La seconda non è mai come la prima

La sua voce era diventata roca.

E gli piaceva pure.

Si sentiva un po’ Jo Coker e un po’ Zucchero.

Poi  cominciò a sentire un  fastidio alla gola.

E andò dal medico.

Che lo fece accomodare  su un trespolo e che  gli tirò fuori la lingua fino a fargliela arrivare alla punta delle scarpe.

Dica “aaaaa” gli diceva.

E lui si imponeva di restare calmo, perché altrimenti sarebbe stato peggio.

Tutto passa, si diceva.

zucchero_fornaciari

Insomma capitano questi momenti nella vita.

Mica può essere sempre tutto rose e fiori !

Dica “ooooo”.

“aaaa”

“eeeee”.

Poi il medico mollò la presa e lui si sentì sollevato.

C’è un polipetto alle corde,gli  disse.

Lo dobbiamo togliere.

Cazzo pensò lui con la lingua indolenzita e penzolante.

Chissà che sarebbe stato l’intervento!

Ma tant’era!

La prima

Dopo aver percorso inutilmente chilometri nella speranza di trovare un posto, lasciò la macchina in un parcheggio-rapina obbligatorio.

Percorse il viale alberato ed entrò nell’ospedale.

Scale, poi subito a sinistra, terzo piano, otorinolaringoiatria.

Ok!

Era solo.

Nella sala d’attesa, di una decina di metri quadrati, c’era un sacco di gente.

Qualcuno gli disse che l’avrebbero chiamato ed allora si dispose ad attendere il suo turno con pazienza.

E invece lo chiamarono subito.

Ne restò sorpreso.

C’è un ordine interno, pensò.

Entrò nelle corsie del reparto, dove regnava silenzio e ordine.

Fu registrato ed un infermiere gentile gli assegnò un letto in corsia ed un armadietto.

Si spogli, pure, gli disse e si metta a letto.

E lui si spogliò, ripose i suoi abiti nell’armadietto, indossò il pigiama e si mise a letto.

Subito dopo una dolce crocerossina gli fece un’ iniezione intramuscolare.

Le ho iniettato un blando calmante, gli disse, che l’aiuterà ad essere più rilassato durante l’intervento.

E restò nel suo lettino a guardarsi intorno.

La  stanza era molto grande. A otto letti. Quattro a destra e quattro a sinistra.

Lui occupava il primo letto a destra, subito dopo la porta d’ingresso.

Si rilassò e forse dormì pure.

Siamo pronti sa – gli disse, dopo un po’ la dolce crocerossina – e l’accompagnò nella sala operatoria, che pullulava di medici ed infermieri indaffarati.

Sei pronto giovanotto?

Disse il dottore e lo fece accomodare sul solito trespolo.

Lui osservava la scena come dal di fuori. Dall’alto. Insomma come un osservatore esterno.

Perché quello è un comportamento di difesa istintivo.

Il camice verde s’accostò.

Gli tirò la lingua fino alle scarpe.

Mentre lui si imponeva la calma, che era l’unico modo di uscirne vivi.

Aaaaaaa

Eeeeeee

Aaaaaaaa

e, mentre guardava il soffitto in alto con la testa riversa all’indietro, sentì qualcosa che gli entrava nella gola.

Tutto fatto, bravo,sei stato bravo gli disse il medico.

Ora però non parlare per sei o sette giorni e resta in ospedale fino a domattina.

Lui l’avrebbe abbracciato per la felicità.

Che medico e che ospedale!

Firmò e se ne andò a casa.

Però ogni tanto la diceva una parola, per verificare che non sarebbe rimasto muto e che la sua voce non fosse cambiata.

Il giorno dopo parlava regolarmente.

La seconda

Dopo qualche mese daccapo!

Voce roca.

Jo Coker e Zucchero!

Lui faceva finta di niente.

Sarà un colpo di freddo alla gola, pensava, o forse parlo troppo.

Fingeva con se stesso.

Perché si!

Era proprio come l’altra volta!

Lo stesso fastidio alla gola che lui esorcizzava tossendo.

Alla fine si arrese ed affrontò di nuovo il trespolo.

Lingua a terra.

Aaaaaaaa

Eeeeeeee

Aaaaaaaa

C’è un altro polipetto. Sulla stessa corda della volta scorsa, disse il dottore.

Tutto dipende da come parli, dall’impostazione della voce.

Niente di grave, togliamo anche questo.

