depositi iva – convegno di Ancona

Giovanni Gargano

www.giannigargano.it

 

 

 

 

 

 

I DEPOSITI IVA

 

 

 

 

 

 

 

ORIGINI

 

La Legge 28/97 ha recepito la Direttiva 95/7/CEE che, con l’art. 1, par. 9, ha sostituito l’art. 16 della la Direttiva di base 77/388/CEE nel seguente modo:

“Fatte salve le altre disposizioni fiscali comunitarie, gli Stati membri, …….., possono prendere misure particolari per esentare le operazioni seguenti o alcune di esse, a condizione che non mirino ad una utilizzazione e/o ad un consumo finale e che l’importo dell’imposta sul valore aggiunto, dovuto all’atto dello svincolo dai regimi……….corrisponda all’importo dell’imposta che sarebbe stato dovuto se ognuna di tali operazioni fosse stata oggetto d’imposta all’interno del paese:

  1. le importazioni di beni destinati ad essere immessi in regime di deposito diverso da quello doganale;
  2. ……..”

I due concetti sono stati trasfusi rispettivamente negli artt. 155 e 157 della nuova Direttiva di base n. 2006/112/CE

Articolo 155: “Fatte salve le altre disposizioni fiscali comunitarie, gli Stati membri, con riserva della consultazione del comitato IVA, possono prendere misure particolari per esentare le operazioni di cui alla presente sezione o alcune di esse, a condizione che non mirino ad una utilizzazione o ad un consumo finali e che l’importo dell’IVA dovuta al momento dello svincolo dai regimi o dell’uscita dalle situazioni di cui alla presente sezione corrisponda all’importo dell’imposta che sarebbe stata dovuta se ognuna di tali operazioni fosse stata soggetta ad imposta nel loro territorio.”

Articolo 157: 1. Gli Stati membri possono esentare le operazioni seguenti:

a) le importazioni di beni destinati ad essere vincolati ad un regime di deposito diverso da quello doganale;

b) le cessioni di beni destinati ad essere vincolati, nel loro territorio, ad un regime di deposito diverso da quello doganale.

2. Gli Stati membri non possono prevedere un regime di deposito diverso da quello doganale per i beni non soggetti ad accisa, quando detti beni sono destinati ad essere ceduti allo stadio del commercio al minuto.”

Da tutto ciò discende che le norme comunitarie consentono, a date condizioni, agli Stati Membri di istituire speciali depositi non doganali, lasciandoli liberi di fissarne, ciascuno, le concrete modalità operative.

L’esenzione concessa dalla norma comunitaria è stata recepita in modo diverso dai vari Stati appartenenti alla Comunità, tra i quali alcuni (come l’Olanda) non l’hanno sempre subordinata all’introduzione in un luogo fisico, come nel caso della “Administrative VAT warehouse”, che si contraddistingue per l’assenza di spazi fisici predeterminati entro cui custodire le merci[1].

Nel nostro Paese quelle norme sono state recepite dalla Legge n. 28 del 18/02/97 che ha, contemporaneamente, modificato l’art. 67 del Decreto IVA ed introdotto l’art. 50 bis nel D.L. 331/93 convertito dalla Legge n. 427/93. che regola, appunto, l’istituto del deposito Iva.

La legge 28/97, allo scopo di parificare la merce terza a quella comunitaria, ha espulso dall’art. 67[2], del decreto Iva, ove sono elencate le importazioni ai fini IVA, le immissioni in libera pratica di beni di provenienza terza destinata ad essere introdotta in deposito IVA, per inserirle, invece, al comma 4 lettera b) del Decreto n. 331/93.,convertito nella legge 427/93. che contiene, tra l’altro, norme di armonizzazione in materia di IVA interna con quelle recate dalla VI Direttiva CEE (l’IVA  è un’imposta armonizzata).

Introdotte nel deposito IVA, le merci restano in sospensione dell’imposta sul valore aggiunto, che si renderà, poi, dovuta all’estrazione soltanto qualora vengano immesse in consumo nel territorio nazionale ovvero, non dovuta, (perché non imponibili o non soggette), qualora siano destinate all’esportazione – art. 8 Dpr 633/72 – ovvero cedute ad un soggetto comunitario – art. 41 D.L. 331/93.

IL GESTORE DEL DEPOSITO IVA

Il complesso delle disposizioni che riguardano i depositi IVA, sono contenute nella più volte citata Legge 18/02/1997, n. 28, che dà attuazione alla Direttiva 95/7 CEE del Consiglio del 10/04/1995, e nel Decreto 20/10/1997, n. 419 del Ministero delle Finanze, recante norme in materia di depositi IVA.

Particolare importanza nella normativa in questione assume il gestore del deposito IVA, sia se tale ex lege sia se autorizzato dall’Agenzia delle Entrate. Egli, infatti, detenendo merce introdotta nei propri depositi senza il pagamento dell’imposta è sottoposto ad obblighi tendenti a dar conto delle transazioni di rilevanza IVA interessanti i beni custoditi nel deposito dalla loro introduzione sino alla loro estrazione. Egli riceve in consegna la merce all’atto dell’introduzione e la riconsegna all’estrazione, dovendo curare la regolarità delle operazioni nel frattempo intervenute, pena la debenza dell’imposta gravante.

Sotto questo profilo il comma 8 dell’ articolo 50 bis stabilisce che il gestore del deposito IVA risponde solidalmente con il soggetto passivo della mancata o irregolare applicazione dell’imposta relativa all’estrazione, qualora non risultino osservate le prescrizioni stabilite con il decreto di cui al comma 3, regolamentate dal decreto 20/10/1997 n. 419, recante norme in materia di depositi IVA. Ciò sta a significare che il titolare del deposito risponde solidalmente dell’imposta dovuta all’atto dell’estrazione soltanto se non ha adempiuto alle disposizioni contenute nel D.M. 419/97 e che sono:

a)        la regolare tenuta del registro relativo alla movimentazione dei beni custoditi nel deposito Iva (art. 3 del Decreto Ministeriale);

b)        le norme indicate all’art. 4 dello stesso decreto riguardante la documentazione relativa alla introduzione dei beni nei depositi ed alla loro estrazione.

Tuttavia il D.L. 13/05/2011 n. 70  ha modificato il comma 3 prevedendo altresì l’obbligo per il depositario di conservare un esemplare dei documenti relativi ai dati di cui al comma 6, ultimo periodo e, cioè, i dati relativi alla liquidazione dell’imposta all’estrazione.

L’eventuale inadempimento di quest’ulteriore obbligo, però, non può comportare la solidarietà del gestore del deposito Iva, perché non previsto dal D.M. 419/97, cui rinvia il comma 8.

Il deposito IVA ha la duplice valenza di:

–       luogo fisico, ossia uno spazio (coperto e/o scoperto) idoneo alla custodia ed alle eventuali altre operazioni cui le merci, una volta introdotte, possono essere assoggettate prima dell’estrazione.

–       regime giuridico, con ciò intendendosi l’insieme delle procedure che si applicano in relazione alle operazioni effettuate sui beni vincolati al regime del deposito IVA.

Ciò è desumibile con certezza dal fatto che altri tipi di deposito già operanti (depositi franchi, magazzini generali muniti di autorizzazione doganale ecc.) possano ottenere lo status di deposito Iva senza bisogno di autorizzazione specifica, viceversa necessaria per quelli istituiti ad hoc sia per conto proprio che per conto terzi, salvo la comunicazione di cui al comma 2 bis dell’articolo 50 bis.

E’ tuttavia degno di nota, e ai nostri fini acquista grande importanza, che né la legge, né il decreto ministeriale di attuazione, fissino alcun requisito dimensionale del deposito, né regole sulla gestione del medesimo, né tantomeno altri elementi destinati ad incidere sul rapporto tra depositante e gestore del deposito, quali la gratuità o onerosità del deposito stesso, e soprattutto la durata minima della prestazione di custodia, successiva all’introduzione della merce in esenzione Iva

Le norme menzionate disciplinano con minuzia, oltre ai requisiti di meritevolezza e di solvibilità  del soggetto richiedente l’autorizzazione, gli aspetti fiscali connessi ai momenti fondamentali dell’attività del gestore (introduzione ed estrazione delle merci).

In particolare, è imposta la tenuta di registro (anche con sistemi informatici) che evidenzi la movimentazione dei beni, dal quale devono risultare:

a) il numero e la specie dei colli;

b) la natura, la qualità e la quantità dei beni;

c) il corrispettivo o, in mancanza, il valore normale dei beni stessi;

d) il luogo di provenienza e di destinazione dei beni di volta in volta introdotti e di quelli usciti;

e) il soggetto per conto del quale l’introduzione o l’estrazione dei beni è effettuata.

E’ lecito quindi affermare che la normativa istituisce una apposita contabilità, finalizzata senza ombra di dubbio all’identificazione di tutte le operazioni di introduzione ed estrazione della merce.

Queste ultime operazioni, a loro volta, avvengono di regola sulla scorta di un documento amministrativo, commerciale o di trasporto recante l’indicazione dei dati di cui all’articolo 3, comma 1, del D.M. n.419/97, fatti salvi i casi di cui all’articolo 50-bis, comma 4, lettera b), del D.L. n. 331/93, per i quali l’introduzione avviene sulla base del documento doganale di importazione, e quelli di cui all’articolo 50-bis, comma 4, lettera g), dello stesso decreto-legge, dove l’estrazione avviene sulla base della dichiarazione doganale.

E’ noto inoltre che l’introduzione nel deposito iva comporta da un lato il differimento (fino all’estrazione) del pagamento dell’imposta iva, e, dall’altro, la responsabilità solidale del depositario per tale pagamento.

Esaurita questa premessa di ordine generale, occorre scindere l’esame del profilo civilistico da quello tributario, per poi ricomporre unitariamente la regolamentazione dell’istituto.

A tal fine, va osservato che può essere condivisa, in linea generale e con le precisazioni di cui si dirà, l’affermazione secondo cui sottostante alle operazioni “che avvengono all’interno del regime di deposito Iva è un contratto di deposito secondo quanto previsto dal codice civile” (artt. 1766 ss.).

Tale prima considerazione è condivisa anche dall’Agenzia delle Dogane Direzione Regionale per la Puglia e la Basilicata che la ha ribadita con la circolare prot. 2004-29908 del 16/09/2004 che recita testualmente: “Occorre premettere che sottostante a tutti i movimenti che avvengono all’interno del regime del deposito IVA è un contratto di deposito secondo quanto previsto dal codice civile (art. 1766), cioè un contratto mediante il quale una parte (depositario) riceve dall’altra (depositante) una cosa mobile con l’obbligo (duplice) di custodirla e di restituirla”.

Bisogna perciò approfondire il contenuto e lo svolgimento esecutivo di tale contratto di deposito.

Nel corso del tempo, difatti, è invalsa la prassi fin dall’istituzione dei depositi Iva di contenere in tempi brevissimi l’attività di custodia merci da parte del depositario, se non addirittura di esaurire istantaneamente la prestazione di tale soggetto. In altre parole, si è andata diffondendo una introduzione rapidissima della merce in deposito, in genere senza scarico dagli automezzi, e successiva contestuale estrazione immediata dallo stesso al termine del compimento delle operazioni contabili di introduzione.

Per inciso si ribadisce quanto affermato in tema di deposito IVA che tale comportamento è perfettamente legittimo e compatibile con la finalità che si prefigge l’istituto che è quella di usufruire del particolare regime fiscale resosi necessario con l’abolizione delle frontiere doganali dal 1993 ed in linea con la citata Direttiva 95/7 CEE del Consiglio del 10/04/1995.

Il contratto di deposito previsto dal codice civile non prevede una durata minima. L’art. 1771 c.c. prevede anzi la normale esigibilità immediata della restituzione. Trattandosi di merci determinate, il deposito è poi senza dubbio regolare, e pertanto il depositario è in grado, una volta completata l’introduzione, di conoscere esattamente quali sono le merci ricevute e per le quali ha l’obbligo di custodia e riconsegna. Ulteriore conseguenza della mancanza di durata minima è che anche l’obbligo di custodia può esaurirsi in tempi brevissimi o quasi istantanei: in particolare, è del tutto lecito che la custodia abbia durata pari allo svolgimento delle operazioni contabili di introduzione. La conclusione del contratto fa tuttavia sempre nascere i reciproci diritti ed obblighi delle parti;

Completate le procedure di introduzione, si coglie in tutta evidenza il “ricongiungimento” del profilo civilistico con quello fiscale, in quanto il contratto di deposito è perfezionato, e sul versante tributario sorgono gli effetti tipici sopra menzionati, ossia la esenzione dell’imposta e l’obbligazione solidale del depositario.

