La competenza territoriale della dogana vista dalla Cassazione

Sulla questione relativa alla competenza territoriale degli Uffici Doganali si è espressa recentemente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5167 del 1 marzo 2013, che confermando quanto già sancito dalla stessa Suprema Corte con le sentenze nn. 14786 e seguenti del 5 luglio 2011, ha ribadito “non è corretto sostenere che la legislazione nazionale in materia doganale prevede solo una competenza per materia e non attribuisce alcuna importanza alla competenza per territorio”.

La recente pronuncia della Cassazione chiarisce che la competenza della Dogana è, in linea generale, riferibile al luogo in cui è sorta l’obbligazione doganale, ossia dove è stata presentata la dichiarazione doganale.

In ordine alla competenza dell’Agenzia delle Dogane ad emanare avvisi di accertamento la Corte ribadisce che la normativa prevede una precisa articolazione della competenza sul territorio, prevedendo, per ogni attività, uno specifico ufficio doganale territorialmente competente.

Più in particolare il Codice Doganale Comunitario all’art. 60 opera un chiaro riferimento ad una competenza per territorio degli Uffici doganali, rinviando, ove non diversamente previsto, alle normative dei singoli Stati membri.

Per quanto attiene le norme nazionali l’articolo 3 del TULD stabilisce che “agli effetti dell’ ordinamento amministrativo dei servizi doganali, il territorio della Repubblica è suddiviso in compartimenti. Ciascun compartimento è ripartito in due o più circoscrizioni doganali; ciascuna circoscrizione comprende una o più dogane.”

Ne deriva una esplicita organizzazione per territorio delle competenze degli uffici doganali, organizzazione operata con norma di legge che comporta, inequivocabilmente, una predeterminazione degli uffici ai quali è attribuita, appunto, una competenza per territorio nello svolgimento delle proprie funzioni.

A conferma dell’organizzazione per “territorio”, e non per “materia”, dell’Amministrazione doganale è confermata anche dal successivo art. 326 del TULD secondo il quale “i processi verbali contenenti le violazioni del presente testo unico e di ogni altra legge nei casi in cui l’applicazione di essa è demandata alle dogane, quando riguardino violazioni accertate fuori dagli spazi doganali (….) sono trasmessi, a cura dei pubblici ufficiali che li hanno redatti, alla dogana competente per territorio.”

Sulla  rilevanza esterna dell’organizzazione degli uffici pubblici va osservato che l’art. 97 comma 2 della Costituzione  prescrive che “nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.”

Anche dalla formulazione dell’art. 78 del CDC e dell’art. 11 del D.Lgs. 374/90, così come rilevato dai Giudici della Suprema Corte, si evince che l’autorità che può procedere alla revisione dell’accertamento non può che essere quella stessa che ha concesso lo svincolo della merce, ossia l’autorità che ha emesso la bolletta doganale.

 

Con l’ultimo paragrafo del comma 9 dell’art. 11 del D.Lgs. 8/11/1990, n. 374, introdotto dall’art. 9, comma 3-decies, del D.L. 2/03/2012, n. 16, è stata introdotta una deroga alla citata regola generale nel caso di accesso presso l’operatore. In tal caso competente alla revisione delle dichiarazione doganali è l’ufficio che effettua la verifica, anche se le dichiarazioni doganali sono state accertate presso un altro ufficio doganale. Testualmente: “L’ufficio doganale che effettua le verifiche generali o parziali con accesso presso l’operatore è competente alla revisione delle dichiarazioni doganali oggetto del controllo anche se accertate presso un altro ufficio doganale”.

La sentenza della Corte di Cassazione, in commento, ha, chiarito che la citata disposizione ha carattere innovativo e non meramente interpretativo, per cui non ha valenza retroattiva, ma ha efficacia solo per i rapporti sorti dopo la sua entrata in vigore (29.04.2012).

Sulla valenza retroattiva delle norme tributarie lo Statuto del Contribuente (Legge n. 212/2000), all’articolo 1- comma 2 – prevede espressamente che:

l’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica”.

Nel caso in esame siamo di fronte ad una norma di certo non interpretativa, perché tale natura non risulta da un’espressa qualificazione legislativa (cfr. Cass. 24192/2006 e Cass. S.U. 9941/09).

Sempre il ordine al valore nel tempo della citata norma di cui all’ultimo paragrafo dell’art. 9 del D.Lgs. 374/90 la Suprema Corte ha chiarito che “la legittimità di un atto amministrativo – anche sotto il profilo soggettivo – va valutata alla stregua delle norme vigenti al momento della sua emanazione (tempus regit actum), non assumendo rilievo alcuno, al riguardo, la normativa sopravvenuta che può applicarsi solo nelle fasi procedimentali che – nelle singole e specifiche ipotesi – non siano ancora definitivamente concluse (cfr. Cass. 11268/1994, C. St. 4163/04)”

E’ tuttavia da osservare che, benché la nuova disposizione legislativa non abbia effetto retroattivo, non può ritenersi una novità assoluta.

Già la circolare 3/D del 4 febbraio 2004 prevedeva la competenza della dogana avente giurisdizione sulla sede legale dell’operatore in presenza di verifiche generali o parziali aveva già disposto che:”-  in presenza di verifiche generali o parziali finalizzate alla revisione dell’accertamento di più operazioni doganali.

 

Vincenzo Guastella

Francesco Pagnozzi

(Studio Gargano)

 

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