Dai che sei un veterano!

Certo non era nulla di grave, ma  lui si seccò lo stesso.

Vuoi vedere, pensò, che starò tutta la vita a farmi togliere polipetti  dalle corde vocali, con continue lingue a terra e occhi fuori dalle orbite.

Ma tant’è!

E dovette rassegnarsi.

Stessa trafila!

Parcheggio rapina obbligatorio, scale, a sinistra, otorinolaringoiatria.

La sala d’attesa di circa dieci metri quadrati piena di gente.

E lui che si dispose ad attendere con pazienza che lo chiamassero.

La conosceva la solfa!

E si sentiva abbastanza tranquillo.

Tutto sommato la volta scorsa era stata una passeggiata.

Chiamarono un signore, poi una signora, poi un altro signore, poi un ragazzo.

E poi quasi tutti.

Si faceva sera.

Allora fu pervaso da un dubbio: vuoi vedere che ho sbagliato giorno o che non sto nelle liste d’attesa dell’ospedale ?

E così chiese notizie al primo infermiere che s’affacciò alla porta.

Non si preoccupi e stia calmo, gli rispose l’infermiere.

E con che modi!

Quando verrà il suo turno la chiameremo.

Sarà stanco, pensò lui.

Dopo un po’ s’affacciò alla porta lo stesso infermiere.

Gargano, chiamò!

Eccomi!

Ah è lei!

Presto venga il dottore l’attende in sala operatoria.

Ma…così, su due piedi, e senza neanche indossare il pigiama.

Venga le ho detto, faccia presto, le ho detto che la stanno aspettando.

Cazzo, era proprio uno stronzo st’infermiere.

E come s’atteggiava. Coma alzava la voce.

E si trovò di colpo in sala operatoria.

Vestito di tutto punto, anche col cappotto addosso.

Era sera e la sala era illuminata da quella luce bianca come il ghiaccio che puzza di alcol e di ospedale.

Tutti gli parvero sciatti e indifferenti.

Il dottore?

Il suo dottore parve non riconoscerlo neanche!

Togliti il cappotto e la giacca e siediti, gli disse, con fare indifferente.

Lui si tolse il cappotto, la giacca e la cravatta.

E si sedette sul trespolo.

E il dottore si avvicinò con quel ferro lungo in mano.

Maa…, dottore, non mi fate neanche un po’ di preparazione? azzardò.

Ma come non l’avete preparato? chiese indispettito il dottore agli astanti, medici o infermieri che fossero.

E  fategli un’iniezione calmante!

E allora uno gli si avvicinò con una siringa in mano.

Gli tirò su la manica della camicia e gli fece una endovenosa.

Il dottore, ancora seccato, si avvicinò con quel ferro lungo in una mano e con l’altra gli afferrò la lingua e cominciò a tirargliela fuori.

Dica:

aaaaaaa

eeeeeee

Stia calmo però!

aaaaaa

eeeeee

Le ho detto di stare calmo. Deve collaborare.

aaaaaaa

eeeeeee

Basta!

Se non si calma, urlò, la mando in corsia e l’opero in anestesia totale.

E lui raccolse tutte le sue forze e s’impose di pensare che tutto finisce.

E che. massimo un quarto d’ora ancora, sarebbe uscito da quell’inferno.

Sentì lo stomaco in gola e resistette. Riuscì a non vomitare. A non afferrare la mano del dottore.

Sentì dolore e resistette.

Poi si accorse che l’operazione era terminata.

Perché il dottore si tolse i guanti e si allontanò.

Imbronciato.

Hai visto, ce la’abbiamo fatta!

Ora va in corsia e restaci fino a domattina.

Lui si alzò dal trespolo, prese la cravatta, la giacca ed il cappotto e, senza indossarli uscì dalla sala operatoria.

Fece quattro passi nel corridoio e si bloccò.

I piedi e le mani contratti!

La bocca chiusa a tenaglia!

I denti stretti!

Piangeva suo malgrado!

Fermo e mortificato.

Stava facendo effetto l’iniezione endovenosa di preparazione all’intervento.

Lo distesero su un lettino e piano piano si sbloccò.

Non restò neanche più un minuto in quell’ospedale e se ne andò di corsa a casa.

Però ogni tanto la diceva una parola, per verificare che non sarebbe rimasto muto e che la sua voce non fosse cambiata.

Il giorno dopo parlava regolarmente.

Alfò

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