Ancora sul 303 del TULD: nessuna sanzione in tema di origine delle merci

L’articolo 11, comma 4, del D.L. n. 16 del 02/03/2012, come più volte ribadito su questo blog, ha modificato l’articolo 303 del TULD nel modo che segue.

«303. (Differenze rispetto alla dichiarazione di merci destinate alla importazione definitiva, al deposito o alla spedizione ad altra dogana.).

1.Qualora le dichiarazioni relative alla qualità, alla quantità ed al valore delle merci destinate alla importazione definitiva, al deposito o alla spedizione ad altra dogana con bolletta di cauzione, non corrispondano all’accertamento, il dichiarante e’ punito con la sanzione amministrativa da euro 103 a euro 516 a meno che l’inesatta indicazione del valore non abbia comportato la rideterminazione dei diritti di confine nel qual caso si applicano le sanzioni indicate al seguente comma 3.


2. La precedente disposizione non si applica:

a) quando nei casi previsti dall’articolo 57, lettera d), pur essendo errata la denominazione della tariffa, e’ stata indicata con precisione la denominazione commerciale della merce, in modo da rendere possibile l’applicazione dei diritti;

b) quando le merci dichiarate e quelle riconosciute in sede di accertamento sono considerate nella tariffa in differenti sottovoci di una medesima voce, e l’ammontare dei diritti di confine, che sarebbero dovuti secondo la dichiarazione, e’ uguale a quello dei diritti liquidati o lo supera di meno di un terzo;

c) quando le differenze in più o in meno nella quantità o nel valore non superano il cinque per cento per ciascuna qualità delle merci dichiarate.

3. Se i diritti di confine complessivamente dovuti secondo l’accertamento sono maggiori di quelli calcolati in base alla dichiarazione e la differenza dei diritti supera il cinque per cento, la sanzione amministrativa, qualora il fatto non costituisca più grave reato, e’ applicata come segue:

a) per diritti fino a 500 euro si applica la sanzione amministrativa da 103 a 500 euro;

b) per i diritti da 500,1 a 1.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 1.000 a 5.000 euro;

c) per i diritti da 1000,1 a 2.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 5.000 a 15.000 euro;

d) per i diritti da 2.000,1 a 3.999,99 euro, si applica la sanzione amministrativa da 15.000 a 30.000 euro;

e) oltre 4.000, si applica la sanzione amministrativa da 30.000 euro a dieci volte l’importo dei diritti.».

Appare subito evidente che anche nelle nuove modifiche apportate al testo dell’articolo 303, restano escluse le violazioni concernenti le differenze in tema di origine, riscontrate rispetto a quelle indicate nelle dichiarazioni di merci destinate all’importazione.

Questa precisazione risulta necessaria considerando che è tesi ricorrente delle dogane di ritenere che il requisito dell’origine è ricompreso implicitamente nella fattispecie sanzionatoria, in quanto frutto della meccanica trasposizione dell’articolo 118 della legge doganale del 1940[1], che non prevedeva l’origine della merce tra gli elementi dell’accertamento, con la conseguenza che il richiamo all’accertamento quale istituto, contenuto nel terzo comma dell’articolo 303, determinerebbe l’automatica inclusione dell’errata dichiarazione d’origine nel novero delle condotte punibili

Il riferimento nel corpo della norma (art. 303) ai soli elementi della qualità, della quantità e del valore del bene che l’operatore commerciale presenta in dogana è, invece, il frutto di una consapevole scelta del legislatore e non di una mera dimenticanza.

Infatti la legge doganale del 1940 è stata trasfusa nel Testo Unico delle Disposizioni Legislative in materia doganale approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, il cui articolo 59 (soppresso e sostituito dall’articolo 8 del D.Lgs. 374/90) già comprendeva anche l’origine tra gli elementi dell’accertamento doganale, talché la sua esclusione dall’articolo 303 è stata valutata e decisa dal legislatore e non costituisce una mera dimenticanza.

Ne scaturisce la natura innovativa e non meramente compilativa del Testo Unico del 1973 prima e del decreto 374/90 poi, e che il richiamo al comma 3 dell’articolo 303 contempla – come affermato anche dalla Cassazione – una mera circostanza aggravante della condotta illecita descritta e punita nel comma 1, che non menziona l’origine.

