La brutta avventura dell’avvocato Paolino Paperino — da “Piazza Bernini”
Quella notte l’avvocato Paolino Paperino non riuscì proprio a dormire. Non era più il papero di una volta. Gli anni erano passati ed il processo del giorno dopo lo aveva letteralmente torturato.
Finalmente l’orologio segnò le sei. Per lui fu una liberazione.
Si alzò, indossò la casacca migliore, la farfallina blu ed uscì di corsa con la sua 313 spider.
Avrebbe incontrato Ciccio alle sette e mezza al solito bar per prendere un caffè e poi andare insieme in tribunale.
Prima curva a sinistra poi a destra, poi un incrocio e poi… BAM…
Una botta della miseria.
Si libera dell’airbag e corre verso l’altra autovettura preoccupato delle sorti dell’altro papero.
Questo era più giovane di lui e grazie a Dio stava bene.
«Ti sei fatto male?» gli chiese
«No.» rispose l’altro «E tu?»
E si abbracciarono sollevati che l’altro stesse bene.
Si accordarono quindi che ciascuno avrebbe provveduto alla propria auto.
Veramente l’avvocato Paperino voleva accollarsi il torto perché, soprapensiero, era passato con il rosso.
«Che fa…» gli rispose l’altro «Stai bene anche tu, no? E allora ringraziamo Iddio.»
Questa era una delle meraviglie di Paperopoli.
Dopo si incontrò con Ciccio ed insieme andarono in tribunale dove, nonostante l’incidente, giunsero intorno alle 08.30.
L’udienza terminò all’ora di pranzo.
L’avvocato Paperino uscì dal tribunale vincitore e sollevato, come quando, da ragazzo, a scuola riusciva a risolvere il compito in classe di matematica oppure all’università superava un esame
Rilassato… E così anche Ciccio che aveva lo stesso carattere dell’avvocato.
Squilla il telefonino:
«Avvocato, c’è una perquisizione allo studio.»
Di colpo l’avvocato si sentì come se avesse perso la causa o come quando, da ragazzo, a scuola aveva sbagliato il compito di matematica ovvero come quando era stato bocciato ad un esame all’università. In più fu assalito dall’ansia, dall’angoscia e da una paura incontrollabile.
«State tranquilli.» rispose «Vengo subito.»
Il percorso che fece con la sua 313 spider non lo dimenticherà più.
La casacca buona
Ce l’hai e non lo sai. Ti può anche capitare di non doverla mai indossare… di poter vivere sempre con lo stessa casacca addosso, di essere un fortunato.
O forse no!
Perché vivere è un occasione unica ed allora anche indossare quella casacca alla fine è un’esperienza. Quando ti capita di doverla indossare ti senti diverso. Ti osservi dal di fuori. Sei esterno a te stesso.
Con quella casacca addosso trovi la forza di fare tutto. Qualsiasi cosa sei costretto ad affrontare. Perché da solo e volontariamente non la indosseresti mai. E così la usi nei momenti più difficili della tua vita. Come quando:
«Pronto?…Sì?»
«Può venire subito?»
«Perché?»
«Perché…»
La giornata delle papere non è sempre facile. Devono badare ai figli, rassettare la casa, predisporre pranzo, cena e prima colazione, fare la spesa di tutti i giorni e poi anche lavorare.
Clarabella era una vera campionessa in questo. Avrebbe potuto insegnare economia domestica. Alle 08.15 in punto, dopo aver organizzato la giornata di tutta la sua famiglia, era arrivata allo studio per aprirlo. Era un fatto eccezionale, perché di solito lo studio l’apriva l’avvocato Paolino Paperino, ogni mattina verso le sette e mezza, ma quel giorno lui era in tribunale.
In verità in assenza dell’avvocato lo studio l’avrebbe dovuto aprire Miss Paperett, la segretaria dell’avvocato, che però, guarda caso, anche lei quel giorno aveva un impegno. Fatto raro.
Clarabella trovò ad attenderla sul pianerottolo il Commissario Basettoni e un’intera squadra di poliziotti che gentilmente la invitarono ad aprire lo studio e a riporre sul tavolo della sala migliore il telefono cellulare.
Uno dopo l’altro arrivarono gli altri colleghi dello studio e cioè Brigitta Paperina e Sport Goofy, sempre elegantissimo con le sue casacche colorate, giunto allo studio con la sua motocicletta.