Il successivo momento (estrazione) fa di conseguenza tanto estinguere il contratto di deposito, quanto il regime fiscale agevolativo, comportando ex lege l’obbligo di pagamento dell’Iva. E’ evidente quindi, anche sotto il punto di vista della riscossione d’imposta, l’assoluta irrilevanza della durata della permanenza della merce nell’area del deposito, posto che tale fattore non soltanto non è previsto dalla normativa specifica, ma non è richiesto neppure nella configurazione civilistica del contratto di deposito.

L’introduzione della merce nel deposito Iva è, infine, perciò un’operazione che non ha nulla di virtuale, poiché come sopra indicato presuppone che il depositario proceda a verificare, e di conseguenza ad annotare nell’apposito registro, il numero e la specie dei colli, la natura, la qualità e la quantità dei beni, il corrispettivo o, in mancanza, il valore normale dei beni stessi, il luogo di provenienza e di destinazione dei beni di volta in volta introdotti, oltre naturalmente ad identificare il soggetto per conto del quale l’introduzione dei beni è effettuata.

La circostanza è ribadita dalla stessa Amministrazione a pag. 5 IV periodo della circolare prot. 2004-29908 del 16/09/2004 della Direzione Regionale della Puglia e Basilicata.

LE OPERAZIONI CONSENTITE

le operazioni consentite, indicate al comma 4 dell’art. 50 bis, effettuate senza pagamento dell’imposta, sono:

a)    gli acquisti intracomunitari di beni eseguiti mediante introduzione in un deposito IVA;

b)    le immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA previa prestazione di idonea garanzia commisurata all’imposta. La prestazione della garanzia non è dovuta per i soggetti certificati ai sensi dell’articolo 14 bis del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, e successive modificazioni, e per quelli esonerati ai sensi dell’articolo 90 del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43;

c)    le cessioni di beni, nei confronti di soggetti identificati in altro Stato membro della Comunità europea, eseguite mediante introduzione in un deposito IVA;

d)    omissis

e)    le cessioni di beni custoditi in un deposito IVA;

f)     le cessioni intracomunitarie di beni estratti da un deposito IVA con spedizione in un altro Stato membro della Comunità europea, salvo che si tratti di cessioni intracomunitarie soggette ad imposta nel territorio dello Stato;

g)    le cessioni di beni estratti da un deposito IVA con trasporto o spedizione fuori del territorio della Comunità europea;

h)    le prestazioni di servizi relative a beni custoditi in un deposito IVA, anche se materialmente eseguite non nel deposito stesso ma nei locali limitrofi, sempreché, in tal caso, le suddette operazioni siano di durata non superiore a 60 giorni;

i)     i trasferimento dei beni in altro deposito IVA.

La novità più importante è che le operazioni elencate al comma 4, lettere a), b), c), d) ed e) sono effettuate senza pagamento dell’imposta sul valore aggiunto.

L’espressione “senza il pagamento dell’imposta” sta a significare che l’introduzione dei beni in tali depositi, la loro commercializzazione e le lavorazioni effettuate avvengono senza addebito di IVA, che viene riscossa solo al momento dell’estrazione della merce dal deposito, se ed in quanto essa è destinata all’utilizzo o alla commercializzazione nel territorio dello Stato. In sintesi le operazioni eseguite in regime del deposito Iva sono “soggette” all’imposta in relazione alla loro ordinaria natura, ma l’imposta relativa alle stesse operazioni “non è dovuta”.

Qui di seguito si espongono le modalità di effettuazione di tutte le operazioni elencate.

Punto sub a) – acquisti intracomunitari di beni eseguiti mediante introduzione in un deposito IVA.(articolo 50 bis – comma 4- lettera a)

L’acquisto intracomunitario  si caratterizza per il fatto che i beni, provenienti da un altro stato membro, giunti in Italia, vengono introdotti in un deposito IVA.

La procedura è la seguente:

  • l’acquirente integra la fattura di acquisto emessa da parte del cedente comunitario annotando direttamente sul documento estero che l’operazione è effettuata senza pagamento dell’imposta ai sensi dell’art. 50 bis, comma 4°, lett. a) D.L. 331/933 e provvede alla sua registrazione sia sul registro degli acquisti che su quello delle fatture emesse (reverse charge);
  • egli deve presentare l’elenco riepilogativo degli acquisti intracomunitari (modello Intra 2 e 2 bis);
  • all’atto dell’introduzione in deposito il depositario – deve registrare la fattura di acquisto, integrata secondo le indicate modalità, sul registro di cui al D.M. 419/97 (registro di magazzino del deposito IVA).

Il titolare del deposito Iva, alle condizioni previste al comma 7 dell’articolo 50 bis, può assumere la veste di rappresentante fiscale del soggetto comunitario al fine di  porre in essere un acquisto intracomunitario per conto del suo rappresentato.

 

Punto sub b) – immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA.(articolo 50 bis – comma 4- lettera b)

 

L’immissione in libera pratica di merce destinata all’introduzione in deposito IVA è un’operazione, specificamente disciplinata e prevista dal comma 4 dell’art. 50 bis del D L 331/93.

La definizione di immissione in libera pratica deriva dal combinato disposto dell’art. 79 del CDC e dell’art. 249 del TULD.

Essa:

a)    attribuisce la posizione doganale di merce comunitaria ad una merce non comunitaria;

b)    implica l’applicazione delle misure di politica commerciale, l’espletamento delle altre formalità previste per l’importazione di una merce, nonché l’applicazione dei dazi legalmente dovuti.

Ai fini dell’assolvimento degli obblighi Iva nel territorio dello Stato, il soggetto non residente, comunitario o terzo, per poter porre in essere l’operazione in commento, deve nominare un proprio rappresentante fiscale, ovvero, ricorrendone le condizioni, identificarsi direttamente.

Immessa in libera pratica e svincolata la merce, la dogana non deve riscuotere l’imposta sul valore aggiunto, che da quel momento perde la connotazione di “diritto doganale” per assumere quella di “Iva interna”, ma prendere tutte le misure necessarie ad evitare che la merce possa essere immessa in consumo nel territorio nazionale senza aver corrisposto l’imposta..

Al riguardo la circolare n. 1241 del 03/04/1997  disponeva che la dogana dovesse assumere idonea garanzia, da svincolare soltanto al ricevimento della comunicazione del depositario di aver preso in carico la merce.

Nella nuova stesura della lettera b) del comma 4 in commento, è prevista, in luogo di quella di cui alla citata circolare 1241/97, la prestazione di una garanzia (salve le ipotesi di esonero ) da svincolare soltanto quando venga  fornita la prova di aver correttamente utilizzato il metodo dell’inversione contabile (reverse charge) per la corresponsione dell’imposta all’estrazione (qualora la merce venga immessa in consumo nel territorio dello Stato), ovvero la prova dell’avvenuta esportazione o cessione intracomunitaria.

L’operazione d’immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in deposito IVA costituisce un’operazione espressamente prevista alla lettera b) del comma 4 dell’art. 50 bis.

La circolare 16/D del 28 aprile 2006 della Centrale Area Gestione e Tributi dell’Agenzia delle Dogane ha precisato che l’operazione di immissione in libera pratica di beni destinati ad essere introdotti in un deposito IVA “si conclude, dunque con la dimostrazione dell’avvenuta introduzione fisica dei beni in questione nel deposito IVA, a cui deve fare esplicito riferimento l’attestazione che il depositario deve sottoscrivere sul relativo documento doganale”.

L’operazione potrà essere correttamente posta in essere anche dal titolare del deposito Iva che, alle condizioni poste al comma 7 dell’articolo 50 bis, potrà assumere la rappresentanza fiscale del soggetto estero. In tal caso egli  dovrà .

a)    qualificarsi come rappresentante fiscale del dichiarante, facendone menzione nella casella 8 della dichiarazione d’immissione in libera pratica, con un’indicazione del tipo “Il Sig: XX “, quale rappresentante fiscale ai fini Iva del soggetto estero “ Mister YY “ in virtù del disposto del comma 7 dell’art. 50 bis del D.L. 331/93 P..IVA n. ………………, all’uopo attribuitale dall’Ufficio di ……………

b)    giunta la merce presso il deposito Iva, prenderla in carico sull’apposito registro di magazzino;

c)    restituire alla dogana un esemplare della bolletta d’immissione in libera pratica, debitamente annotato degli estremi della presa in carico sul registro di cui al punto sub b).

Introdotta in deposito Iva la merce potrà, poi, essere destinata:

–       all’immissione in consumo nel territorio nazionale, nel qual caso sconterà l’imposta con emissione di autofattura, o fattura integrata, registrate, entrambe, col sistema del reverse charge, che costituisce, per espressa previsione della norma, “pagamento dell’imposta” (comma 6 dell’art .50). Le cessioni di beni giacenti in deposito (cessioni a catena) sono poste in essere senza esposizione dell’imposta ai sensi del 4° comma, lettera e) dell’art. 50 bis;

–       all’esportazione verso paesi terzi. L’operazione è non imponibile ai sensi dell’articolo 8 del decreto Iva.

–       ai mercati comunitari (cessione intracomunitaria), anch’essa “non soggetta” all’imposta.

Punto sub c) – cessioni di beni, nei confronti di soggetti identificati in altro Stato membro della Comunità europea, eseguite mediante introduzione in un deposito IVA.(articolo 50 bis – comma 4 – lettera c)

L’ipotesi è quella della cessione di beni, da parte di soggetto identificato ai fini Iva in Italia, nei confronti di  cessionario identificato in un altro Stato membro, con consegna nel deposito Iva.

Il cedente, cioè, non inviai beni al suo cliente comunitario, ma glieli consegna in Italia introducendoli nel deposito IVA. )

In tal caso:

–       non si tratta di cessione intracomunitaria non imponibile, bensì di un’operazione effettuata senza pagamento dell’IVA ai sensi dell’art. 50 bis, comma 4° lett. c) del D.L. 331/93;

–       la cessione non deve essere inclusa nel modello intra 1 quale cessione intracomunitaria;

–       alla successiva estrazione occorrerà verificare il regime applicabile secondo la destinazione dei beni.

La condizione sine qua non, per l’applicazione del regime del deposito IVA nell’ipotesi considerata, è la mancanza di una posizione IVA in Italia del cessionario, e la presenza, invece, di un  suo codice identificativo in altro stato membro.

Punto sub d) – cessioni di beni custoditi in un deposito IVA (articolo 50 bis – comma 4 – lettera e);

 

Si tratta delle cosiddette vendite a catena.

L’imposta, se dovuta, sarà assolta all’estrazione, secondo le modalità di cui al comma 6 dell’art. 50 bis.

Punto sub e) cessioni intracomunitarie di beni estratti da un deposito IVA con spedizione in un altro Stato membro della Comunità europea (articolo 50 bis – comma 4 – lettera f)

 

Esse sono poste in essere previo:

a)    emissione di una fattura intracomunitaria, ai sensi dell’art. 46 del D.L. 331/93, contenente, quale motivo di non imponibilità, il riferimento all’art. 41 del D.L. 331/93;

b)    predisposizione e presentazione in dogana dell’elenco riepilogativo delle cessioni intracomunitarie (modello intra 1 e 1 bis).

Punto sub f) cessioni di beni estratti da un deposito IVA con trasporto o spedizione fuori del territorio della Comunità europea.(articolo 50 bis – comma 4 – lettera g)

Il cedente dovrà emettere fattura in regime di non imponibilità, ex art. 8 del Decreto IVA e dovrà presentare la relativa dichiarazione doganale d’esportazione,.

Punto g) – trasferimento dei beni in altro deposito IVA (articolo 50 bis – comma 4 – lettera i)

 

Il soggetto che provvede al trasferimento dovrà emettere un documento di trasporto, mentre il depositario dovrà riportare la relativa annotazione di scarico sul registro di magazzino. 

 

IL CONTROLLO SUI DEPOSITI IVA

Pur senza voler avere la pretesa di voler completare tutta la materia riguardante i depositi IVA, è necessario fare un cenno al controllo su di essi disposto dal comma 5 dell’art. 50 bis del D.L.331/93, che prevede:

–       per i depositi istituzionali, già in possesso dell’autorizzazione doganale, che il controllo sulla gestione dei depositi Iva è demandato all’ufficio doganale o all’Ufficio Tecnico di Finanza che già esercita la vigilanza sull’impianto;

–       per i depositi istituiti con apposita autorizzazione dell’Agenzia delle Entrate (depositi non istituzionali), che il controllo è demandato agli Uffici delle Entrate indicati nell’autorizzazione.

