Ancora sulla sentenza di Alessandria

La sentenza di Alessandria sul valore delle T-shirt mi da l’occasione di fare alcune osservazioni in ordine alle cose scritte sia su questo blog, che nel libro “Le Voci di Fuori” pubblicato da qualche anno, sulla determinazione dei valori in dogana negli anni 1996/2004 e sulla perdita di gettito sia per la Comunità Europea che per l’Italia.

Più volte si è chiesto inutilmente di conoscere quante revisioni dell’accertamento del valore siano state poste in essere proprio in quegli anni.

E ciò si è fatto perché si temeva un atteggiamento successivo dell’Amministrazione finanziaria volto a insabbiare il problema anziché, come avrebbe dovuto, renderlo pubblico. Eppure gli anni successivi sono stati quelli che hanno visto esplodere una crisi, prima finanziaria, poi industriale, che ha coinvolto tutto il mondo occidentale con conseguenti ricadute gravi sui livelli occupazionali.

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Certo il problema non stava nelle mani dei singoli paesi della Comunità, ma ciascuno di essi o almeno i sei fondatori avrebbero potuto leggere quello che stava accadendo e le ricadute che avrebbe avuto sull’economia reale dell’intera Europa.

Per anni si era demonizzato il lavoro dei bambini, il lavoro notturno e festivo.

Insomma lo sfruttamento dell’uomo.

E, perciò, si erano invitati i consumatori a non acquistare i prodotti realizzati in violazione delle norme che, invece, noi occidentali ci eravamo dati dopo tanti anni di esperienze sul campo.

E così la soddisfazione dell’artigiano non era quella di conseguire una ricchezza immediata, ma quella di veder ben fatto l’oggetto realizzato.

E’ così che è nato il “Made in Italy”.

Da quella mentalità.

Da chi sapeva, per esempio dipingere una cartolina, ovvero creare un nuovo pastore per il presepe, o dal sarto che si compiaceva di come ti stava il vestito che lui aveva confezionato.

Poi l’obbiettivo è mutato in quello di fare subito soldi, senza badare più alla qualità.

In questo certamente hanno contribuito i guadagni facilissimi ed enormi che si sono realizzati in quegli anni importando la merce a quattro lire, in quantitativi enormi fino a rendere assolutamente impossibile sostenere quella concorrenza sleale.

Io ho chiesto mille volte ai Giudici Tributari di mezz’Italia, ai capi delle Dogane o ai Capi dei Compartimenti, di verificare se quanto sostenuto corrispondesse al vero.

Se, cioè, un prezzo ritenuto non congruo nel 2005 e nel 2006, non si discostasse di fatto da quello accettato, invece, regolarmente negli anni immediatamente precedenti, perché questa circostanza, una volta verificata produce i seguenti benefici effetti:

  1. quello di individuare l’effettivo prezzo della merce, facendo ricorso finalmente a tutti i metodi a disposizione dell’Amministrazione per farlo;
  2. produce il legittimo affidamento per il rappresentante doganale diretto, o indirretto che fosse, il quale dopo essersi visto accettare per tanti anni lo stesso valore, di colpo si vede aggredito persino in sede penale.

La Commissione di Alessandria ha fatto giustizia.

A fronte di un accertamento di Euro 5,67 per T-shirt originato da una opinione espressa dalla Confartigianato di Prato, che avrebbe comportato un valore per chilogrammo delle T-shirt semplici di Euro di circa 37 Euro, tenuto conto che una T-shirt pesa circa 160 grammi e, pertanto, in un chilo ce ne sono circa 7.

Eppure sono state sdoganate anche 2 Euro al chilogrammo, con la conseguenza che una T-shirt negli anni oggetto di revisione è stata sdoganata ad un valore franco confine di Euro 0,299 cadauna.

C’è qualcosa che non funziona.

E non può essere l’importatore onesto di oggi a pagare gli errori di ieri.

 

gianni gargano

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