Il reverse charge non è un vantaggio fiscale

iva

Di estrema importanza è il principio che non riconosce il cosiddetto “abuso del diritto”, fissato in maniera assoluta dalla Suprema Corte di Cassazione – Sezioni Unite Civili – con la sentenza n. 30055/08 del 02/12/2008.

La sentenza, che si riferisce a tributi non armonizzati in sede comunitaria, quali, ad esempio, le imposte dirette, fissa il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale.

Lo stesso principio, con riferimento, però, questa volta all’Imposta sul Valore Aggiunto, che è armonizzata in sede comunitaria, è stato fissato dalla Corte di Giustizia Europea con sentenza resa nella causa C-255/02 del 21/02/2006 (Halifax ed altri) nella quale è affermato:

  1. A un soggetto passivo che ha la scelta tra due operazioni la VI Direttiva non impone di scegliere quella che implica un maggiore pagamento dell’IVA. Al contrario, come ha osservato l’Avvocato generale al paragrafo 85 delle conclusioni, il soggetto passivo ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale (punto 73 della sentenza).

Ciò considerato, risulta che, nel settore IVA, perché possa parlarsi di un comportamento abusivo, le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della VI Direttiva e della legislazione nazionale che la traspone, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da queste stesse disposizioni (punto 74 della sentenza).

Non solo.

Deve anche risultare, da un insieme di elementi oggettivi, che lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente l’ottenimento di un vantaggio fiscale. Come ha precisato l’Avvocato Generale al paragrafo 89 delle conclusioni, il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove le operazioni di cui trattasi possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di vantaggi fiscali (punto 75);

  1. a tale riguardo occorre ricordare che il sistema delle detrazioni della VI Direttiva intende sollevare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell’IVA garantisce, di conseguenza, la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche indipendentemente dallo scopo o dai risultati di tali attività, purché queste siano, in linea di principio, di per se soggette all’IVA (punto 78 della sentenza).

Fermo restando il diritto del soggetto di scegliere tra l’immissione in libera pratica con destinazione al deposito IVA e l’importazione definitiva, in ogni caso egli è motivato non da un vantaggio fiscale che consisterebbe nel non assolvimento dell’imposta, ma semplicemente nel rinvio della sua corresponsione al momento della sua liquidazione periodica, come riconosciuto anche dalla sentenza in commento.

  1. «….i provvedimenti che gli Stati membri possono adottare ai sensi dell’art. 22, n. 8, della Sesta Direttiva per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine. Essi non possono quindi essere utilizzati in modo tale da mettere in discussione la neutralità dell’IVA, che costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa comunitaria in materia» (sent. cit. punto 92)

gianni gargano

francesco pagnozzi

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