IL DEPOSITO IVA,  LE AREE LIMITROFE  E- LE PRESTAZIONI DI SERVIZI

Il beneficio fiscale della non applicazione dell’IVA si estende anche alle prestazioni di servizi in genere, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali relative a beni custoditi in un deposito IVA, anche se materialmente eseguite non nel deposito stesso ma nei locali limitrofi, semprechè, in tal caso, le suddette operazioni siano di durata non superiore a sessanta giorni.

Ai fini che ci riguardano qui di seguito si definiscono i concetti di:

–       prestazioni di servizi;

–       operazioni di perfezionamento;

–       manipolazioni usuali;

–       locali limitrofi.

Ai fini della legge IVA (art.3 DPR 633/72) costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare di non fare e di permettere quale ne sia la fonte.

Per il concetto di operazioni di perfezionamento si può fare riferimento alle norme comunitarie, che con tale termine qualificano:

a)           la lavorazione di merci, compresi il loro montaggio, il loro assemblaggio ed il loro adattamento ad altre merci;

b)           la trasformazione delle merci;

c)            la riparazione delle merci, compreso il loro riadattamento e la loro messa a punto;

d)           l’utilizzazione di talune merci, che non si trovano nei prodotti ottenuti dal perfezionamento, ma che consentono o facilitano l’ottenimento di tali prodotti, anche se queste merci scompaiono totalmente o parzialmente nel corso della loro utilizzazione.

Per manipolazioni usuali si intendono le operazioni intese a garantire la conservazione della merce, a migliorarne la presentazione o la qualità commerciale o a prepararne la distribuzione o la rivendita.

Per locali limitrofi si devono intendere gli spazi (locali, aree e recinti) che, pur essendo separati dal deposito IVA e non costituendo direttamente parte integrante del deposito vengano a trovarsi tuttavia, rispetto allo stesso, in un rapporto di funzionalità dovuto alla contiguità dei luoghi.

Per quanto poi attiene la durata del deposito; il tempo cioè che la merce sosta nel deposito IVA giova precisare che non è prescritto né dal decreto istitutivo, né da alcuna successiva norma, un tempo minimo di stazionamento, ribadendosi anche per questa via che il contratto di deposito si perfeziona con l’intervento del depositario che effettua le operazioni di controllo sopra indicate.

 

A sostegno di quanto sin qui sostenuto sia, in generale, in tema di deposito IVA, sia, in particolare, per quanto riguarda regolarità del concetto di introduzione, si riporta qui di seguito il disposto di alcune circolari e risoluzioni ministeriali :

–           La nota n. 2411 del 31/03/1998 con la quale la Circoscrizione doganale di Trieste in risposta al quesito se la custodia dei beni nazionali e comunitari nei locali dei depositi IVA comportasse in ogni caso lo scarico dei beni stessi dai mezzi di trasporto (ad esempio camions e containers) espresse, sin da allora l’avviso che le formalità e gli adempimenti connessi al particolare regime di “deposito fiscale IVA” non implicano di per sé lo scarico materiale, essendo sufficiente che l’introduzione/estrazione dei beni comunque avvenga, nell’ambito dei siti adibiti a “depositi IVA” ancorché sui mezzi di trasporto;

–           Circolare 2162/V SD del 02/08/1999 con la quale il Ministero comunicava a tutte le Direzioni compartimentali che era ancora da risolversi la questione relativa alla portata della dizione “beni destinati ad essere introdotti in un deposito IVA”, contenuta nella lett. b) del comma 4 dell’art. 50 bis del D.L.331/93, e che la questione avrebbe formato oggetto di chiarimenti “nell’emananda circolare in corso di predisposizione“. Essa già allora si proponeva “di diramare le opportune istruzioni non appena il Dipartimento delle Entrate avrebbe fatto conoscere il proprio orientamento, nell’intesa che la chiara dizione normativa sopra riportata non consente di prescindere dalla materiale introduzione delle merci nei locali adibiti a deposito, anche se non è previsto che le stesse debbano essere scaricate dai mezzi di trasporto”;

–           Nota n. 23854/SD/09 del 17/08/1999 con la quale la Direzione della Circoscrizione doganale di Trieste comunicava alle dipendenti Direzioni circoscrizionali la nota 2162/V/SD del 02/08/1999 ribadendo che: “in ogni caso, la Direzione centrale dei servizi doganali nel fare riserva di diramare a tempo debito le opportune istruzioni, ha precisato che la chiara dizione normativa sopra riportata non consente di prescindere dalla materiale introduzione delle merci nei locali adibiti al deposito, anche se non è previsto che le stesse debbano essere scaricate dai mezzi di trasporto”;

–           Nota n. 917-562/2004 del 29/03/2004 con la quale l’Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale della Puglia in risposta ad un’istanza di interpello con la quale la società istante aveva chiesto se fosse regolare, al fine di effettuare il transito delle merci dal deposito IVA, trazionare i containers vicino al recinto ubicato di fronte al deposito IVA ha così deciso: “…..omissis…..Occorre tener conto, altresì, che il recinto doganale, pur essendo separato dal deposito IVA, viene tuttavia a trovarsi, rispetto allo stesso, in un rapporto di funzionalità dovuto alla contiguità dei luoghi. Si ritiene, pertanto, che nella particolare fattispecie, in cui l’introduzione ed estrazione avvengano nello stesso contesto, la procedura proposta dall’istante possa considerarsi idonea allo scopo precipuo di far conseguire al depositante il vantaggio finanziario del mancato pagamento dell’IVA, a condizione che alla stessa vi acconsenta l’impresa titolare del deposito IVA…….omissis.”;

–           Circolare n. 2004-29908 del 16/09/2004 dell’Agenzia delle Dogane – disposizione di servizio n. 06/2004 – depositi IVA – con la quale, tra l’altro, si sostiene:

a)        che il deposito IVA non è un deposito virtuale;

b)        che “non vi è previsione circa una durata minima del deposito, ma deve realizzarsi in concreto il duplice obbligo di custodia e di restituzione, che, al contrario, con un deposito virtuale mancherebbe”;

c)        “l’indispensabile introduzione fisica dei beni in deposito IVA non implica necessariamente lo scarico dei beni dal mezzo, ma la presentazione del mezzo e la consegna della merce ivi contenuta al depositario”;

Dall’esame del contenuto delle sole circolari sopra riportate si evince quanto segue:

1)           il problema della introduzione fisica delle merci nei depositi IVA è stato già risolto sin dal 1999 nel senso che non è necessario scaricare le merci dai mezzi di trasporto;

2)           la questione, seppur risolta di volta in volta con le risoluzioni sopra specificate, non è stata mai affrontata dall’Agenzia delle Dogane con una disposizione chiara ed univoca.

Con l’approvazione del Decreto Anticrisi (D.L. 185/2008): le prestazioni di servizi indicate al comma 4, lett. h) dell’art. 50 bis relative ai beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione in deposito IVA.

Il “sistema italiano”, disciplinato dall’art. 50 bis del D.L. 331/93, richiede che la merce venga introdotta nel deposito IVA.

E’, perciò, determinante definire con la massima precisione il concetto di introduzione.

Sul punto il D.L. 185/2008, convertito dalla legge n. 2/2009, all’art. 16 comma 5 bis (Decreto Anticrisi), che è norma di interpretazione autentica e, pertanto, con valenza retroattiva,  costituisce una linea di demarcazione tra il concetto di introduzione prima e dopo la data  della sua approvazione.

Fino al 29.01.2009 l’introduzione si riteneva realizzata alla condizione che l’automezzo entrasse fisicamente nel deposito, senza la necessità di un tempo minimo di sosta e senza che le merci ne fossero materialmente scaricate[3].

Entrato l’automezzo e, poste in essere le prestazioni di servizi semplici di cui al comma 4, lettera h) dell’art. 50 bis (verifica e rimozione del piombo apposto dalla Dogana, riscontro della regolarità del carico e presa in carico della merce sul registro previsto dal D.M. 419/97), l’introduzione si intendeva verificata e la merce si considerava giacente nel deposito in regime sospensivo.

Nel panorama concettuale e normativo come sopra delineato, interviene l’interpretazione autentica del legislatore.

Per la precisione, l’articolo 16 della legge n. 2\2009  che così recita:

“5-bis. La lettera h) del comma 4 dell’articolo 50-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, si interpreta nel senso che le prestazioni di servizi ivi indicate, relative a beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA.

Essa è senza dubbio norma di interpretazione autentica, e quindi ha piena efficacia retroattiva.

Già nella relazione illustrativa presentata alla Camera dei Deputati (seduta n. 113 del 13/01/2009) dall’onorevole Cosimo Ventucci viene confermato, come segue, tutto quanto sin qui esposto:

“La ragione dell’intervento interpretativo è rappresentata dalla perplessità insorta negli operatori doganali e nell’Amministrazione in ordine alla legittimità di operazioni consistenti in manipolazioni usuali (quali, a titolo esemplificativo, verifiche e controlli dei sigilli, della qualità e quantità delle merci) effettuate dal gestore del deposito IVA nei luoghi limitrofi ovvero adiacenti al deposito stesso, senza la materiale introduzione dei beni nel deposito, spesso in ragione di peculiari situazioni connesse alla funzionalità del deposito.

Tuttavia è noto che la merce destinata al deposito è già stata controllata  dalla Dogana e fatta uscire dagli spazi doganali con bolla esitata, garantita da fideiussione per la parte attinente all’IVA.

All’atto della presa in carico della merce sul registro del depositario, quest’ultimo appone sul retro della bolla la dicitura “presa in carico nel deposito n°…..” e la stessa viene ripresentata in Dogana che provvede a liberare la garanzia prestata all’atto dell’effettuazione dell’operazione doganale. 

Vi sono poi situazioni particolari che si stanno sviluppando nella prassi operativa nelle quali le merci, giunte in containers nei porti italiani,  devono essere trasferite sui treni o su automezzi per proseguire in via intermodale il loro transito verso la destinazione finale. 

L’introduzione nel deposito Iva delle merci  risulta in casi del genere estremamente difficoltosa dal punto di vista pratico ed idonea a creare non pochi problemi sia alle operazioni doganali che alla funzionalità del deposito Iva.

La formulazione dell’articolo 50 bis del D.L. 331/93, comma 4, è tuttavia tale da far ritenere che, in siffatti casi, possa considerarsi assolutamente corretta la prassi di trazionare i containers negli spazi adiacenti al deposito Iva, ossia nell’area antistante il deposito stesso, per poi procedere alle operazioni che danno contenuto al contratto di deposito.

Del resto, la nozione di introduzione in deposito contemplata dall’articolo 50 bis deve essere necessariamente ricondotta alla nozione giuridica del contratto di deposito.

Il contratto di deposito, infatti, consiste nell’obbligo che il depositario ha di custodire e trattare le merci a lui consegnate dal depositante con l’obbligo di restituirle al depositante quando lo stesso ne faccia richiesta.

In tal modo, evidentemente, anche il passaggio dei beni per il deposito, allo scopo di realizzare specifiche prestazioni di servizi consistenti in semplici manipolazioni usuali, soddisfa sia la nozione di introduzione in deposito, sia la connessa nozione giuridica di deposito.

La merce affluisce al deposito Iva in modo da permettere al depositario di venire in possesso di essa e di effettuare prestazioni di servizi consistenti, come accennato, in manipolazioni semplici, quali verifica e rimozione dei sigilli, verifica sommaria della merce, riscontro con il documento doganale, presa in carico, registrazioni contabili e fiscali tra cui l’acquisizione dell’autofattura o altra documentazione per l’estrazione dal deposito e la consegna all’importatore.

Il meccanismo soddisfa in pieno le condizioni imposte dalla norma, in quanto il deposito è giustificato in modo congiunto sia dall’esigenza per il depositario di prendere possesso giuridicamente e contabilmente delle merci sia per il depositante di ottenere dal depositario un primo sommario controllo della merce.

