La “morte” del condono IVA del 2002

In tema di condono, con le Sentenze 17 febbraio 2010, nn. 3673, 3674, 3675, 3676 e 3677, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, adeguandosi alla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 17 luglio 2008, in causa C- 132/06, con la quale, in esito ad una procedura di infrazione promossa dalla CE, è stata dichiarata l’incompatibilità con il diritto comunitario degli artt. 8 e 9 della Legge n. 289 del 2002 relativamente alla condonabilità dell’IVA, impone al giudice nazionale, in ossequio alla necessità di un’interpretazione adeguatrice cui egli è tenuto di fronte ad una rilevata incompatibilità con il diritto comunitario, di disapplicare anche l’art. 12 della medesima legge (definizione delle liti pendenti) nella parte in cui, relativamente all’IVA, consente di definire una cartella esattoriale con il 25% dell’importo iscritto a ruolo.

condono

La Corte, in riferimento al condono Iva del 2002 “condanna la rinuncia generale e indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili relative all’Iva, effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta, tramite la quale la Repubblica italiana viola gli obblighi derivanti dalla sesta direttiva Iva e l’obbligo di leale cooperazione“.

Infatti per i giudici di Lussemburgo “la legge italiana induce fortemente i contribuenti o a dichiarare soltanto una parte del debito effettivamente dovuto o a versare una somma forfettaria invece di un importo proporzionale al fatturato realizzato, evitando in tal modo qualunque accertamento o sanzione“.

Non è pertanto affatto vero quanto sostenuto dalle autorità italiane, ritiene la Corte, e cioè che l’erario grazie al condono ha potuto “recuperare immediatamente e senza la necessità di avviare lunghi procedimenti giudiziari una parte dell’Iva non dichiarata inizialmente“.

In effetti, il condono è intervenuto ancora prima che i soggetti sui quali gravava l’imposta avessero il tempo di decidere se pagare o evaderla: “La misura in questione, implicante appena dopo la scadenza dei termini entro cui i soggetti passivi avrebbero dovuto pagare l’Iva e implicante il pagamento di un importo assai modesto rispetto a quello effettivamente dovuto, consente ai soggetti passivi di sottrarsi definitivamente agli obblighi in materia Iva, perfino quando le autorità fiscali nazionali avrebbero potuto individuare le irregolarità“.

Le pronunce della Corte di Giustizia Europea, prima e della Corte di Cassazione dopo, hanno definitivamente disconosciuto il condono IVA di cui alla Legge n. 289/2002.

L’adesione al condono del 2002 si rivelerà come un vero e proprio “boomerang” per coloro che vi hanno aderito.

Infatti le due sentenze, combinate con il D.L. 223 del 2006 (Decreto Bersani) che ha raddoppiato da quattro a otto anni i termini di accertamento quando si è di fronte a fatti penalmente rilevanti, hanno spinto la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate a notificare, in questi mesi, verbali e avvisi di accertamento che contestavano, appunto reati del 2001 e del 2002 che, per il semplice fatto di aver superato la soglia dei 100 mila Euro, fissata dal D. Lgs. 74/2000, diventano prescrivibili, quelli del 2001, solo al 31/12/2010 (anziché al 31/12/2006), e quelli del 2002, solo al 31/12/2011 (anziché al 31/12/2007).

Adesso si è in attesa solo della pronuncia della Corte Costituzionale (chiamata in causa dalla Commissione tributaria di Napoli) che dovrà chiarire se il raddoppio dei termini può scattare sempre o se deve essere subordinato al fatto che gli ordinari termini di decadenza dell’accertamento siano ancora “aperti”.

In caso di pronuncia sfavorevole per i contribuenti, non resterà a questi ultimi che chiedere alle istituzioni statali il risarcimento del danno, sicuramente un semplice “contentino” rispetto ai vantaggi che lo Stato gli aveva garantito con la sanatoria del 2002.

Vincenzo Guastella

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