L’ iva all’importazione è un diritto di confine (ma non cambia natura: resta una e neutrale)

Non di rado si è affrontato il tema della responsabilità solidale del rappresentante indiretto, relativamente alla maggiore imposta sul valore aggiunto accertata dalla dogana, soprattutto al fine di dimostrare che detta responsabilità, in ogni caso, non sussiste qualunque sia la qualificazione dell’Iva. E ciò in quanto, come si vedrà, comunque si consideri l’imposta sul valore aggiunto (diritto doganale o diritto di confine), gli effetti e le caratteristiche sostanziali di essa, tra cui la neutralità, resteranno invariati.

La giurisprudenza di legittimità, nel corso degli anni, non ha mai fornito precisi ed univoci orientamenti, infatti, da un lato la Cassazione civile si è dimostrata orientata a considerare l’Iva all’importazione, a tutti gli effetti, un diritto di confine, con la conseguenza che la sua fraudolenta evasione configura il reato di contrabbando[1], dall’altro la Cassazione penale ha considerato l’Iva all’importazione un diritto interno, e  richiamando l’articolo 70 – secondo periodo – del D.P.R. n°633/1972, l’ha ricondotta alle norme doganali soltanto quod poenam.[2]

È opportuno premettere che già la Legge doganale n°1424/1940 considerava diritti doganali tutti quei tributi che si riscuotevano a cura della Dogana e, tra essi, definiva “diritti di confine”, oltre ai dazi, anche le imposte di consumo riscosse all’importazione.

Testualmente l’art. 7 della Legge cit.: “Si considerano « diritti doganali » tutti quei diritti chela dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge, in relazione alle operazioni doganali.

Fra i diritti doganali costituiscono « diritti di confine »:i dazi di importazione e quelli di esportazione, ed inoltre,per quanto concerne le merci in importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di fabbricazione ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato.” E, il successivo art. 8: “I diritti di confine sono applicati e riscossi secondo le norme di questa legge, della tariffa dei dazi doganali e delle leggi che vi si riferiscono.

Gli altri diritti doganali sono applicati secondo le leggi che li riguardano, salva l’osservanza delle norme di questa legge per la loro riscossione…”.

Inoltre, gli artt. 107 e 118 della Legge n°1424/1940 sanzionavano con la multa ovvero con la contravvenzione, rispettivamente l’evasione fraudolenta o meno dei diritti di confine.

Appare dunque evidente come già il legislatore del 1940 non lasciava adito a dubbi interpretativi, ritenendo che le imposte di consumo dovute all’importazione erano da ricomprendersi tra i diritti di confine e che alla Dogana era riservata la relativa attività d’accertamento e che l’ evasione di tali imposte, a seguito di immissione di merci in consumo in Italia, era sanzionata con la contravvenzione o con la multa, a seconda che la sanzione avesse natura amministrativa ovvero penale.

La legge doganale disciplina i rapporti doganali e, tra l’altro, tutte le ipotesi di contrabbando connesso, in ogni caso, alla evasione  fraudolenta dei diritti di confine e, perciò (inevitabilmente), delle imposte di consumo dovute all’importazione. Si prenda ad esempio l’IGE che, assumendo la tipica natura di imposta c.d. a cascata, colpiva sia il consumo in Italia di beni nazionali  (dovendosi ricomprendere, tra questi, anche quelli nazionalizzati), il cui accertamento e riscossione era demandato alla Amministrazione Finanziaria, sia le importazioni delle  merci, provenienti dall’estero, il cui accertamento e riscossione era demandato alla Dogana.

Non era ancora stata istituita la Comunità Europea (25 marzo 1957) e nessun dubbio ostava alla qualificazione dell’imposta di consumo all’importazione come diritto di confine.

A seguito del Trattato Istitutivo della CE, dell’emanazione del D.P.R. n°633/1972 (c.d. decreto Iva), del TULD (D.P.R. n°43/1973) e del CDC (Reg. CEE n°2913/1992) son scaturiti dubbi e perplessità che, come sempre, si sin rivelati di nocumento alla Comunità nazionale e, più specificamente, alle economia del nostro Paese.

Non v’è alcun dubbio, infatti, che dalla certezza delle norme deriva la certezza del diritto, mentre, al contrario, dalla loro incertezza ne deriva l’effetto devastante di allontanare gli investitori che temono ovvero,talvolta, subiscono ingenti danni da tali incertezze (Si pensi ai depositi Iva!).