Nel caso di specie il depositante, inviando le merci al deposito vuole ottenere due risultati: in primo luogo, vuole che il depositario prenda visione del carico allo scopo di verificare l’integrità dei sigilli ovvero la qualità e la quantità della merce arrivata; in secondo luogo, vuole che il depositario prenda in carico la merce per chiudere gli adempimenti con l’autorità doganale: pertanto, nessuna violazione può rinvenirsi nell’ipotesi che le descritte semplici operazioni, per esigenze connesse alla funzionalità del deposito, vengano materialmente eseguite nei luoghi  limitrofi ovvero adiacenti al deposito Iva.

Infine, non si palesano rischi connessi a salti ovvero evasioni d’imposta”.

In tal senso anche la relazione (Atto Senato n. 1315 Articolo 16, comma 5 – bis):

“Il comma 5 bis, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, interviene sulla disciplina dei depositi fiscali ai fini IVA recando una norma interpretativa della lettera h) del comma 4 dell’articolo 50 bis del decreto legge n. 331/1993.

L’articolo 50 bis del decreto legge n. 331/93 disciplina il regime di deposito Iva il quale consente alle merci comunitarie introdotte in Italia di fruire della non imponibilità al tributo, rinviando l’imposizione al momento dell’estrazione dei beni, se ed in quanto destinati al consumo nel territorio dello Stato. La sospensione opera solo se i beni non sono destinati alla vendita al minuto nei locali dei depositi. Sono individuati, a tal fine, sia i soggetti che possono essere autorizzati dall’Amministrazione finanziaria a gestire i depositi IVA sia gli adempimenti a carico dei medesimi soggetti.

In particolare, ai sensi del comma 4, lettera h) del citato articolo 50 bis, sono effettuate senza pagamento dell’IVA le prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali, relative a beni custoditi in un deposito IVA, anche se materialmente eseguite non nel deposito stesso ma nei locali limitrofi sempreché, in tal caso, le suddette operazioni siano di durata non superiore a sessanta giorni.

Il comma in esame stabilisce che la richiamata lettera h) si interpreta nel senso che le prestazioni di servizio in essa indicate, relative a beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA.”

L’effettuazione materiale delle indicate prestazioni di servizi può avvenire anche al di fuori dei locali (o delle linee di demarcazione) del deposito IVA.

La ratio della norma, che si ricava esplicitamente dalla rubrica dell’art. 16, denominato “Riduzione dei costi amministrativi a carico delle imprese”, e in senso ancor più ampio dalla linea di indirizzo che sorregge l’intero provvedimento legislativo, è tesa a fronteggiare con misure innovative l’attuale eccezionale stato di crisi.

Sembra evidente che la novità sposta ancor più l’accento sull’attività del depositario, la cui maggiore “libertà di manovra” è da ritenersi compensata dall’immediata presenza a suo carico di tutti gli obblighi e responsabilità, sia civili che fiscali, del consegnatario (o depositario).

Il dato testuale definisce “introduzione” a tutti gli effetti le prestazioni di servizi relative a merce consegnata al depositario, ovviamente sempre se vengano al contempo adempiute tutte le formalità prescritte dall’art 3 D.M. 419/97.

Si richiama sul punto il parere concorde  della prevalente giurisprudenza tributaria. 

 

ALL’ESTRAZIONE L’IVA VIENE ASSOLTA CON L’EMISSIONE DI AUTOFATTURA.

 

All’atto dell’estrazione dei beni dal deposito IVA ai fini della loro utilizzazione o di atti di commercializzazione nello Stato dovrà essere assolta l’imposta.

Il comma 6 dell’articolo 50 bis impone che, in tal caso, l’estrazione dal deposito avvenga previa emissione di autofattura o di fattura integrata[4], emesse ai sensi dell’art. 17– 3° comma del D.P.R. 633/72 , registrate con il metodo dell’inversione contabile (reverse charge).

La procedura del “reverse charge” si concretizza nella registrazione del documento con Iva  a debito, sul registro delle vendite, ed a credito su quello degli acquisti, nel rispetto di quanto previsto dagli artt. 50-bis, comma 6, del D.L. 331/93 e 19, 23 e 25 del DPR 633/72[5]. In conseguenza di tale duplice annotazione, l’IVA registrata a debito si elide con quella registrata a credito.

In definitiva, l’imposta indicata nell’autofattura non comporta per il soggetto passivo emittente alcuna uscita finanziaria, ma nemmeno il sorgere di un credito verso l’erario.

Tale procedura è, quindi, mezzo inconfutabilmente idoneo ad assolvere l’IVA, talché non è possibile configurare l’ipotesi di evasione del tributo in discorso, né la violazione dell’art. 70 del D.P.R. 633/72.

Si riportano qui di seguito, a titolo esemplificativo, le registrazioni inerenti la procedura del “reverse charge”.


*** **** REGISTRO VENDITE *** ****
Azienda: DITTA PROVA NAPOLI P.I.
GENNAIO 2008
T Data Reg. N. Doc. D. Doc. Clienti Totale Doc. Imponibile Aliquota Imposta Descr. IVA
V 15/01/08 1 15/01/08 AUTOFATTURA         24.000,00         20.000,00 20%     4.000,00 IVA 20 %
(V) Vendita (i) IntraCEE (e) ExtraCEE
FINE PAGINA

 

RIEPILOGO
Cod. IVA Aliquota Descrizione dell’IVA Imponibile Imposta
D20 20% IVA 20 %         20.000,00           4.000,00  
Totali         20.000,00           4.000,00
FINE PAGINA
*** **** REGISTRO ACQUISTI *** ****
Azienda: DITTA PROVA NAPOLI P.I.
GENNAIO 2008
T Data Reg. N. Doc. D. Doc. Clienti Totale Doc. Imponibile Aliquota Imposta Descr. IVA
A 15/01/08 1 15/01/08 AUTOFATTURA         24.000,00         20.000,00 20%     4.000,00 IVA 20 %
(A) Vendita (i) IntraCEE (e) ExtraCEE
FINE PAGINA

 

RIEPILOGO
Cod. IVA Aliquota Descrizione dell’IVA Imponibile Imposta
D20 20% IVA 20 % 20.000,00 4.000,00  
Totali 20.000,00 4.000,00
FINE PAGINA
*** **** RIEPILOGO IVA *** ****
Azienda: DITTA PROVA NAPOLI P.I.
GENNAIO 2008
VENDITE ACQUISTI
Aliquota Imponibile Debito IVA Imponibile Credito IVA
IVA 20 % 20.000,00 4.000,00 20.000,00 4.000,00
Totali 20.000,00 4.000,00 20.000,00 4.000,00
Totale Iva Dovuta: 4.000,00
Totale Iva Detraibile: 4.000,00
Iva a debito/credito ZERO

 

*** **** REGISTRO VENDITE *** ****
Azienda: DITTA PROVA NAPOLI P.I.
FEBBRAIO 2008
T Data Reg. N. Doc. D. Doc. Clienti Totale Doc. Imponibile Aliquota Imposta Descr. IVA
V 02/02/08 1 02/02/08 CLIENTE ITALIA         27.600,00         23.000,00 20%     4.600,00 IVA 20 %
(V) Vendita (i) IntraCEE (e) ExtraCEE
FINE PAGINA

 

RIEPILOGO
Cod. IVA Aliquota Descrizione dell’IVA Imponibile Imposta
D20 20% IVA 20 %         23.000,00           4.600,00  
Totali         23.000,00           4.600,00
FINE PAGINA

 

*** **** RIEPILOGO IVA *** ****
Azienda: DITTA PROVA NAPOLI P.I.
FEBBRAIO 2008
VENDITE ACQUISTI
Aliquota Imponibile Debito IVA Imponibile Credito IVA
IVA 20 %             23.000,00               4.600,00 0 0
Totali             23.000,00               4.600,00 0 0
Totale Iva Dovuta:               4.600,00
Totale Iva Detraibile: 0
Iva a debito               4.600,00

 

Risulta pertanto evidente che il meccanismo del reverse charge, rende l’IVA neutra per il soggetto che estrae la merce dal deposito IVA, in quanto non produce alcuna uscita finanziaria, e non fa sorgere alcun credito verso l’erario.

L’IVA verrà versata per intero al momento della vendita della merce. (concorrerà, unitamente a tutte le altre operazioni, alla liquidazione del periodo)

A sostegno di quanto sostenuto si richiama: i) la sentenza n. 85 del 14 dicembre 2006 della Commissione Provinciale di Trento che, tra l’altro, ha ribadito, che, in mancanza di rilievi od omissioni contabili che abbiano comportato l’insorgenza dell’obbligazione tributaria, il carattere trasparente e neutro dell’Iva riguardo alle operazioni compiute attraverso il sistema della detrazione d’imposta, consente agli esercenti di attività d’impresa di riversare l’imposta sui consumatori finali, con la conseguenza che una sua richiesta ulteriore equivarrebbe ad una duplicazione dell’imposta; ii) la sentenza della Corte di Giustizia Europea (Terza Sezione) procedimenti riuniti C-95/07 e C-96/07, Ecotrade S.p.a., ove ai punti 62, 63 e 159, viene ribadito che il metodo dell’inversione contabile, previsto dell’articolo 47, n. 1 del decreto legge 331/93, equivale all’assolvimento dell’imposta.

Verificato l’adempimento del debito fiscale non è corretto “annullare” (ossia considerare come non avvenuta) tale essenziale circostanza e riqualificare l’operazione come se si fosse realizzata in totale evasione d’imposta.

In tal senso:

–       la sentenza n. 12333 dell’8.10.2001 della Corte di Cassazione che, pur riconoscendo la competenza della Dogana alla riscossione dell’IVA all’ “importazione” (intesa quale specifica destinazione doganale), ha tuttavia osservato che gli Uffici doganali «non possono richiedere il pagamento del tributo dovuto ed irrogare le relative sanzioni all’esportatore abituale che, effettuate importazioni di merci senza pagamento dell’IVA secondo le previsioni dell’art. 8, comma 1, lett. c) DPR 26 ottobre 1972, n. 633, resosi conto di aver superato il plafond e di avere, pertanto, effettuato acquisti di beni in esenzione d’imposta oltre i limiti consentiti, abbia versato, anziché presso gli Uffici doganali, presso l’ufficio IVA, l’imposta dovuta e le sanzioni da questo determinate»;

–       la sentenza n. 61/28/06, pronunciata il 27.06.2006 dalla CTP di Torino, sezione 28 che, facendo riferimento alla appena menzionata pronuncia della Cassazione, afferma come «evidentemente la Corte, pur in presenza di una norma che attribuisce alle dogane la riscossione dell’IVA relativa alle importazioni, ha ritenuto che – assolta la stessa imposta presso altro ufficio, competente per l’IVA nazionale – non potesse essere la stessa assolta nuovamente.

Si tratta di una interpretazione giurisprudenziale che, in un certo senso, colma l’assenza di una precisa noma legislativa che consenta, ad esempio, all’ufficio che riceve il pagamento di accreditarlo all’ufficio competente e quindi, in definitiva, agevola il contribuente impedendo una duplicazione della pretesa tributaria, anche in ossequio al principio della capacità contributiva».

…… l’IVA è stata formalmente assolta con l’annotazione nei registri delle fatture emesse e degli acquisti» …… in quanto sono state applicate correttamente le norme di cui agli artt. 17, 23 e 25 della legge d’imposta»;

–       la recente sentenza n. 307/08 del 12 novembre 2008 e depositata il 22 dicembre 2008 della 7° sezione della Commissione Provinciale di Milano che ha ribadito la tesi prospettata che l’imposta è già stata assolta al momento dell’estrazione, con l’emissione dell’ autofattura e la sua successiva registrazione sui registri IVA col sistema del reverse charge.

La  sentenza ha anche affermato che l’emissione di autofattura e perciò il versamento dell’imposta all’Agenzia dell’Entrate, in sede di liquidazioni periodiche, anziché in dogana, come prescritto dagli articoli 67, 69 e 70 del decreto IVA, costituisce pagamento dell’imposta, altrimenti si verificherebbe una ingiustificata duplicazione della sua riscossione per lo stesso rapporto tributario, in violazione del principio di neutralità nell’applicazione dell’IVA.

La stessa Amministrazione ha riconosciuto che la maggiore IVA, determinata al momento di rettifiche, deve essere liquidata direttamente dal contribuente mediante annotazione in contabilità dell’autofattura emessa al momento dell’estrazione.

