Reati tributari: si raddoppiano i termini per l’accertamento

Con la sentenza n. 247 del 20.07.2011, depositata in data 25.07.2011 la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità del raddoppio dei termini di accertamento in caso di reato previsto dal DL 223/2006. L’articolo 37 commi 24-26, infatti, prevede che in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, ovvero i reati fiscali, i termini di accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione.

A tal proposito, la Corte ha stabilito che è costituzionale la normativa che dispone il raddoppio dei termini per la decadenza dell’azione di accertamento in presenza di un reato tributario anche se la constatazione della violazione penale è stata effettuata quando già i termini ordinari di accertamento erano decaduti. Pertanto, qualora ad esempio la violazione penale viene accertata l’anno successivo alla scadenza del termine previsto per l’accertamento tributario, questo potrà essere comunque svolto negli anni successivi, seppure nel limite del doppio del termine ordinario (di 4 anni, raddoppiato a 8).

Per la Corte Costituzionale, in particolare, i termini raddoppiati “sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva (allorché, cioè, sussista l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000), senza che all’amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione. In altre parole, i termini raddoppiati non si innestano su quelli “brevi” di cui ai primi due commi dell’art. 57 del D.P.R. n. 633 del 1972 in base ad una scelta degli uffici tributari, ma operano autonomamente allorché sussistano elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale per i reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000. Sotto questo aspetto non può parlarsi di «riapertura o proroga di termini scaduti» né di «reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti», perché i termini “brevi” e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi termini di accertamento. Più precisamente, i termini “brevi” di cui ai primi due commi dell’art. 57 del D.P.R. n. 633 del 1972 operano in presenza di violazioni tributarie per le quali non sorge l’obbligo di denuncia penale di reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000; i termini raddoppiati di cui al terzo comma dello stesso art. 57 operano, invece, in presenza di violazioni tributarie per le quali v’è l’obbligo di denuncia. è, perciò, del tutto irrilevante che detto obbligo, come osservato al punto 3.1., possa insorgere anche dopo il decorso del termine “breve” o possa non essere adempiuto entro tale termine. Ciò che rileva è solo la sussistenza dell’obbligo, perché essa soltanto connota, sin dall’origine, la fattispecie di illecito tributario alla quale è connessa l’applicabilità dei termini raddoppiati di accertamento”.

La Corte, però stabilisce che compete al giudice tributario, se richiesto dal contribuente, accertare se l’amministrazione: abbia agito con imparzialità o abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale della normativa per fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento.

La pronuncia della Consulta fa seguito all’ordinanza di remissione della Commissione tributaria provinciale di Napoli la quale riteneva incostituzionale la norma introdotta dal Dl 223/2006 che aveva, come anticipato, raddoppiato i termini di decadenza dell’azione di accertamento ai fini delle imposte sui redditi e Iva in presenza di violazioni che comportano l’obbligo di denuncia in base all’articolo 331 del Codice di procedura penale.

Secondo i giudici della Commissione l’illegittimità emergeva in modo evidente dove la segnalazione di reato per una violazione fosse stata effettuata in una data successiva al termine di decadenza ordinario dell’accertamento per quel medesimo periodo. In tale ipotesi, infatti, si sarebbero riaperti i termini e non vi sarebbe stata alcuna certezza sul loro spirare. Tale circostanza è particolarmente rilevante: la riapertura dei termini, infatti, potrebbe avere dei problemi sulla conservazione dei documenti. Un contribuente, infatti, una volta spirato il termine per l’accertamento fiscale potrebbe ritenere non necessario conservare ulteriormente la documentazione per gli anni successivi, mentre la riapertura dei termini obbliga il contribuente a mantenere intatta la documentazione fiscale e conservarla fino all’ottavo anno.

La Corte Costituzionale, invece, ha ritenuto questo raddoppio dei termini pienamente legittimo in quanto si tratta di un termine fissato direttamente dalla legge, operante automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva (obbligo di denuncia penale per i reati tributari), senza che all’amministrazione sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione. È indifferente, quindi, che l’obbligo di denuncia non sia stato adempiuto entro il termine breve in quanto l’unica circostanza rilevante consiste nella sussistenza dell’obbligo, perché essa soltanto connota la fattispecie di illecito tributario a cui è connessa l’applicabilità dei termini raddoppiati di accertamento.

Su possibili usi strumentali della normativa così interpretata, da parte dell’amministrazione finanziaria, per raddoppiare i termini di decadenza, la Consulta ricorda che il Codice di procedura penale impone, pena la commissione di un reato da parte degli stessi verificatori, di segnalare senza ritardo la notizia di reato alla Procura della Repubblica competente.

Il sistema processuale tributario consente poi al giudice di controllare, se richiesto, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo una valutazione ora per allora circa la loro ricorrenza e accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità o abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni per fruire di un più ampio termine di accertamento.

gianni gargano

vincenzo guastella

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