Pertanto, considerato altresì che per le norme sanzionatorie non è ammessa alcuna interpretazione analogica, l’esclusione dell’applicabilità della sanzione, in relazione alle difformità riscontrate in materia di origine, è da attribuire ad una chiara intenzione di escludere la colpevolezza dell’importatore in merito ad errori causati da elementi fuori dal suo controllo.

Infatti, mentre sugli altri elementi della dichiarazione (quantità, qualità e valore) egli può esercitare il controllo, anche se solo documentale, sull’elemento origine egli non può esercitare alcun controllo, anche in considerazione del fatto che questo, per espressa previsione normativa, è certificato da un Ente pubblico del paese esportatore.

In tal senso.

  • la Commissione Tributaria Provinciale di Trieste, Sez. VII, che con sentenza n. 101/07/08 depositata il 16 ottobre 2008, ha affermato. “la legge posta dall’Ufficio quale base per la irrogazione della sanzione (art. 303, comma 3° del DPR 43/73) non prevede la sanzionabilità per la falsa indicazione dell’origine delle merci, accanto a quella riguardante la quantità, la qualità e il prezzo delle stesse. Questa Commissione è, infatti, del parere che si debba dare attuazione a quanto risulta da una interpretazione letterale della norma testé citata, la quale appare armonicamente inserita nel contesto della legislazione in materia. Consegue che le sanzioni irrogate con l’atto impugnato risultino illegittime, dato che l’art. 303 del T.U.L.D. contempla le sole differenze tra dichiarato e accertato che riguardino la qualità, la quantità e il valore delle merci e non anche l’origine delle stesse”;
  • la Commissione Tribunale Regionale di Milano in una serie di recentissime sentenze delle quali, per tutte, si riferisce della n. 46 dell’11 maggio 2009 che si riporta per la parte che qui interessa:

“L’interpretazione letterale del citato articolo 303, stante anche l’interconnessione tra i due commi (1° e 3° comma) richiamati dall’articolo stesso, non lascia dubbi sul fatto che la norma intenda, secondo la sua portata, colpire solo le differenze concernenti la qualità, la quantità ed il valore delle merci dichiarate e non anche l’origine delle stesse…….

Tale interpretazione non può essere superata dalle considerazioni dell’Ufficio, nonché comunque dal fatto che, già sotto l’egida dell’art. 59 del T.U.L.D. (soppresso dall’art. 8 del DPR 374/90), l’origine fosse uno dei quattro elementi dell’accertamento doganale, stante appunto la mancanza di essa valutata e decisa dal Legislatore come testualmente dettato con il prerichiamato art. 303 e la certezza che si richiede secondo i principi che informano il sistema sanzionatorio; né è possibile in tale materia (sia pure amministrativa) ampliare le fattispecie punitive……….”

  • la Sentenza n. 203, depositata il 30/4/2010 della Sezione 18 della Commissione Provinciale di Napoli;
  • la Sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Napoli n. 289/45/10 del 30/09/2010.

Il regime sanzionatorio amministrativo è soggetto al principio dell’obbligo della determinatezza della fattispecie dell’illecito, che deve essere tipico, non influenzabile da prassi, o disposizioni interne della Pubblica Amministrazione, né, tanto peggio, da interpretazioni soggettive prive di fondamento. La natura sanzionatoria di tale norma esige che il contenuto normativo dell’art. 303 sia interpretato letteralmente, non potendo trovare spazio neanche un criterio analogico “in malam partem”, anzi, sarebbe ammissibile, nel caso in questione, ove occorresse, un criterio analogico “in bonam partem”, nel quadro generale del diritto penale amministrativo.

In particolare, si rileva che il primo comma stabilisce che “Qualora le dichiarazioni relative alla qualità, alla quantità ed al valore delle merci destinate all’importazione definitiva …… non corrispondono all’accertamento, il dichiarante è punito con la sanzione amministrativa….”, il terzo comma inoltre stabilisce che “Se i diritti di confine complessivamente dovuti secondo l’accertamento sono maggiori di quelli calcolati in base alla dichiarazione e la differenza dei diritti supera il cinque per cento, la sanzione amministrativa, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, è applicata come segue…………”.