In ordine alle procedure da seguire per il recupero dell’IVA, in caso di rettifiche o di revisioni dell’accertamento, sia di iniziativa che su richiesta di parte, relative alle dichiarazioni di immissione in libera pratica di merci destinate ad essere introdotte in deposito IVA, l’Agenzia delle Entrate e quella delle Dogane hanno espresso parere concorde che l’IVA da recuperare dovrà essere liquidata direttamente dal contribuente, mediante annotazione in contabilità delle variazioni intervenute, e non recuperata dalla dogana in quanto diritto doganale.

Le linee guida per il recupero della maggiore IVA accertata sono state dettate con la risoluzione 22 maggio 2003, n. 113/E dell’Agenzia delle Entrate , e con la nota protocollo 31891/c.c. della Dogana di Trieste, che affermano, entrambe, che “in tutti i casi di rettifica/revisione dell’accertamento, sia di iniziativa che su istanza di parte, la maggiore IVA eventualmente determinata non deve essere riscossa in dogana, ma deve essere liquidata direttamente dal contribuente, mediante annotazione in contabilità della variazione in aumento”.

Il contribuente dovrà annotare due volte (reverse charge) la fattura di acquisto o la nota di variazione nella sua contabilità:

una prima volta sul registro degli acquisti;

una seconda volta su quello delle fatture emesse.

Infine sulle modalità di assolvimento dell’imposta,  in esame, si segnala, la nota prot. n. 1812/V/SD del Dipartimento delle Dogane del 12 agosto 1998, nella quale la stessa Amministrazione, riconoscendo che “….l’immissione in libera pratica di beni extracomunitari destinati ad essere introdotti in depositi IVA costituisce importazione non soggetta all’imposta e la loro uscita da detti luoghi realizza un’operazione interna” e che l’operazione doganale si esaurisce con l’immissione in libera pratica del bene, in presenza di una dichiarazione dell’importatore circa la destinazione dei beni e la ricezione di apposito documento che attesti l’avvenuta introduzione in un deposito IVA”, ha affermato che “il meccanismo dell’autofatturazione cui deve farsi ricorso all’atto dell’uscita dei beni dal deposito, anche nel caso di applicazione dell’imposta, non comporta comunque un materiale versamento del tributo”.

Con tale nota l’Agenzia delle Dogane chiarisce che l’IVA relativa alle immissioni in libera pratica di beni destinati ad essere introdotti in deposito IVA, è assolta con il meccanismo dell’autofattura.

L’imposta sul valore aggiunto, destinata a tassare il consumo privato all’interno dello Stato, secondo un meccanismo che lascia inciso il solo consumatore finale del bene, garantisce, per l’operare del meccanismo della detrazione “imposta da imposta”, la perfetta neutralità del tributo in capo ai soggetti passivi.

Nel caso che ci occupa, detta neutralità verrebbe evidentemente meno qualora fosse disconosciuta la validità del pagamento effettuato mediante autofatturazione, con conseguente obbligo della materiale nuova corresponsione del tributo, da ritenersi una inammissibile duplicazione della tassazione sul medesimo fenomeno economico, in aperto contrasto con la richiamata imprescindibile caratteristica di neutralità propria dell’IVA.

Specificamente su quest’ultimo aspetto, la Corte di Giustizia delle Comunità europee, con la recente sentenza del 21.2.2006, resa nella causa C-255/02 (Halifax plc, Racc. 2006, p. I-1609) ha chiaramente stabilito che l’Amministrazione finanziaria di uno Stato membro può recuperare l’IVA che accerti essere stata evasa, ricostruendo il credito secondo le regole proprie di tale imposta ovvero gli eventuali adempimenti con cui l’operatore ha assolto l’imposta, ma non può effettuare il recupero di un’IVA che è stata comunque assolta in base ai meccanismi propri dell’imposta sul valore aggiunto.

In particolare, la Corte ha rilevato che «i provvedimenti che gli Stati membri possono adottare ai sensi dell’art. 22, n. 8, della Sesta Direttiva per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine. Essi non possono quindi essere utilizzati in modo tale da mettere in discussione la neutralità dell’IVA, che costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa comunitaria in materia»

Da ciò discende, ad avviso dei giudici lussemburghesi, «che operazioni implicate in un comportamento abusivo devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che quel comportamento hanno fondato» (sent. cit. punto 94).

Nel procedere a siffatta ricostruzione l’Amministrazione «deve, però, altresì, detrarre ogni imposta applicata a valle su un’operazione, della quale imposta il soggetto passivo interessato era fittiziamente debitore nell’ambito di un piano di riduzione del carico fiscale, e rimborsare eventuali eccedenze.

Allo stesso modo deve permettere al soggetto passivo che, in assenza di operazioni costitutive di un comportamento abusivo, sarebbe stato il beneficiario della prima operazione non costitutiva di tale comportamento, di detrarre, conformemente alle disposizioni del sistema di detrazioni della Sesta Direttiva, l’IVA gravante a monte su quell’operazione» (sent. cit. punti 96 e 97).

Nel caso che ci occupa la pretesa dell’Amministrazione produce proprio l’effetto che la sentenza della Corte mira a scongiurare, ossia quello di richiedere per una seconda volta la medesima imposta già pagata mediante autofattura, in violazione del principio di neutralità dell’imposta.

Quarto comma, lettera b) E’ DA RITENERSI ERRONEO OGNI RIFERIMENTO AGLI ARTT. 67 E 70 DEL DECRETO IVA.

 

Le note che seguono si prefiggono di dimostrare che il riferimento all’art. 70 del decreto IVA, non è riferibile alla fattispecie dell’immissione in libera pratica di beni destinati all’introduzione in deposito Iva.

a)        L’immissione in libera pratica

L’immissione in libera pratica è “un regime doganale” previsto all’articolo 4 punto 16 del CDC.

Essa implica l’applicazione delle misure di politica commerciale, l’espletamento delle altre formalità previste per l’importazione di una merce, nonché l’applicazione dei dazi legalmente dovuti.

I prodotti provenienti da Paesi terzi, immessi in libera pratica, possono circolare liberamente nella comunità.

Nella pratica la dogana rilascia una bolletta doganale, con la quale riscuote i dazi e tutte le tasse di effetto equivalente, ma non l’IVA, assimilando così la merce “terza” a quella “comunitaria”.

La definizione di immissione in libera pratica deriva dal combinato disposto dell’art. 79 del CDC e dell’art. 249 del TULD.

b) L’importazione dal punto di vista doganale

L’importazione definitiva è una “destinazione doganale” prevista all’articolo 55 del TULD.

Perché la merce “terza” possa considerarsi “importata” è necessario che si verifichi il presupposto della sua immissione in consumo, nel territorio dello Stato (art. 36 TULD: “Si intendono destinate al consumo entro il territorio doganale le merci estere dichiarate per l’importazione definitiva”), nonché la riscossione di dazi e delle altre imposizioni comunitarie (risorse proprie), nonché dell’IVA.

Cioè di tutti i diritti doganali. 

Le merci “terze” importate, sono equiparate, a tutti gli effetti a quelle nazionali (esse si dicono “nazionalizzate” – articolo 134 del TULD)

Non è, pertanto, quella della importazione definitiva la destinazione doganale data alle merci destinate all’introduzione del deposito Iva ma quella, prevista all’articolo 79 del CDC dell’immissione in libera pratica.

Infatti solo ad introduzione regolarmente avvenuta, si potrà verificare, all’estrazione,  l’ipotesi dell’immissione in consumo, ovvero quella dell’esportazione, ovvero ,ancora, quella della cessione intracomunitaria delle merci.

c) L’importazione dal punto di vista del Decreto IVA

Il Decreto IVA, il cui testo è armonizzato con la normativa comunitaria, definisce l’importazione all’art. 67, il cui testo originario è stato così modificato dal 14/03/1997, data di entrata in vigore della Legge 28/97

“Costituiscono importazioni le seguenti operazioni aventi per oggetto beni introdotti nel territorio dello Stato, che siano originari da paesi o territori non compresi nel territorio della Comunità e che non siano stati già immessi in libera pratica in altro paese membro della Comunità medesima…..omissis…:

a)           le operazioni di immissione in libera pratica, con sospensione del pagamento dell’imposta qualora si tratti di beni destinati a proseguire verso altro Stato membro della Comunità economica europea:

Omissis

Risulta subito evidente che è stato soppresso l’inciso ovvero ad essere immessi in deposito doganale non autorizzato”, presente nel testo previgente..

Sono, pertanto, da considerare importazioni ai fini IVA, soltanto:

1) le operazioni di immissione in libera pratica, purché riguardino beni introdotti nel territorio dello Stato, cioè immessi in consumo in Italia; cioè, ancora, dichiarati in dogana per l’importazione definitiva;

2) le operazioni di immissione in libera pratica, in sospensione d’imposta, di beni destinati a proseguire verso altro stato membro della Comunità economica europea.

Da quanto sin qui, risulta che le operazioni di immissione in libera pratica, per merce destinata ad essere introdotta in deposito IVA, non sono più qualificate “importazioni”, così come definite all’art. 67 del Decreto IVA.

Da quanto premesso risulta subito che l’immissione in libera pratica di beni destinati ad essere introdotti in deposito IVA non è un importazione.

A sostegno della tesi esposta valga:

1)        il disposto della recente decisione della Commissione Provinciale di Trieste, n. 27/7/08, depositata il 12/3/2008, ove è espressamente riconosciuto, tra l’altro che “ il gestore del deposito fiscale (leggi deposito Iva) infatti, assume in carico la merce, non l’imposta gravante e il registro di carico-scarico non fa distinzioni tra merci nazionali, merci comunitarie e merci nazionalizzate: di conseguenza, l’imposta che sarà versata per effetto dell’estrazione dal deposito della merce (già estera) ricade sotto la normativa dell’Iva interna (non più sotto l’art.67 e segg. del DPR n. 633/72).

In queste condizioni, la riscossione in dogana dell’Iva dopo che la merce è stata introdotta e presa in carico in un deposito fiscale, porterebbe ad una ingiustificata duplicazione dell’imposta (a fronte di quella riscossa o che sarà riscossa al momento dell’estrazione della merce dal deposito); oppure a un pagamento di IVA non dovuta, quando la merce fosse poi estratta dal deposito per una destinazione che non comporta il pagamento dell’imposta: es. lettere f) e g) della norma citata “(articolo 50 bis D.L. 331/93);

2)        la circolare n. 145 del 10 giugno 1998, emessa allo scopo di fornire chiarimenti in ordine alle nuove disposizioni comunitarie di cui alla direttiva n. 95/7/CE del 10.4.1995, recepite con la legge 18 febbraio 1997, n. 28, al punto 2.1, testualmente recita: beni introdotti in deposito Iva. L’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge n. 28 del 1997, ha modificato l’articolo 67 del DPR 633 del 1972, prevedendo, alla lettera a) del comma 1, la soppressione delle parole “ovvero ad essere immessi in un deposito non doganale autorizzato“, nonché l’abrogazione della successiva lettera e). Le modifiche suddette sono strettamente connesse con quanto stabilito dall’articolo 50 bis, comma 4, lettera b) in materia di depositi Iva“;

3)        la circolare n. 28/E del 21 giugno 2004 dell’Agenzia delle Entrate che ha affermato testualmente: 

“12.6 depositi IVA

Le operazioni elencate nell’articolo 50-bis, comma 4, del decreto legge n. 331 del 1993, relative ai beni introdotti in depositi fiscali ai fini Iva, sono effettuate, ai sensi dello stesso comma 4, senza pagamento dell’imposta sul valore aggiunto. Ai sensi del successivo comma 6 del citato articolo 50 bis, l’imposta è dovuta dai soggetti passivi d’imposta al momento di estrazione del bene dal deposito IVA ai fini dell’utilizzazione o della commercializzazione nello Stato. Costoro sono tenuti ad integrare l’eventuale fattura d’acquisto o ad emettere autofattura con applicazione dell’imposta, e ad annotare entrambe nel registro delle vendite“;

4)        la decisione del Direttore Regionale di Trieste, n. 3/07 del registro delle controversie, n. 44452 di protocollo  ove è chiaramente affermato che:

–              “a seguito dell’innovazione apportata al primo comma dell’art. 67 del DPR 26 ottobre 1972, nr. 633, dalla legge 18 febbraio 1997, nr. 28 l’immissione in libera pratica, l’introduzione e la successiva estrazione dal deposito IVA, rappresentano operazioni distinte ed autonome, assoggettate alla loro specifica disciplina;

–              a seguito della predetta innovazione, la regolarizzazione dell’IVA, dal momento in cui vengono introdotti e fino alla loro estrazione, segue, la regola generale prevista dalla legge istitutiva dell’IVA, mentre l’imposta sul valore aggiunto relativa alle importazioni è soggetta alla specifica disciplina prevista dal TULD;

–              l’immissione in libera pratica di beni comunitari costituisce un’operazione doganale conclusa e autonoma rispetto all’operazione di introduzione in deposito IVA ed è quindi soggetta alla specifica normativa doganale……e non a quella generale prevista dalla normativa fiscale di cui al DPR 633/72.”;

5)        la sentenza della Corte di Giustizia Europea, n. 299/86 del 25 febbraio 1988 (RAINER DREXL) ha ritenuto l’art. 70 del DPR 633/72 incompatibile con l’articolo 95 del Trattato, in quanto prevede sanzioni per le violazioni relative all’IVA all’importazione manifestamente sproporzionate rispetto alla violazioni relative agli scambi interni.