Dovettero esibire i documenti personali e depositare anche loro i telefoni cellulari.
Sport Goofy rispondendo alla domanda del Commissario Basettoni dichiarò di non poter fare alcuna previsione sull’ora del rientro dell’avvocato Paolino Paperino il quale era in tribunale.
Finalmente, intorno alle nove arrivò Miss Paperett, la regina dello studio, in ritardo perché era stata dal dottore. Era una papera sensibile ed orgogliosa e soffriva molto a vedere lo studio invaso da tanti poliziotti che lo misero a soqquadro per la perquisizione approfittando dell’assenza dell’avvocato.
A nessun cliente fu concesso di entrare e se il telefono squillava nessuno poteva rispondere.
L’avvocato quando entrò, intorno alle 14.00, non gli parve vero. I suoi colleghi di studio lo aspettavano ammassati nel piccolo ingresso. Lesse nello sguardo di tutti l’umiliazione. Sport Goofy era visibilmente provato. La segregazione nell’ingresso dalle 08.30 del mattino l’aveva offeso profondamente.
Più tardi e suo malgrado andò dalla mamma che era spaventatissima per quello che poteva essere accaduto al figlio.
La perquisizione fu dettagliatissima.
L’avvocato trascorse la maggior parte del tempo seduto sulla poltrona del suo ufficio.
La perquisizione, senza che egli ne avesse capito il vero motivo, durò tutto il giorno e tutta la notte.
Furono anche sequestrati i computer.
Tutto terminò solo sette del mattino successivo, ma lui restò seduto su quella poltrona ancora fino al tardo pomeriggio, finché gli furono restituiti i computer perché una loro eventuale rottura o la cancellazione dei dati gli avrebbe causato un danno che lui non avrebbe avuto la forza di affrontare.
Né fisicamente né mentalmente.
Neanche con la casacca buona ci sarebbe riuscito.
Solo dopo che Ciccio li rimise in rete tornò a casa. Erano circa le undici di sera. Trentasei ore dopo l’inizio della perquisizione.
Ciccio era rimasto sempre con lui. Non lo avrebbe mai lasciato solo. In nessun caso e in nessuna occasione. A casa, la sera, trovò sua moglie. Quei due si volevano molto bene. Si amavano. Sai, quei colpi di fulmine che colpiscono i paperi!
Tutto era iniziato il primo giorno di scuola quando lui le aveva chiesto una penna in prestito. Avevano quindici anni ciascuno. Dopo non si erano lasciati più. Lui le aveva sempre chiesto molto.
Durante tutto il tempo della perquisizione l’aveva ripetutamente rassicurata.
«Non ti preoccupare.» le diceva «Non è che una verifica. Non ce l’hanno con me.»
Lei lo rassicurava a sua volta.
E invece la trovò uno straccio.
Anche per lei erano passati gli anni. Aveva finto per non farlo stare peggio.
Si ripresero tutti e due solo dopo qualche giorno.
Lui l’aveva sempre pensato. Fin da ragazzo… E forse anche da prima: se ciascuno potesse sentire un po’ il dolore, la fame, la paura, l’ansia, l’ angoscia dell’altro il mondo sarebbe migliore. Invece non è così. Il papero non condivide nulla col suo simile. Resta indifferente. Sì! Resta indifferente. Anche quando mostra di condividere quel dolore. In realtà la sofferenza altrui gli provoca un sottile piacere. Lo stesso piacere che a certi paperi dà il male. Lui l’aveva sempre pensato. Fin da quando era un giovane papero… e anche da prima.
Perciò in quei due giorni e in quella notte, durante tutto il tempo della perquisizione, indossato il vestito buono, non si era meravigliato di niente. Perché tutto rientrava nella natura umana.
«Chissà…» aveva pensato durante quel tempo «…se un giorno ci sarà dato di comprendere, con una diversa, nuova intelligenza.»
Mangiarono insieme. Poco, perché erano stanchi. Lei era felice, come sempre quando stava con lui.
Ogni suo gesto glielo faceva capire. I suoi occhi, sempre splendidi, ritornarono a brillare di una luce chiara. Lui si addormentò vestito, e così lei.
Poi tutto tornò come prima. Già il giorno dopo si alzò di buon mattino, come sempre.
E come sempre arrivò allo studio verso le sette e mezza, dopo aver bevuto il caffè con Ciccio al solito bar.
Alfò
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