A ben vedere, dal tenore letterale dell’art. 34 del TULD (D.P.R n°43/1973) – come d’altronde già dall’art. 7 della succitata Legge doganale del 1940 – si evince chiaramente che si considerano “diritti doganali” tutti quei diritti che la Dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge, in relazione alle operazioni doganali.

Fra i diritti doganali, costituiscono “diritti di confine”: i dazi di importazione e quelli di esportazione, i prelievi e le altre imposizioni all’importazione o all’esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione, ed inoltre, per quanto concerne le merci in importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato.”

Inoltre, il c.d. decreto Iva agli artt. 1 e 67, fornisce una chiara definizione dell’Iva dovuta all’importazione, il cui presupposto impositivo si perfeziona all’atto dell’introduzione della merce nel territorio dello Stato e all’art. 70 specifica che, in quanto imposta di consumo e, perciò, diritto di confine, non si applicano le norme in tema d’accertamento del tributo, liquidazioni, dichiarazione  ed in tema di sanzioni, relative agli scambi interni, ma che l’imposta dove essere accertata, liquidata e riscossa, dalla Dogana, per ogni singola operazione, con l’ovvia conseguenza che si applicano, per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine. Infatti, la sottrazione fraudolenta, delle merci all’importazione, dal pagamento dei diritti di confine configura il reato autonomo di cui all’art. 292 del TULD, e le aggravanti del caso al successivo art. 295.

Il trattato istitutivo della Comunità Europea prevede, nella circolazione intracomunitaria dei beni, il divieto, e la soppressione graduale ma ormai compiuta, dei dazi doganali e delle tasse di effetto equivalente, cioè dei diritti di confine qualificati come Risorse Proprie Tradizionali della Comunità (RPT), ma non delle imposte di consumo gravanti sulle merci immesse nei Paesi della Comunità. Da ciò ,in tutta evidenza, ne deriva che l’Iva all’importazione continuerà ad essere dovuta. Altresì, negli Accordi di libero scambio stipulati tra la Comunità ed alcuni Paesi Terzi con i quali viene posta in essere una “unione doganale” (qual è l’Accordo con la Svizzera), viene ribadita la soppressione dei dazi e delle altre imposte di effetto equivalente, ma non dell’imposta sul valore aggiunto dovuta all’importazione dai quei Paesi.

Dunque, l’Iva è fisiologicamente un tributo interno dovuto all’atto dell’importazione e, anche se non è prevista la riscossione di dazi, resta comunque un diritto di confine, riconosciuto in sede comunitaria compatibilmente e nei limiti dell’art. 95 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, il cui scopo è la libera circolazione delle merci, a condizione che conservi il requisito di neutralità. Condizione, quest’ultima, che si deve ritenere verificata solo al ricorrere delle due seguenti condizioni:

a)      che la merce importata non sia soggetta a doppia imposizione (nel Paese d’importazione e in quello di Esportazione);

b)      che le infrazioni relative all’Iva all’importazione non siano sanzionate più severamente di quelle relative agli scambi interni.

Il fatto che l’imposta resta dovuta anche qualora, per un qualsiasi motivo, non siano dovuti i dazi, non fa perdere all’imposta la connotazione di diritto di confine e, soprattutto, non ne sconvolge la natura.

Forse occorrerà ancora rappresentare che l’Iva non è una risorsa propria comunitaria quali sono i dazi (dove il 25% resta al Paese di importazione quale compenso di riscossione, ed il 75% è destinato alla Comunità), e che essa contribuisce al bilancio Comunitario con una percentuale comune a tutti gli imponibili, dovunque accertati (in dogana o altrove), e che, sebbene non rientrante tra le Risorse Proprie, tuttavia, è un diritto di confine che deve essere accertato e riscosso all’importazione in Dogana e solo dalla Dogana.

Ritenere che il rinvio alle disposizioni doganali contenute al secondo periodo dell’art. 70 del D.P.R. n°633/1972, costituisca una affermazione ridondante o pleonastica ovvero un solo riferimento quod poenam, non è assolutamente condivisibile.

In ogni caso, se l’Iva all’importazione non fosse qualificabile quale diritto di confine, né tantomeno quale diritto doganale, competente al suo accertamento e alla sua riscossione sarà l’Agenzia delle Entrate e non più l’Agenzia delle Dogane.

 

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Raffaele Della Rotonda

Vincenzo Guastella

(Studio Gargano)



[1] Valga per tutte, Cass. Sez. Trib. sent. n. 12262 del 2010.

[2] Valga per tutte, Cass. Sez. Pen. sent. n. 34256 del 2012.

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