Con la citata sentenza è stato infatti stabilito che:

“……gli Stati membri non sono obbligati ad istituire un regime identico per le due categorie di infrazioni (leggi infrazioni all’IVA all’importazione e infrazioni all’IVA interna).

Tuttavia, tali differenze non possono giustificare un divario manifestamente sproporzionato nella severità delle sanzioni comminate per le due categorie di infrazioni. Una sproporzione siffatta sussiste quando la sanzione comminata per il caso dell’importazione comporta, di norma, pene detentive e la confisca della merce in forza di norme intese a reprimere il contrabbando, mentre sanzioni comparabili non sono contemplate o non sono applicate in modo generale nel caso di infrazioni all’IVA negli scambi interni, Tale situazione potrebbe avere effettivamente la conseguenza di compromettere la libertà di circolazione delle merci all’interno della Comunità, e sarebbe quindi incompatibile con l’art. 95 del Trattato.”

In conclusione, non trattandosi di importazione,

semplicemente non ricorre il 1° comma dell’art. 70 del Decreto IVA:

“Si applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine”.

 

 

NON È POSSIBILE ANNULLARE LA DESTINAZIONE DOGANALE DELL’IMMISSIONE IN LIBERA PRATICA PER SOSTITUIRLA CON QUELLA DELL’IMPORTAZIONE DEFINITIVA.

La finzione giuridica per cui una eventuale mancata introduzione fisica della merce comporterebbe la “cancellazione” del regime di deposito IVA e riporterebbe l’orologio indietro (come metaforicamente, ma in modo chiaramente rappresentativo, indicato da Sara Armella[6])sino al momento dell’immissione in libera pratica allo scopo di riconsiderare quella destinazione doganale come quella della importazione definitiva, non è corretta, né ai fini IVA né ai fini doganali.

Ai fini IVA, perché nel frattempo è intervenuto un fatto significativo, ossia l’adozione della procedura relativa all’introduzione e all’estrazione della merce dal deposito IVA e, soprattutto, l’adempimento del tributo.

Ai fini doganali:

–              perché l’articolo 55 del TULD elenca le destinazioni doganali, tra le quali quella dell’importazione definitiva, che costituisce l’immissione in consumo della merce nel territorio italiano. L’immissione in libera pratica, invece, in quanto immissione in consumo nella Comunità, è prevista dal combinato disposto dell’articolo 4, punto 15, lettera a) e 16, lettera a) del CDC;

–              perché non è consentito mutare la destinazione doganale delle merci, se non prima che ne sia intrapresa la visita, e solo previa autorizzazione scritta del capo della dogana (articolo 33 del Regolamento doganale approvato con regio Decreto 13 febbraio 1896, n. 65), ovvero rettificare o invalidare la dichiarazione una volta concesso lo svincolo delle merci (v. artt. 65 e 66 CDC).

Lo svincolo comporta la messa a disposizione degli operatori della merce, contestualmente alla registrazione meccanografica ed alla contabilizzazione dei diritti liquidati in bolletta.

Non v’è alcun dubbio, quindi, che una volta accettata la dichiarazione doganale d’immissione in libera pratica per merce destinata a deposito Iva, registrata la bolletta e riscossi i diritti, lo svincolo c’è stato e la merce è stata posta nella piena disponibilità dell’operatore.

A rischio di apparire ripetitivi, si ribadisce che l’Iva garantita è tributo interno e non un diritto doganale. Se lo fosse stato la procedura avrebbe dovuto essere quella di attribuire alla merce la destinazione dell’importazione definitiva e, quindi, di rilasciarla con la procedura del daziato sospeso, previa assunzione di garanzia per l’IVA dovuta, da considerare, in tal caso, un diritto doganale (articolo 164 del R.D. 13 febbraio 1896, n. 65).

 

 

 

 

I DEPOSITI IVA SECONDO IL RECENTE ORIENTAMENTO DELLA CASSAZIONE (sentenza n. 12262/10 e seguenti)


La sentenza n. 12262/10 del 15/04/2010 della Sezione Tributaria Civile della Corte di Cassazione

 

Il  caso preso in esame dalla Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza n. 12262/10 e seguenti[7], riguarda l’asserita mancata introduzione materiale delle merce all’interno di un deposito IVA, ritenuta di fatto  puramente virtuale, in quanto l’area del deposito consisteva in un piccolo appartamento sito al terzo piano di uno stabile ove era impossibile introdurre materialmente la merce indicata nelle bollette doganali. 

Per quello che qui interessa, si commenteranno solo alcuni aspetti della motivazione della sentenza.

Quarto Motivo: Differenza tra deposito doganale privato e deposito IVA – Duplicazione dell’imposta.

Il quarto motivo risponde al seguente quesito:

“Se concretizzi duplicazione di imposizione connessa con la violazione dell’art. 50 bis comma 6 D.L. 331/93, nonché con la falsa applicazione degli articoli 1 e 70 comma 1° del D.P.R. 633/72 il recupero dell’Iva derivante dall’annullamento del beneficio del differimento del pagamento del tributo allorché l’IVA dovuta per le operazioni eseguite di immissione delle merci in libera pratica sia stata già corrisposta (all’estrazione) ai sensi dell’art. 17 D.P.R. 633/72.”

Di difficile comprensione appare quanto affermato nella motivazione a pagg. 10 e 11 della sentenza e che si riporta qui di seguito:

 

“L’introduzione della merce di importazione nel deposito IVA costituisce dunque il presupposto per l’esenzione dell’IVA all’importazione su merci comunitarie, parificate dal Reg. CEE 2913/92 a merci non comunitarie immagazzinate, (art. 98 lett. a) b) CDC), fruenti dell’esenzione daziaria purché vincolate al regime del deposito doganale, stabilito nell’autorizzazione. E poiché il presupposto per fruire esenzione da dazi ed IVA è costituito proprio da quell’immagazzinamento che nella specie non è avvenuto – consegue che in difetto di quel presupposto l’IVA all’importazione è dovuta da tutti i soggetti che hanno concorso alla introduzione irregolare della merce (art. 38 DPR 43/73), a prescindere dal fatto che l’art. 50 bis cit. renda comunque responsabile, in via solidale, il depositario del mancato assolvimento dell’IVA interna. La responsabilità solidale della ricorrente nasce, infatti dalla irregolare gestione del deposito IVA, che ha consentito agli importatori, attraverso mere registrazione di attraversare il confine senza il pagamento dei dazi e IVA all’importazione restando in possesso della merce non depositata sulla quale hanno corrisposto soltanto l’IVA in autofattura di cui si è detto.”

La sentenza in commento si sofferma anche sul comma 5 bis dell’art. 16 del D.L. 185/2008, convertito dalla legge 2/2009, che recita:

“La lettera h) del comma 4 dell’articolo 50-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, si interpreta nel senso che le prestazioni di servizi ivi indicate, relative a beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA.”

I Giudici della Suprema Corte hanno sostenuto:

“considerare non incidenti sulla introduzione in deposito le prestazioni di servizi (comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali) non interferisce sulla necessaria introduzione e ciò è deducibile anche dalla lettera della norma che si riferisce ai beni “consegnati” al depositario, ove il termine consegna non può ritenersi diverso da quello di introduzione nel deposito; pertanto anche a voler ritenere che in locali limitrofi possano eseguirsi attività accessorie di manipolazione delle merci, ciò non può incidere negativamente sull’introduzione ormai avvenuta, o consentire una lettura contraria alle precise regole dettate dalla normativa comunitaria.”

Allo scopo di valutare compiutamente la questione, occorre fare un chiaro riferimento alle indicazioni dettate dalla stessa Amministrazione fino al 2010, anno di deposito delle sentenze della Suprema Corte n. 12261/10 e seguenti.

Il comportamento da tenere fino alla data della sentenza era conforme alle seguenti disposizioni dettate dall’Amministrazione finanziaria, che qui si elencano, distinguendo tra quelle relative agli obblighi posti a carico del depositario e quelle relative agli obblighi posti a carico dei ai soggetti che estraggono la merce dal deposito.

Gli obblighi a carico del depositario sono indicati al comma 3 dell’art. 50 bis, adempiuti correttamente i quali, viene meno la sua responsabilità solidale prevista dal successivo comma 8. Le modalità riconosciute corrette fino alla data della Sentenza in questione erano:

1)    la bolletta doganale di immissione in libera pratica doveva contenere l’indicazione che la merce fosse destinata all’introduzione nel deposito Iva;

2)    l’automezzo doveva entrare fisicamente nel deposito, senza che fosse necessario che le merci ne venissero scaricate

3)    non era ritenuto necessario un tempo minimo di sosta presso il deposito IVA, in quanto l’indicata “modalità di introduzione” garantiva anche le funzioni di stoccaggio e di custodia;

4)     la risoluzione n. 440/E del 12/11/2008 dell’Agenzia delle Entrate che, a pag. 4, faceva la seguente distinzione tra i depositi doganali e i depositi Iva:

“Occorre premettere che i due tipi di depositi, quello doganale e quello IVA, assolvono a funzioni diverse in ragione della diversa posizione fiscale delle merci in essi introdotte. Infatti, nei depositi doganali sono introdotti e conservati beni ancora allo stato “estero”, cioè beni che non sono stati ancora immessi in libera pratica in ambito comunitario e per i quali non sono stati ancora assolti i dazi doganali e gli altri diritti doganali.

Solo con l’immissione in libera pratica, ai sensi dell’art. 129 del regolamento CEE n. 450/2008, viene attribuita la posizione doganale di merce comunitaria ad una merce non comunitaria, previo il pagamento dei relativi dazi.

I depositi IVA, regolati dall’art. 50-bis del D.L. n. 331 del 1992, consentono, invece, di poter custodire merce comunitaria e di poter effettuare tutte le operazioni relative ai beni in esso introdotti senza applicazione dell’IVA che verrà assolta al momento dell’estrazione dal deposito dei beni medesimi.

Così evidenziata la diversa operatività dei due tipi di deposito, all’interno dei quali possono essere custoditi beni in posizione doganale differente, va ricordato che ai sensi dell’art. 50-bis citato, i depositi doganali possono essere utilizzati anche come depositi IVA, senza ulteriore specifica autorizzazione, a condizione, tuttavia, che il gestore del deposito ne dia apposita comunicazione all’Ufficio doganale competente alla vigilanza sul relativo impianto. In tale comunicazione è richiesta, tra l’altro, l’indicazione delle modalità adottate ai fini della individuazione delle merci soggette a diversi regimi (cfr. circolare 28 aprile 2006, n. 16 dell’Agenzia delle dogane).”;

–        a pag. 6, punto 5, precisava che nella successiva fase dell’estrazione dei beni dal deposito IVA, se destinati al mercato interno, l’imposta doveva essere assolta tramite l’emissione di autofattura ai sensi dell’art. 17, 3° comma del DPR 633/72, secondo quanto previsto dall’art. 50 bis, comma 6, del D.L. 331/93;

5     la lettera h) del comma 4 dell’articolo 50 bis consentiva, da sempre, che le prestazioni di servizi, relative a beni custoditi in deposito Iva, potessero essere eseguite materialmente non nel deposito stesso, ma nei locali limitrofi purché avessero durata non superiore ai sessanta giorni;

6     l’art. 16 – comma 5 bis del D.L. 185/2008 consentiva di ritenere avvenuta l’introduzione anche qualora le prestazioni di servizio indicate alla lettera h) del comma 4 dell’art. 50 bis fossero eseguite sulle merci consegnate al depositario negli spazi limitrofi al deposito IVA o, comunque, nel luogo di consegna della merce, senza che fosse necessaria la previa introduzione fisica all’interno del deposito IVA. La norma (avente valore retroattivo a giudizio della prevalente dottrina e della prevalente giurisprudenza, in quanto interpretativa di una norma precedente) recita infatti: “la lettera h del comma 4 dell’articolo 50 bis del decreto legge 30 agosto 1993 n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993 n. 427, si interpreta nel senso che le prestazioni di servizi ivi indicate, relative a beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA”. Dalla relazione alla Camera dei Deputati si legge che l’istituto non comporta alcun salto d’imposta.

