi sono rimasti intatti.

Nel frattempo come si sono comportati i contribuenti?

Si sono adeguati al parere fornito dall’Agenzia delle Entrate con quella risoluzione, o si sono comportati secondo l’interpretazione da me data in quell’articolo?

Certo è che pare molto difficile considerare “esportazione” a tutti gli effetti, anche a quelli IVA, la cessione di merce giacente in un altro paese UE, ad un soggetto terzo, con spedizione diretta da quel paese UE verso un paese terzo.

Con tutte le conseguenze relative.

Ad un povero diavolo, in sede di un’eventuale verifica, potrà essere contestazione una violazione anche molto grave, in entrambi i casi, anche se abbia agito in perfetta buona fede.

E’ giusto questo?

E l’eventuale entrata potrà considerarsi conseguita a seguito di lotta all’evasione?

O l’evasione è un’altra?

Secondo

I depositi IVA.

Qui di vuol dire delle operazioni previste alla lettera b) del comma 4) dell’art. 50 bis del D.L. 331/93.

Tutto funzionava a meraviglia, anche l’Amministrazione aveva fissato le regole di comportamento. Aveva riconosciuto che la merce dovesse entrare del deposito senza che fosse necessario scaricarla dal mezzo di trasporto e senza che fosse necessario un tempo minimo di sosta; e che così erano riconosciute le funzioni di stoccaggio e di custodia, che all’estrazione, se immessa in consumo nel territorio dello Stato, l’IVA doveva essere assolta con autofattura o fattura integrata da registrarsi con il metodo del “reverse charge”.

Poi è intervenuta una norma di interpretazione autentica che ha stabilito che le prestazioni di servizio eseguite sui beni consegnati al depositario costituiscono introduzione, anche se eseguite negli spazi limitrofi.

Poi è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione la quale ha fissato dei principi assolutamente nuovi e di difficile comprensione.

E’ vero che la questione riguardava un piccolo deposito incapace di contenere, se non frazionatamente, tutta la merce lì destinata, però è anche vero che quella sentenza ha affermato, per quel che interessa:

–       che l’istituto del deposito IVA è disciplinato dagli artt. da 98 a 110 del CDC, ove si parla dei depositi doganali;

–       che il reverse charge non è assolvimento dell’imposta, in quanto la registrazione dell’autofattura, o della fattura integrata, non è altro che un’operazione di compensazione dell’IVA nazionale a debito con quella a credito e che, pertanto, in caso di contestata mancata introduzione, l’IVA resterebbe dovuta in dogana;

–       ha di fatto abrogato il comma 5 bis dell’art. 16 del D.L. 185/2008.

Ma:

–       nei depositi doganali privati, disciplinati proprio dagli artt. da 98 a 110, non va immagazzinata merce terza? Che invece non può neanche sfiorare il deposito IVA?

–       quello del deposito doganale non è un regime doganale, mentre quello del deposito IVA no? Non occorre porre altri interrogativi, perché la questione è di tale evidenza che basta consultare quegli articoli del codice per rendersi conto che il deposito IVA non può mai essere disciplinato da quelle norme;

–       i depositi IVA non si dividono in istituzionali, tra i quali anche i depositi franchi, i magazzini ubicati in zone franche, i magazzini generali e non istituzionali, in quanto autorizzati, a date condizioni, dall’Agenzia delle Entrate? E sono tutti disciplinati dagli artt. da 98 a 110 del CDC? Sono cioè tutti assimilati ai depositi doganali?

–       il deposito IVA non è invece un deposito non doganale, così come definito dalla direttiva 95/7/CE del 10 aprile 1995? Tant’è che, recependo quella direttiva l’Italia ha introdotto preliminarmente il concetto di deposito non doganale con l’art. 50 del D.L. 331/93 e, poi con l’art. 50 bis dello stesso decreto, ha istituito i depositi IVA;

–       l’IVA non è dovuta all’atto dell’immissione in libera, sia perché così sancisce l’art. 67 del decreto IVA, sia in attuazione del disposto dell’art. 157 della direttiva 2006/112/CE, che consente agli Stati membri di esentare le importazioni di beni destinati ad essere vincolati ad un regime di deposito diverso da quello doganale?

–       l’imposta sul valore aggiunto non è una e neutra a prescindere dalla diversità del sistema di accertamento, con la conseguenza che non vi è distinzione tra IVA all’importazione e IVA interna? Per quanto riguarda la modalità di riscossione dell’IVA all’importazione si tratta solo di una specificità connessa al meccanismo dell’importazione di beni, che determina il versamento dell’IVA per effetto di ciascuna importazione, mentre lo schema ordinario prevede che il soggetto passivo effettui il versamento del tributo per masse e in un momento necessariamente successivo alla liquidazione periodica dell’imposta. Questa diversità nei meccanismi applicativi dell’imposta non può condurre all’affermazione secondo cui si tratterebbe di due distinti tributi. In tal senso, sempre, ed in ogni caso, la Corte di Giustizia Europea e la stessa Corte di Cassazione. L’Amministrazione, dal canto suo, ha sempre riconosciuto (e come avrebbe potuto non farlo?) che il reverse charge è una modalità prevista dalla legge di assolvimento dell’imposta.

Sarebbe opportuno, a questo punto ed a prescindere da esigenze di bilancio o di conseguimento dei risultati, che l’Amministrazione si pronunciasse definitivamente su questi temi, tenendo conto del comportamento di buona fede tenuto sino ad oggi da chi ha osservato le disposizioni antecedenti le pronunce della Cassazione, tutte riferibili ad un singolo caso.

Il mancato versamento dell’IVA può realmente verificarsi in presenza di comportamenti fraudolenti, i quali, però, non investono necessariamente soltanto l’istituto del deposito IVA. Certo chi svolge la professione di contrabbandiere, come nei casi che si leggono continuamente nei comunicati dello stesso Ministero, ricorre a metodi truffaldini quali, ad esempio, la costituzione di società “cartiere” o di fatturazioni false o infedeli. In quei casi tutto è falso e non sarà solo l’IVA a non essere riscossa, ma tutti i tributi comunque ed in ogni caso dovuti.

Ma noi non stiamo da quella parte.

Non lo siamo mai stati, né lo saremo mai.

Quei fatti non sono oggetto del presente articolo, ma sono da riferire soltanto alle Procure della Repubblica.

gianni gargano

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