Prato TG3

Ancora un servizio su Prato. Sulla sua gente e sulla città. Entrambe accerchiate, assediate dai cinesi e dalle loro aziende che costituiscono, tutte insieme,  una zona franca.  Libera.

Tanto che ancora una volta abbiamo visto borse piene di soldi. Altro che i cinquemila euro imposti da Tremonti e che, poi, lo stesso non servono a niente, perché aveva ragione Visco ad abbassare l’asticella fino agli onorari professionali dove, pure, si annida una parte importante  dell’evasione fiscale.

Ma torniamo ai cinesi. Al loro modo invasivo di penetrare la nostra società della quale, tuttavia,  si  rifiutano di rispettare le regole.

Tutto è cominciato con l’invasione delle loro merci entrate in Europa senza il rispetto di alcuna regola.

Sono entrate, negli anni che vanno dal 1995 a, perlomeno, il 2005/2006 a valori praticamente  inesistenti, spesso anche contraffatte.

E che hanno arricchito un sacco di gente.

Innanzitutto gli imprenditori. Si, gli imprenditori. Perché se è vero che molti hanno dovuto chiudere, fallire, perché non in grado di sostenere una concorrenza tanto sleale, altri hanno preferito cogliere l’occasione e produrre all’estero, proprio lì in quella Cina che oggi li invade, licenziando di colpo tutte le maestranze, divenute nel frattempo lente e costose.

Poi le banche. Che hanno chiuso non solo gli occhi. Perché quella montagna di denaro è per il loro tramite che ha raggiunto la Cina. Con buona pace di tutte le regole sull’antiriciclaggio del denaro sporco.

Certo, perché merce entrata in Italia a 5/9000  euro per contenitore da quaranta piedi (quelli belli grossi, cioè, che si incontrano sull’autostrada  agganciati alle motrici), non poteva valere così poco, ma almeno dieci volte il valore dichiarato

E allora dai con  merce venduta in nero, con frodi carosello e con esportazione illegale di capitali.

Senza contare che la qualità del lavoro in Cina , per se sola, avrebbe dovuto vietare l’introduzione di quelle merci nei mercati occidentali.

Dove sono finiti gli anni in cui si boicottavano le merci prodotte col lavoro minorile, o con lo sfruttamento del lavoro?

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n una trasmissione di Annozero ,  Santoro quest’inverno  ci ha mostrato  laboratori cinesi  di Prato  con le vetrate oscurate

Me che laboratori e laboratori, quelli erano certamente magazzini di merce importata dalla Cina alla quale si applicava solo le etichette d’origine o i marchi.

Nel buoi assoluto e in piena libertà.

E allora si deve  alzare il coperchio del pentolone per mostrarne il contenuto a tutti.

Per capire quello che è successo in quei famigerati dieci anni che hanno fatto diventare i cinesi così forti e ricchi da comprarsi Prato.

E quel coperchio lo devono alzare le autorità amministrative, non solo i magistrati dai quali si vorrebbe sempre tutto e presto.

Il controllore ci deve dire. Informare. Quello è il suo mestiere, perché non sta lì solo per tenere ben sigillata la pentola a pressione.

Evidentemente i controlli non sono stati insufficienti, nonostante tutti gli sforzi fatti

Qualcosa deve  e può cambiare, perché  il contrabbando segue la merce.

E perciò due cose appaiono urgenti.

La prima:  sottrarre la merce al controllo nel luogo di ingresso nella Comunità, per spostarlo al consumo.

Far fare, insomma, la dichiarazione in dogana all’importatore o ad un terzo per suo conto con responsabilità uguali a quelle dell’importatore, con nuove e dure sanzioni in caso di dichiarazione non veritiera.

Modificare le sanzioni al consumo, fino a giungere al ritiro, prima temporaneo e poi definitivo, delle autorizzazioni ad esercitare il commercio.

gianni gargano

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