Risulta, quindi, che la difformità fra il dichiarato e l’accertato è prevista dalla norma contestata, solo con riferimento a “qualità, quantità e valore” e, non anche all’elemento “origine” della merce, che non è compreso nella previsione legislativa.

Sul punto si è pronunciata chiaramente la Commissione Tributaria Provinciale di Trieste, già con sentenza n. 93/7/04, depositata il 14/12/2004  ove è chiaramente evidenziato che:

“L’interpretazione che l’Agenzia dà al terzo comma dell’art. 303 presuppone che ivi sia contemplata una fattispecie legale diversa – perché più ampia – di quella descritta nel primo comma del medesimo articolo.

Questo assunto, però, risulta in contrasto con l’interpretazione letterale della norma, posto che l’ipotesi fattuale ivi delineata (“se i diritti complessivamente dovuti secondo l’accertamento sono maggiori di quelli calcolati in base alla dichiarazione e la differenza supera il cinque per cento”) rileva ai soli effetti della quantificazione della sanzione, restando così escluso che nella norma si configuri una fattispecie sanzionatoria a sé stante. Un tanto trova conferma nel raffronto tra la formulazione della norma in esame (…la sanzione amministrativa è applicata in misura …) con la formulazione degli articoli del medesimo capo II (…si applica la sanzione amministrativa…oppure…il dichiarante è punito con la sanzione amministrativa…).

Conclusivamente, dal dato testuale e dall’interpretazione sistematica risulta evidente che nel terzo comma dell’art. 303 del T.U. doganale è configurata una circostanza aggravante della sanzione irrogabile a fronte dell’unica fattispecie legale contemplata nell’articolo, che si presenta strutturato come segue:

–          primo comma: individuazione della fattispecie sanzionabile;

–          secondo comma: casi di non applicazione della sanzione;

–          terzo comma: casi di aggravamento della sanzione.

Da quanto sopra esposto la sanzione irrogata con gli atti qui impugnati risulta illegittima, atteso che l’art. 303 del T.U. doganale contempla le differenze tra accertato e dichiarato che concernono la qualità, la quantità e il valore delle merci e non anche l’origine di esse (così la sentenza della Corte di Cassazione sez. I civile n. 2590 del 20/03/1999)”.

Tale sentenza richiama quella, antecedente, della Corte di Cassazione sez. I civile n. 2590 del 20/03/1999, nella quale la Suprema Corte aveva già affermato che:

“Dallo stesso dato testuale, in linea con l’interpretazione sistematica del quadro normativo, emerge che la fattispecie contemplata dall’articolo 303 (la cui rubrica, significatamente, si intitola differenze rispetto alla dichiarazione di merci destinate alla importazione definitiva…) è sostanzialmente unica: Il suo contenuto è delineato chiaramente nel primo comma (“qualora le dichiarazioni relative alla qualità, alla quantità, ed al valore delle merci … non corrispondano all’accertamento…”.); il terzo comma (“se i diritti sono maggiori…) configura una circostanza aggravante della fattispecie contemplata nel primo comma; mentre il secondo comma (“pur essendo errata la denominazione della tariffa, è stata indicata con precisione la denominazione della merce…”) si pone come deroga all’ipotesi contemplata nel primo comma.

Il terzo comma non prevede, quindi, una fattispecie legale diversa da quella contemplata nel primo comma. Si tratta, infatti, della medesima fattispecie (dichiarazione irregolare), per la quale è stabilita la stessa sanzione (in misura proporzionale alla gravità dell’evasione). E il secondo comma esclude la sussistenza della violazione amministrativa ove ricorra una delle ipotesi di cui alle lettere a), b) o c), indipendentemente dalla differenza determinatasi nella corresponsione dei diritti.”

