L’IVA è una e neutrale

All’estrazione dei beni da un deposito IVA, l’assolvimento del tributo avviene mediante emissione di autofattura ai sensi dell’art. 17, 2° comma del D.P.R. 633/72, e sua iscrizione nel registro delle vendite (l’iscrizione nel registro degli acquisto consente, invece, di esercitare il diritto alla detrazione).

Questa procedura, esplicitamente prevista dall’art. 50 bis – 6° comma – del D.L. 331/93 è di per sé mezzo inconfutabilmente idoneo ad assolvere l’IVA, ed in tutto equivalente alla materiale corresponsione dell’imposta, talché non è possibile configurare l’ipotesi di evasione del tributo in discorso, né la violazione dell’art. 70 del D.P.R. 633/72.

Si rappresenta che la procedura di autofatturazione si concretizza nell’emissione di una fattura, registrata a debito, sul registro IVA vendite ed a credito su quello acquisti. Ciò in ossequio a quanto previsto dagli artt. 50 bis, comma 6, del D.L. 331/93 e 19, 23 e 25 del DPR 633/72. In conseguenza di tale duplice annotazione, l’IVA registrata a debito si elide con quella registrata a credito.

In definitiva, l’imposta indicata nell’autofattura non comporta per il soggetto passivo emittente alcuna uscita finanziaria, ma nemmeno il sorgere di un credito verso l’Erario.

La constatazione dell’avvenuto assolvimento dell’imposta è estremamente agevole. Occorre infatti verificare se il depositante abbia correttamente posto in essere la procedura indicata.

In mancanza di rilievi sulla corretta modalità della descritta modalità di registrazione dell’ autofattura, si deve, concludere che l’IVA è stata correttamente assolta e che richiederne di nuovo il pagamento, equivarrebbe ad una duplicazione dell’imposta.

L’IVA è un tributo neutro, grazie al meccanismo della detrazione.

Alla luce di quanto sin qui argomentato, la descritta neutralità sul piano fiscale derivante dalla duplice registrazione dell’autofattura, non può assolutamente essere interpretata nel senso che essa fosse un espediente atto a differire il pagamento dell’imposta al momento della vendita dei beni stessi sul territorio nazionale.

Tale affermazione è in contrasto con i basilari e radicati principi dell’imposta sul valore aggiunto, che ricordiamo, è imposta comunitaria. Sul punto occorre dunque con forza affermare che l’autofattura non rinvia l’obbligo impositivo al momento della vendita dei beni stessi sul territorio nazionale, bensì lo adempie.

Diversamente si giungerebbe all’inaccettabile disconoscimento della validità del meccanismo del reverse charge quale strumento idoneo all’assolvimento degli obblighi IVA, in aperta violazione dei principi cardine del tributo, contenuti nella direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977 (la VI direttiva IVA, oggetto di rifusione nella direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006).

La natura “neutrale” dell’IVA è sancita nel quarto “considerato” della Direttiva 77/388/CEE, che riconosce scopo dell’imposta quello di «garantire la neutralità del sistema comune di imposte sulla cifra d’affari in ordine all’origine dei beni e delle prestazioni di servizi».

Concetto questo ribadito anche nella recente direttiva di rifusione del sistema IVA comunitario (Dir. 2006/112 del Consiglio).

L’imposta sul valore aggiunto è quindi destinata a tassare il consumo privato all’interno dello Stato, secondo un meccanismo che lascia inciso il solo consumatore finale del bene e garantisce, nel contempo, per l’operare del meccanismo della detrazione “imposta da imposta”, la perfetta neutralità del tributo in capo ai soggetti passivi.

Detta neutralità verrebbe evidentemente meno qualora fosse disconosciuta la validità del pagamento effettuato mediante autofatturazione, con conseguente obbligo della materiale nuova corresponsione del tributo da ritenersi una inammissibile duplicazione della tassazione sul medesimo fenomeno economico (l’immissione in consumo della merce nel territorio dello Stato), in aperto contrasto con la richiamata imprescindibile caratteristica di neutralità propria dell’IVA.

Specificamente su quest’ultimo aspetto,la Corte di Giustizia delle Comunità europee, con la sentenza del 21.2.2006, resa nella causa C-255/02 (Halifax plc, Racc. 2006, p. I-1609) ha chiaramente stabilito che l’Amministrazione finanziaria di uno Stato membro può recuperare l’IVA che accerti essere stata evasa, ricostruendo il credito secondo le regole proprie di tale imposta, ma non può effettuare il recupero di un’IVA che è stata comunque assolta in base ai meccanismi propri dell’imposta sul valore aggiunto.

In particolare, la Corteha rilevato che «i provvedimenti che gli Stati membri possono adottare ai sensi dell’art. 22, n. 8, della Sesta Direttiva per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine. Essi non possono quindi essere utilizzati in modo tale da mettere in discussione la neutralità dell’IVA, che costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa comunitaria in materia» (sent. cit. punto 92).

Da ciò discende, ad avviso dei giudici lussemburghesi, «che operazioni implicate in un comportamento abusivo devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che quel comportamento hanno fondato» (sent. cit. punto 94).

Nel procedere a siffatta ricostruzione l’Amministrazione «deve, però, altresì, detrarre ogni imposta applicata a valle su un’operazione, della quale imposta il soggetto passivo interessato era fittiziamente debitore nell’ambito di un piano di riduzione del carico fiscale, e rimborsare eventuali eccedenze.

Allo stesso modo deve permettere al soggetto passivo che, in assenza di operazioni costitutive di un comportamento abusivo, sarebbe stato il beneficiario della prima operazione non costitutiva di tale comportamento, di detrarre, conformemente alle disposizioni del sistema di detrazioni della Sesta Direttiva, l’IVA gravante a monte su quell’operazione» (sent. cit. punti 96 e 97).

La validità del metodo del reverse charge è stata recentemente sancita con la modifica apportata al comma 5 bis dell’art. 16 del D.L. 185/2012, il cui ultimo periodo, nella versione attualmente vigente recita: “All’estrazione della merce dal deposito IVA per la sua immissione in consumo nel territorio dello Stato, qualora risultino correttamente poste in essere le norme dettate al comma 6 del citato articolo 50-bis del decreto-legge n. 331 del 1993, l’imposta sul valore aggiunto si deve ritenere definitivamente assolta.”

Né dalla diversa modalità di accertamento dell’imposta all’importazione, rispetto all’IVA interna, ne può derivare una duplice natura dell’imposta:

–   la prima (quella dell’IVA all’importazione), il cui presupposto impositivo si verifica in relazione ad ogni singola importazione, rappresenterebbe una “risorsa propria” di primo livello della Comunità Economica Europea;

–   la seconda (quella “nazionale” ) auto liquidata e versata con riferimento alla massa di operazioni attive e passive poste in essere in un dato periodo dal contribuente ed inserita nella dichiarazione periodica.

L’imposta sul valore aggiunto è un’imposta unica e neutrale.

Non può parificarsi la natura di diritto di confine dell’imposta sul valore aggiunto dell’IVA all’importazione (sebbene il punto sia controverso, ma ininfluente, a parere dello scrivente, in relazione alla fattispecie in esame) con quella di “Risorsa Propria” della Comunità Europea.

L’attuale sistema di finanziamento del bilancio della UE è regolato dalla Decisione sulle Risorse Proprie n.597/2000 che prevede:

Risorse Proprie Tradizionali che sono:

  1. 1.    i prelievi riscossi sulle importazioni di prodotti agricoli, cioè tutti i prelievi,i supplementi, importi supplementari o compensatori, importi o elementi addizionali ed altri diritti fissati dalle istituzioni comunitarie sugli scambi con i paesi non membri, nel quadro della politica agricola comune, nonché i contributi e altri diritti previsti nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero – art. 2, 1° paragrafo, lett. a);
  2. i dazi doganali, ossia quelli della tariffa doganale comune – art. 2, 1° paragrafo, lett. b);
  3. Risorsa IVA commisurata ad un’ aliquota uniforme della base imponibile IVA armonizzata degli Stati membri. Tale aliquota è fissata allo 0,50% della base imponibile di ciascun Stato membro – art. 2, 1° paragrafo, lett. c);
  4. Risorsa complementare RNL, commisurata alla quota RNL di ciascuno Stato e destinata a finanziare, in forma residuale, la quota delle spese comunitarie non coperte dalle precedenti Risorse.

Risorsa IVA

 

Le risorse provenienti dall’IVA vengono introdotte dalla decisione del 21 aprile 1970 per integrare le risorse proprie tradizionali, che più non bastano a finanziare il bilancio comunitario. Dopo una serie di rinvii giustificati dalla necessità di garantirne l’armonizzazione, questa terza categoria di risorse, assai complessa, viene attuata per la prima volta nel 1980 e risulta dall’applicazione di un’aliquota a un imponibile uniforme.

Il contributo che ciascuno Stato membro versa alla Comunità Europea quale “Risorsa IVA”, quindi, è rapportato al totale dell’imposta comunque accertata senza fare alcuna distinzione tra IVA doganale ed IVA interna.

gianni gargano

francesco pagnozzi

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