Principio fu confermato anche dalla Centrale Agenzia delle Dogane con la nota n. 22321 R.U. del 24/02/2009[8];

7     doveva essere restituito alla dogana di emissione un esemplare della bolletta doganale, munita dell’attestazione di presa in carico da parte del depositario, al fine di consentire lo svincolo della garanzia prestata, concludendo, così, l’operazione di immissione in libera pratica di merce destinata all’introduzione in deposito IVA (v. circolare n. 1241 del 03 aprile 1997);

8     doveva essere tenuto regolarmente il registro di carico e scarico previsto dalle norme relative all’istituto del Deposito IVA (art. 50 bis – comma 3° e D.M. 419/97) e custodita con diligenza ed ordine, la documentazione di entrata e di uscita della merci dal deposito;

9     l’uscita dal deposito per l’immissione in consumo nello Stato della merce doveva avvenire previa presentazione, da parte del soggetto che procedeva all’estrattore, di autofattura o di fattura integrata (art. 50 bis – comma 6°);

10  tutta la documentazione acquisita ed il registro di carico e scarico doveva essere tenuto a disposizione della dogana che provvedeva a controlli periodici con relativa verbalizzazione;

 

A carico del cliente – utilizzatore – del deposito restavano da adempiere le formalità necessarie all’estrazione della merce.

Per quanto riguarda il caso di estrazione della merce dal deposito IVA per l’immissione in consumo nel territorio dello Stato, l’utilizzatore doveva (e deve) emettere autofattura, o fattura integrata (qualora la merce fosse stato oggetto di acquisto all’interno del deposito IVA), entrambe da registrare, obbligatoriamente (art. 50 bis – comma 6), con il metodo dell’inversione contabile – “reverse charge” che garantisce la neutralità dell’imposta ed il suo assolvimento (vedi ultra).

La Suprema Corte, con le citate sentenze 12262/10 e seguenti ha fissato i seguenti principi, del tutto diversi da quelli, fino ad allora, indicati dalla stessa Amministrazione:

a)    i Depositi IVA sono regolati dagli articoli da 98 a 110 del Codice Doganale Comunitario e, perciò, considerati un “deposito doganale”;

b)    il “reverse charge” non è assolvimento dell’imposta, qualora l’operazione prevista dall’art. 50 bis del D.L. 331/93 sia stata irregolarmente posta in essere;

c)    il comma 5 bis dell’art. 16 del D.L. 185/2008 è stato, di fatto, cassato, avendo la Corte ritenuto legittimo eseguire le prestazioni di servizio di cui al comma 4) lett. h) dell’art. 50 bis, anche negli spazi limitrofi, o adiacenti, al deposito, alla condizione che la merce fosse necessaria preventivamente introdotta fisicamente nel deposito. Tale possibilità, in quanto già consentita dalla lettera h) del comma 4 dell’articolo 50 bis, rende pleonastica l’osservazione della Corte.

Invece:

–       il regime del deposito doganale consente l’immagazzinamento di merce non comunitaria (terza), cioè estera a tutti gli effetti, assolutamente non custodibile in un deposito IVA, ove, invece, può entrare solo merce nazionale o comunitaria;

–       la gestione di un deposito doganale è subordinata, contrariamente a quella del deposito IVA, al rilascio di un’autorizzazione da parte dell’Autorità doganale e la persona che intende gestirlo deve farne richiesta scritta alla dogana indicando segnatamente le esigenze economiche che la giustificano (art. 100 C.D.C.);

–       i depositi IVA possono anche essere magazzini nazionali autorizzati dall’Agenzia delle Entrate alle condizioni indicate al comma 2 dell’art. 50 bis del D.L. 331/93, nel qual caso il controllo non compete all’Agenzia delle Dogane, ma all’Agenzia delle Entrate ed, in ogni caso, alla Guardia di Finanza;

–       le merci nel deposito doganale privato sono soggette alla sorveglianza doganale, mentre quelle custodite nel deposito IVA no;

–       il depositario deve tenere una contabilità di magazzino, preventivamente riconosciuta idonea dalla dogana, di tutte le merci vincolate al regime del deposito doganale che nulla ha a che fare con il registro di carico e scarico del deposito IVA previsto dal comma 3° dell’art. 50 bis del D.L. 331/93;

–       il regime del deposito doganale è un regime sospensivo economico, in quanto alla merce estera, di provenienza paesi terzi, in esso custodita, deve essere data una destinazione doganale successiva che ne consenta l’uscita;

–       quello del deposito IVA non è un regime doganale, né sospensivo, né definitivo.;

–       il deposito IVA è, invece, un regime non doganale, previsto dalla Direttiva 95/7/CE del Consiglio del 10 aprile 1995, che così lo definisce;

–       la diversità tra i due istituti è stata riconosciuta anche dalla stessa Amministrazione che, nella citata risoluzione n. 440/E del 12 novembre 2008, ha chiaramente affermato che i due tipi di deposito, quello doganale e quello Iva, assolvono a funzioni diverse in ragione della diversa posizione fiscale delle merci in esse introdotte[9] e dalla VI Commissione Finanze della Camera (v. ultra); 

–       l’art. 157 della VI Direttiva IVA di Base (direttiva n. 112/2006/CE – allegato n. 18 dell’appello) consente agli Stati Membri di esentare dall’IVA le importazioni di merci destinate, appunto, ad essere introdotte in un deposito non doganale (possibilità recepita, seppure con modalità diverse, da tutti i paesi comunitari ed, in Italia, dalla Legge n. 28/97 che ha introdotto l’art. 50 bis nel D.L. 331/93);

–       all’atto dell’estrazione dei beni dal deposito IVA l’assolvimento del tributo deve avvenire mediante emissione di autofattura, ovvero di fattura integrata, ai sensi dell’art. 17– 3° comma del D.P.R. 633/72 “reverse charge”, così come imposto dal comma 6° dell’art. 50 bis del D.L. 331/93, come ribadito dalla stessa Amministrazione nella citata risoluzione n. 440/E del 12/11/2008.

–       il sistema dell’inversione contabile garantisce la neutralità dell’imposta, principio ripetutamente ribadito dalla Corte di Giustizia Europea, ed è stato da sempre previsto dall’art. 17 – 2° comma del Decreto IVA allorquando si acquistavano beni o servizi da soggetti non residenti. Successivamente è stato esteso agli acquisti intracomunitari, agli acquisti e/o importazione di rottami (v. art. 74 DPR 633/72 e circolare Agenzia delle Entrate 28/E del 21/06/2004 – pag. 54 e ss).

Si richiamano, altresì, in tema di validità del reverse charge: i) la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 89/E del 25/08/2010 nella quale è espressamente chiarito che l’assolvimento dell’imposta nel caso di beni estratti da un deposito IVA avviene con il meccanismo dell’inversione contabile (reverse charge); ii) la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 56/E del 06/03/2009; iii) la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 59/E del 23/12/2010 in tema di applicazione del reverse charge alle cessioni di telefoni cellulari e micro processori; iv) la nota prot. n. 1812/V/SD del Dipartimento delle Dogane del 12 agosto 1998; v) la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 140/E del 29.12.2010;  vi)la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano n. 307/08 del 12/11/2008; vii) la sentenza della Corte di Cassazione n. 10819 del 5 maggio 2010;  viii) la sentenza della Corte di Cassazione n. 17588 del 28 luglio 2010; ix) la sentenza della Corte di Cassazione – Sez. Penale n. 16860/10;

–       Il sistema dell’inversione contabile non è un “vantaggio fiscale”, che configurerebbe un “abuso di diritto”, non consentito dalla Sentenza della Corte di Giustizia Europea 255/02 del 21/02/2006 – Halifax, ma un semplice differimento del pagamento dell’IVA al momento della liquidazione di periodo.

D’altronde quanto esposto è ribadito dalla recentissima nota 84920/RU del 07/09/2011 della Centrale Agenzia delle Dogane che riconosce (a pag. 8, secondo periodo) la validità dell’assolvimento dell’imposta con il metodo del reverse charge, purché, il soggetto che provvede all’estrazione dia prova “dell’espletamento degli adempimenti previsti in materia di IVA ai fini della liquidazione dell’imposta, fornendo documentazione dell’avvenuta registrazione dell’autofattura nella propria contabilità”.

LA VI COMMISSIONE FINANZE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

La questione ha assunto una tale importanza da costituire oggetto di studio da parte del Parlamento Italiano, cui è seguita sia una modifica dell’art. 50 bis del D.L. 331/93, sia di interrogazione alla Commissione Europea .

In sede parlamentare, le fasi di studio, propedeutiche alla citata modifica, sono state:

–       l’audizione in Commissione Finanza della Camera del Direttore Centrale dell’Agenzia delle Entrate dott. Attilio Befera il quale, con riferimento agli aspetti di competenza dell’Agenzia delle Entrate relativi all’assolvimento dell’IVA nazionale al momento dell’estrazione dei beni dai depositi IVA mediante autofattura, ha segnalato che la fattispecie costituisce un’operazione “neutrale”, nella quale l’imposta è assolta mediante la sua contemporanea registrazione tra le operazioni a debito ed a credito, nonché nell’ottica di addivenire ad una soluzione di favore per i contribuenti ha ritenuto possibile prescindere dall’obbligo di transito fisico dei beni attraverso il deposito IVA, ad esempio tutte le volte in cui questo passaggio fosse oggettivamente impossibile;

–       l’audizione in Commissione Finanza della Camera del Direttore Centrale dell’Agenzia delle Dogane, dott. Giuseppe Peleggi, il quale nel confermare tutte le disposizioni emesse dall’Amministrazione, tra le quali si pone l’accento sulla nota n. 22321 del 24 febbraio 2009, e della validità della novità introdotta dal comma 5 bis dell’art. 16 del D.L. 185/2008, ha posto l’accento sul contrasto di comportamenti elusivi e costituenti illeciti ed alla necessità di un’efficace azione di contrasto alle attività che costituiscono i profili patologici del sistema;

–       la discussione in Commissione Finanze della Camera, la quale

  • considerato che l’orientamento assunto dall’Amministrazione Finanziaria, benché motivato dall’esigenza di contrastare taluni gravi fenomeni di elusione ed evasione tributaria (dai quali deve ritenersi esclusa la ricorrente), sta comportando “conseguenze potenzialmente deleterie, sul piano economico e finanziario, anche per la grande massa degli operatori onesti” e che sussiste “il concreto rischio di una duplicazione dell’IVA sulla base del medesimo presupposto impositivo sostanziale”;
  • ritenuto che alla luce dei principi a quali si ispirano l’ordinamento tributario l’imposta deve ritenersi assolta attraverso il meccanismo dell’inversione contabile al momento dell’estrazione dei beni dal deposito IVA e che a favore di tale tesi ricorre anche l’art. 6, comma 9 bis, terzo periodo del D.Lgs. n. 471 del 1997 che prevede che laddove l’IVA sia stata assolta, ancorché irregolarmente …….., fermo restando il diritto alla detrazione è prevista una sanzione amministrativa del 3 % dell’imposta irregolarmente assolta;
  • riconosciuta la validità della risoluzione n. 440/E del 12 dicembre 2008, che evidenzia la assoluta diversità tra il deposito doganale e quello IVA;
  • ritenuta l’opportunità di valorizzare la possibilità, di utilizzare i depositi doganali di tipo E, di cui all’art. 525, par. 2, lett. b) del Reg. CE 2454/93, quali depositi IVA, i quali assicurano la massima flessibilità operativa per il depositario, permettendo di fruire del regime del deposito doganale senza che le merci debbano essere immagazzinate in un locale preventivamente riconosciuto come deposito doganale.
  • ritenuto che è necessario tenere conto delle norme di cui agli artt. 1766 e seguenti del c.c. e di cui all’art. 16, comma 5 bis, del D.L. n. 185/2008 che danno prioritario rilevo alla funzione e alla qualità professionale del depositario, mettendo in secondo piano il luogo in cui tale funzione viene espletata
  • valutata l’opportunità di subordinare l’operazione di immissione in libera pratica di beni destinati a deposito IVA ai soggetti di fiducia dell’Amministrazione, ovvero previa prestazione di garanzia, da svincolare soltanto quando sia stata provato il corretto assolvimento dell’IVA all’estrazione con il metodo del reverse charge, ritenuto valido metodo di assolvimento dell’imposta interna;

 

ha approvato un atto di indirizzo che impegna il Governo ad emettere un atto legislativo, ovvero amministrativo, volto a chiarire definitivamente gli aspetti legati all’istituto del deposito IVA.

In parziale attuazione dell’atto di indirizzo della VI Commissione è stato emanato il D.L. 13/05/2001 n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011 n. 106, che all’art. 7, comma 2° punto cc ter che, riprendendo i principi in quell’atto indicati, in particolare ha aggiunto al comma 6 dell’art. 50 bis del D.L. 331/93, infine, il seguente periodo: “fino all’integrazione delle pertinenti informazioni residenti nelle banche dati delle Agenzie fiscali, il soggetto che procede all’estrazione comunica, altresì, al gestore del deposito IVA i dati relativi alla liquidazione dell’imposta di cui al presente comma ….omissis….”

La modifica in questione, introdotta dopo la risoluzione della VI Commissione Finanze della Camera, ha dunque affrontato la problematica dei depositi IVA sorta a seguito delle sentenze nn. 12262/10 e seguenti, già citate, della Corte di Cassazione, ed ha confermato la validità dell’assolvimento dell’imposta con il metodo del reverse charge e delle disposizioni di cui al comma 5 bis, dell’art. 16 del D.L. 185/2008, per invero mai abrogate. 

L’Agenzia delle Dogane, in ordine alla citate modifiche normative, ha emesso la recente nota n. 84920/RU del 07/09/2011 che

–       ribadisce la validità della circolare n. 16/D del 28/04/2006 e della direttiva n. 7521 del 28/12/2006 che dispongono la necessità di introduzione della merce nel deposito IVA senza che fosse necessario lo scarico dagli automezzi;

–       ribadisce la validità della direttiva n. 22321 del 24/02/2009 di commento alla norma di interpretazione autentica recata dal comma 5 bis dell’art. 16 del D.L. 185/2008, convertito dalla legge 02/2009;

–       riconosce (a pag. 6, secondo periodo) la validità dell’assolvimento dell’imposta con il metodo del reverse charge, purché, il soggetto che provvede all’estrazione dia prova “dell’espletamento degli adempimenti previsti in materia di IVA ai fini della liquidazione dell’imposta, fornendo documentazione dell’avvenuta registrazione dell’autofattura nella propria contabilità”.

La nota testualmente recita:

 “….

Ciò premesso, si fa seguito alle disposizioni contenute nella circolare 16/D del 28 aprile 2006 e nelle direttive prot. nn. 7521 e 22321 R.U., datate rispettivamente 28/12/2006 e 24/02/2009, relative all’argomento, per fornire i preannunciati indirizzi operativi.

Preliminarmente, si ribadiscono le disposizioni emanate con la citata direttiva 22321 del 24/02/2009 di commento alla norma di interpretazione autentica recata dall’articolo 16, comma 5 bis, del D.L. 185 del 2008, convertito dalla Legge 185 del 2008.

 

….

Le immissioni in libera pratica di beni destinati ad essere introdotti in un deposito I.V.A. sono effettuate, infatti, senza applicazione dell’I.V.A. sulla base di una dichiarazione dell’importatore circa la destinazione dei beni, dal momento che il relativo onere viene assolto solo successivamente, al momento dell’estrazione dal deposito stesso dai soggetti passivi agli effetti I.V.A. con il meccanismo dell’inversione contabile (c.d. reverse charge).

…..

Ai fini dello svincolo della garanzia, in applicazione di quanto disposto dalla norma, il soggetto che procede all’estrazione dovrà dare prova dell’espletamento degli adempimenti previsti in materia di I.V.A. (cfr. art. 1 D.P.R. 100/1998) ai fini della liquidazione dell’imposta, fornendo documentazione dell’avvenuta registrazione dell’autofattura nella propria contabilità.”

In Commissione Europea è stata posta il 15 giugno 2011 un’interrogazione con risposta scritta nella quale venivano posti gli stessi quesiti rappresentati in Parlamento. La Commissione Europea nella sua risposta ha ribadito che l’IVA diventa esigibile soltanto quando la merce viene estratta dal deposito IVA per l’immissione in consumo nello Stato membro ove è ubicato il deposito.

INDICE

I DEPOSITI IVA ANTE SENTENZA DELLA CASSAZIONE             pag.      1

Origini                                                                                                                      pag.      2

Il Gestore del Deposito Iva                                                                        pag.       5

Le Operazioni Consentite                                                                         pag.     10

IL Controllo sui Depositi IVA                                                                     pag.     18

IL Deposito IVA, le aree limitrofe e le prestazioni di servizi                  pag.     18

Con l’approvazione del Decreto Anticrisi (D.L. 185/2008)

le prestazioni di servizi indicate al comma 4, lett. h)

dell’art. 50 bis relative ai beni consegnati al depositario,

costituiscono ad ogni effetto introduzione in deposito IVA                    pag.     23

All’estrazione l’IVA viene assolta con l’emissione di autofattura          pag.     28

E’ da ritenersi erroneo ogni riferimento agli artt. 67 e 70

del decreto IVA                                                                                           pag.     41

a)        L’immissione in libera pratica                               pag.     41

b)        L’importazione dal punto di vista doganale        pag.     42

c) L’importazione dal punto di vista del Decreto IVA    pag.     42

Non è possibile annullare la destinazione doganale

dell’immissione in libera pratica per sostituirla con quella

dell’importazione definitiva                                                                        pag.     47

I DEPOSITI IVA SECONDO IL RECENTE

ORIENTAMENTO DELLA CASSAZIONE                                            pag.     50

La sentenza n. 12262/10 del 15/04/2010 della Sezione

Tributaria Civile della Corte di Cassazione                                            pag.     51

Quarto Motivo: Differenza tra deposito doganale

privato e deposito IVA – Duplicazione dell’imposta.                             pag.     51

LA VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati                     pag.     62


[1]“TAXUD/C/3/ID D (2003), 27 October 2003”

[2] l’art. 67 del DPR 633/72

fino al 31.12.1992, definiva “importazioni definitive“, agli effetti dell’IVA, le operazioni considerate tali anche dalle norme doganali.

Esso recitava testualmente: costituiscono importazioni, da chiunque siano effettuate, le operazioni considerate importazioni definitive ai sensi delle norme doganali…….……….”;

– dal 1° gennaio 1993, con l’abbattimento delle barriere doganali, la norma è stata completamente riscritta nel seguente modo:

“Costituiscono importazioni le seguenti operazioni aventi per oggetto beni introdotti nel territorio dello Stato, che siano originari da paesi o territori non compresi nel territorio della Comunità e che non siano stati già immessi in libera pratica in altro paese membro della Comunità medesima…..omissis…:

a) le operazioni di immissione in libera pratica, con sospensione del pagamento dell’imposta, qualora si tratti di beni destinati a proseguire verso altro stato membro della Comunità Economica Europea, ovvero ad essere immessi in un deposito non doganale autorizzato”;

– dal 14/03/1997, data di entrata in vigore della Legge 28/97 (testo vigente alla data delle immissioni in libera pratica in commento:

“Costituiscono importazioni le seguenti operazioni aventi per oggetto beni introdotti nel territorio dello Stato, che siano originari da paesi o territori non compresi nel territorio della Comunità e che non siano stati già immessi in libera pratica in altro paese membro della Comunità medesima…..omissis…:

a)            le operazioni di immissione in libera pratica, con sospensione del pagamento dell’imposta qualora si tratti di beni destinati a proseguire verso altro Stato membro della Comunità economica europea.

 

[3] Circolare 2162/V SD del 02/08/1999 (Nota dell’Agenzia delle Dogane – Direzione Regionale per la Puglia e la Basilicata – protocollo 2004 – 29908  del 16 settembre 2004 Circolare n. 121 del 7 febbraio 2005 dell’Agenzia delle Dogane – Direzione della Circoscrizione Doganale di Torino); Nota dell’Agenzia delle Dogane – Area Gestione Tributi e Rapporti con gli utenti- protocollo 4402 del 24 luglio 2006); Nota dell’Agenzia delle Entrate prot. 2006/127886 del 30 agosto 2006); Nota dell’Agenzia delle Dogane – Area Gestione Tributi e Rapporti con gli Utenti – protocollo 7521 del 28 dicembre 2006 , circolare n. 16/D, del 28/04/2006, emessa dall’Agenzia delle Dogane .

[4] a seconda che proceda all’estrazione lo stesso soggetto che ha provveduto all’introduzione della merce od un diverso soggetto qualora la merce sia stata oggetto di una o più cessioni durante la sua permanenza nel deposito 

[5] L’art. 19 del DPR 633/72 disciplina la detrazione dell’imposta, stabilendo al comma 1 che «per la determinazione dell’imposta dovuta a norma del primo comma dell’articolo 17 o dell’eccedenza di cui al secondo comma dell’articolo 30, è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione».

L’art. 23 regola la registrazione delle fatture, prevedendo a carico del soggetto passivo l’obbligo di «annotare entro quindici giorni le fatture emesse, nell’ordine della loro numerazione e con riferimento alla data della loro emissione, in apposito registro».

L’art. 25, infine, si occupa della registrazione degli acquisti, ed in base ad esso, il contribuente che intende detrarre l’IVA addebitatagli «deve numerare in ordine progressivo le fatture e le bollette doganali relative ai beni e ai servizi acquistati o importati nell’esercizio dell’ impresa, arte o professione, comprese quelle emesse a norma del terzo comma dell’articolo 17 [ossia le autofatture, N.d.A.] e deve annotarle in apposito registro anteriormente alla liquidazione periodica, ovvero alla dichiarazione annuale, nella quale è esercitato il diritto alla detrazione della relativa imposta».

[6] cfr. “L’Autofattura integra il versamento dell’IVA” ne “Il Sole 24 ORE” del 20/10/2008

[7] Le successive sentenze nn. 12263/10, 12264/10, 12265/10, 12266/10, 12267/10, 12271/10, 12272/10, 12273/10, 12274/10, 12275/10, 12279/10, 12579/10, 12580/10 e 12581/10 …… sono riferite alla medesima questione e riguardano lo stesso deposito IVA per contenziosi instaurati avverso atti di accertamento notificati al gestore del deposito IVA, ovvero ai vari utilizzatori.

[8] La suddetta disposizione stabilisce che la lettera h) del comma 4 dell’art. 50-bis, del decreto legge 30 agosto 1993, n.331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427 si interpreta nel senso che: “le prestazioni di servizi ivi indicate, relative a beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA”.

Sulla base di quanto esplicitato nella relativa relazione illustrativa, le suddette prestazioni di servizi, comprese le manipolazioni usuali di cui all’allegato 72 al Regolamento CEE n. 2454/93, costituiscono, ad ogni effetto, introduzione nel deposito IVA anche se effettuate negli spazi limitrofi o adiacenti il deposito stesso.

[9] “….Infatti, nei depositi doganali sono introdotti e conservati beni “allo stato estero”, cioè beni che non sono stati ancora immessi in libera pratica in ambito comunitario e per i quali non sono stati ancora assolti i dazi doganali e gli altri diritti doganali,…omissis…I depositi Iva, regolati dall’articolo 50 bis del DL n. 331 del 1993, consentono, invece, di poter custodire merce comunitaria e di poter effettuare tutte le operazioni relative ai beni in essi introdotti senza l’applicazione dell’Iva, che verrà assolta al momento dell’estrazione dal deposito dei beni medesimi”.

Così evidenziata la diversa operatività dei due tipi di deposito, all’interno dei quali possono essere custoditi beni in posizione doganale differente, va ricordato che ai sensi dell’art. 50-bis citato, i depositi doganali possono essere utilizzati anche come depositi IVA, senza ulteriore specifica autorizzazione, a condizione, tuttavia, che il gestore del deposito ne dia apposita comunicazione all’Ufficio doganale competente alla vigilanza sul relativo impianto. In tale comunicazione è richiesta, tra l’altro, l’indicazione delle modalità adottate ai fini della individuazione delle merci soggette a diversi regimi (cfr. circolare 28 aprile 2006, n. 16 dell’Agenzia delle dogane).”

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