In tal senso anche la sentenza n. 6233/04, depositata il 17/05/2004, emessa dal Tribunale di Milano in causa (A.C.S. Agenzia Car Stereo S.R.L. c/ Ministero delle Finanze) in cui il Tribunale ha affermato che:

“Ciò premesso, si osserva che il concetto stesso di origine identifica la provenienza da un determinato Paese della merce e non attiene alla sostanza dei beni oggetto di importazione, che non risulta per tale ragione suscettibile di essere modificata.

In altre parole, l’eventuale diversa origine delle merci non può essere assimilata a una modifica qualitativa, in quanto non si riverbera sui requisiti sostanziali degli stessi beni, pur potendo avere rilievo sul trattamento fiscale.

Da quanto dedotto ne consegue che sotto il profilo sanzionatorio le differenze accertate in tema di origine delle merci, non richiamate espressamente dal citato art. 303 TULD, non giustificano l’irrogazione di pene pecuniarie, e non possono ritenersi rientrare nel concetto di qualità delle merci.

Quindi non risulta condivisibile l’affermazione dell’Amministrazione convenuta, secondo la quale l’origine configura una particolare “qualità” del bene, giuridicamente rilevante.

La ragione di tale diverso trattamento, che riguarda solo il profilo sanzionatorio, del resto, risulta intuibile, considerato che differenze relative ad elementi sostanziali delle merci (quantità qualità, valore) non possono sfuggire all’importatore, mentre l’effettiva provenienza delle merci da uno Stato, formalmente attestata dall’esportatore, può non essere percepita dal soggetto importatore.

Deve essere, pertanto, accolta la domanda, onde va dichiarato illegittimo il decreto impugnato e non dovuta la somma irrogata a titolo di pena pecuniaria.”

Tale sentenza è stata confermata in secondo grado dalla Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 1326/05, depositata il 21/05.2005.

Tale tesi risulta confermata dalla stessa Agenzia delle Dogane, la quale, con la nota prot. 2195/IV/03, ha affermato:

“In merito, in linea con il parere reso dall’Avvocatura generale dello Stato, approvato dal Comitato Consultivo di tale Organo, si ritiene che la fattispecie prevista dall’art. 303, 3° comma, del TULD costituisca esclusivamente un’ipotesi aggravata della violazione contemplata dal precedente comma 1°, ricorrente nel caso in cui dalla infedele dichiarazione consegua un’evasione d’imposta superiore al 5% dei diritti di confine complessivamente dovuti.

A conforto di tale orientamento e, quindi dell’impossibilità che la disposizione di cui all’art. 303, 3° comma, del TULD, rechi una sorta di sanzione di carattere residuale soccorrono, sempre ad avviso dell’Avvocatura, i principi generali dettati dall’art. 3 del D.lgvo n. 472/97 di tipicità e legalità delle fattispecie normative sanzionatorie, dai quali deriva, tra l’altro, il divieto di estendere l’ambito di operatività delle predette previsioni in via analogica, irrogando sanzioni fuori dai casi espressamente previsti dal Legislatore.

Nella specie, l’indicazione nel comma 1° dell’art. 303 del TULD degli elementi di riferimento (quantità, qualità, valore) offre un parametro oggettivo funzionale alla valutazione dell’aspetto soggettivo e dell’elemento psicologico della fattispecie sanzionatoria; l’elencazione è frutto di una valutazione compiuta dal Legislatore del disvalore e dell’antigiuridicità della condotta colpevole, che conduce a considerare come non perseguibili condotte prive di particolare rilevanza (2° comma) e ad aggravare la sanzione nel caso dalla violazione derivino conseguenze più gravi.

….

omissis

….

Conclusivamente, alle condotte antigiuridiche che non integrano appieno la fattispecie astratta di cui al 1° comma dell’art. 303 del TULD, non possono essere applicate le sanzioni previste dal successivo 3° comma del medesimo art. 303 del TULD, anche se da esse consegue un’evasione superiore al 5% dei tributi dovuti rispetto a quanto dichiarato.

Nel caso di specie, pertanto alla violazione delle previsioni recate dall’art. 101, par. 2, della Decisione n. 91/482/CEE, in quanto non consistenti in inesatte o mendaci dichiarazioni relative alla quantità, alla qualità, al valore.”

Dello stesso tenore della Giurisprudenza richiamata è anche la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Prato n. 70 del 30/06/2006 depositata in data 22/09/2006, nella quale è chiarito che:

omissis

….

La lettura dell’art. 303 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, invero, se fatta in armonia con l’interpretazione sistematica del quadro normativo, denota che la fattispecie contemplata dall’art. 303 (recante la dizione “differenze” rispetto alla dichiarazione di merci destinate alla importazione definitiva…) è essenzialmente unica e contempla l’ipotesi in cui le dichiarazioni relative alla qualità, alla quantità ed al valore delle merci… non corrispondono all’accertamento…; il terzo comma (“se i diritti sono maggiori…”) configura poi una circostanza aggravante della fattispecie contemplata nel primo comma;

mentre il secondo comma…”(pur essendo errata la denominazione della tariffa, è stata indicata con precisione la denominazione della merce..)” si pone come deroga all’ipotesi contemplata nel primo comma.

Il terzo comma non prevede, quindi una fattispecie legale diversa da quella contemplata nel primo comma.

Prevede infatti la stessa anomalia (dichiarazione irregolare) per la quale è stabilita la medesima sanzione, aumentata in misura proporzionale alla gravità dell’infrazione (Cass. Civile n. 2590 del 20.3.1999).

Consegue che le sanzioni irrogate con gli atti impugnati risultano illegittime tra accertato e dichiarato che riguarda la qualità, la quantità e il valore delle merci, e non anche l’origine delle stesse.”

L’inapplicabilità della sanzione prevista dall’art. 303 del TULD, è stata riconosciuta dalla stessa Amministrazione Doganale con la circolare n. 39/D del 30/09/2005 ove è chiarito: “Il citato articolo 303 sanziona in via amministrativa “la dichiarazione risultata infedele per negligenza, ignoranza o grossolana malizia nell’indicazione della quantità, qualità e valore delle merci…” (Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 10478 del 3 dicembre 1983), ipotesi, cioè, in cui il soggetto tenuto al pagamento dei diritti doganali indica erroneamente qualità, quantità e valore delle merci per semplice ignoranza, negligenza o, comunque, in modo grossolano e, quindi, facilmente verificabile in sede di controllo.”

Entrando poi nel testo letterale del nuovo articolo 303 del TULD, risulta che:

1)                 in caso di differenze in tema di qualità, quantità e valore rispetto alle dichiarazioni di merci destinate alla importazione definitiva, si applica la sanzione amministrativa da Euro 103 a Euro 516 (comma 1);

2)                 se la differenza tra quanto dichiarato e quanto accertato, solo in tema di valore, risulta superiore al 5% si applicano le sanzioni “a scaglioni” determinate al comma 3;

3)                 se la differenza tra quanto dichiarato e quanto accertato risulta superiore al 5%, ma non concerne il valore, bensì la qualità e/o la quantità, si applicherà solo la sanzione base di cui al comma 1;

4)                 se la differenza tra quanto dichiarato e quanto accertato, in tema di quantità e valore, non supera il 5% per ciascuna qualità delle merci dichiarate, non si applica alcuna sanzione (neanche quella base).

gianni gargano

vincenzo guastella


[1] La legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424, all’articolo 118 recitava:

1° comma  “Qualora le dichiarazioni doganali  relative alla qualità,alla quantità ed al valore delle merci destinate all’importazione, al deposito o alla spedizione ad altra dogana con bolletta di cauzione, non corrispondano al risultato della visita, il dichiarante è punito con l’ammenda da lire 20 a lire 200.

2° comma  “La precedente disposizione non si applica:

omissis

3° comma “Se i diritti di confine complessivamente dovuti secondo i risultati della visita sono maggiori di quelli calcolati in base alla dichiarazione e la differenza supera il 5 per cento, la pena comminata nel primo comma è aumentata di una somma non minore del decimo e non maggiore della intera differenza dei diritti di confine”

La relazione all’articolo 118 della legge in commento, precisava, sin da allora, che la disposizione del terzo comma costituisce un aggravante rispetto a quella indicata al primo comma.

gianni gargano

vincenzo guastello

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *