Alcune sentenze sul valore in dogana

Si sta finalmente affermando il principio secondo cui la rideterminazione del valore delle merci dichiarate in dogana non può basarsi sulle risultanze della banca dati MERCE, prendendo come parametro di riferimento importazioni di merci avente la stessa voce doganale.

Si elencheranno qui di seguito una serie di sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli che hanno accolto i ricorsi presentati a fronte appunto della rettifica del valore della merce dichiarata.

 

–           Sentenze nn. 408, 409 e 410 del 28/11/2008

I giudici hanno accolto la tesi della ricorrente affermando:

“I termini del contendere in effetti si compendiano nella individuazione del rispetto o meno dei canoni normativi che impone la Comunità Europea la quale pretende che il prelievo fiscale (dazi) avvenga sul prezzo effettivamente pagato per l’acquisto all’estero delle merce, ancorché acquistate per affare e sotto costo, e non il loro valore venale all’importazione.

Osserva il Collegio che, per la soluzione del caso occorre soffermarsi sui criteri giuridici ed operativi per procedere alle rettifiche di valore ex art. 181-bis Reg. CEE 2454 e 29-30-31 Reg. CEE 2913/92.

All’uopo va considerato che la disciplina valutativa è ispirata alla certezza che la tassazione doganale avvenga sull’ammontare totale dei “prezzi pagati o da pagare” per l’acquisto delle merci.

Non è intento del legislatore comunitario infatti sostituire all’ “importo pagato” quello del valore venale in comune commercio dei beni. L’art. 181-bis Regolamento CEE 2454/93 è esplicito in tal senso.

Ciò non di meno l’art. 29 del Reg. CEE 12/10/92 n. 2913, pur ribadendo il principio-base per la individuazione del valore imponibile doganale nel “prezzo effettivamente pagato o da pagare…” ammette deroghe, ove si riscontri che il compratore e il venditore ….siano legati o, se lo sono, che “tali influenze abbiano influenza sul prezzo”.

Ritiene il collegio, in funzione delle dette possibili deroghe al principio valutativo rispetto al valore di transazione, non ritiene che le Dogane abbiano adeguatamente provato la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 29-30-31 Reg. 2913/92. Anzi la rettifica si presenta assolutamente carente sotto tale profilo non ritrovandosi una qualsiasi giustificazione per il ricorso a valori che non hanno attinenza ai trasferimenti di valuta fra le parti contraenti.

Si ritiene cioè che le Dogane avrebbero dovuto individuare ed indicare i motivi, fra quelli previsti dalla legge, che aprono l’accesso alla stima secondo valori commerciali del luogo di produzione dei beni.

Inoltre, al di là della ricorrenza o meno dei postulati per operare la rettifica, non trova giusta motivazione l’operato dell’Agenzia delle Dogane, essendo stata la rettifica affidata ad espressioni e riferimenti vaghi ed a valori “medi”, valori quest’ultimi che, per comprendere anche “capi” di più complesse lavorazioni e più alto valore, finiscono per indicare valori non applicabili equamente agli articoli importati.

Le uniche espressioni a giustifica delle rettifiche infatti, presenti negli atti dell’Agenzia delle Dogane sono alle merci similari (quali?) importate in Italia nella stessa quantità ed allo stesso livello commerciale nel bimestre precedente. Non sono riportati parametri concreti che consentano riscontri oggettivi.

In altri termini non è stato effettuato alcun riferimento concreto effettivo a indicazioni reali dei beni uguali o sufficientemente simili per lo stesso periodo di commercializzazione. Ciò è indispensabile si indichi anche per consentire alla controparte la verifica in concreto circa qualità e prezzo che si pretenderebbe applicare.

Le prove pertanto articolate dall’Agenzia delle Dogane non appaiono adeguate per contrastare il valore dichiarato dall’importatore in Dogana, pur supportato tale valore da tutti i documenti che la legge richiede per legittimarlo, quali le fatture e le prove delle rimesse”.

 

–           Sentenza n. 150 del 15/02/2008.

I giudici hanno testualmente affermato:

Non appaiono però condivisibili i supporti alla rettifica addotti dalla Dogana ed individuati in espressioni vaghe e generiche ed in risultanze statistiche non specificamente riferite agli stessi articoli, specie poi quando,…………., si eseguono confronti su valori medi ottenuti mettendo assieme diverse tipologie commerciali, di diverso valore unitario, fra le quali siano presenti tipi di merce di cui alla transazione qui all’esame.

In altri termini non è stato effettuato alcun riferimento concreto effettivo a indicazioni reali dei beni uguali o sufficientemente simili a quelli importati e dichiarati in Dogana. Ciò è indispensabile si indichi anche per consentire alla controparte la verifica in concreto circa qualità e prezzo che si pretenderebbe applicare”.

 

–           Sentenza n. 694 del 07/07/2009

I giudici hanno testualmente affermato:

“Appare evidente, infatti, che la motivazione posta dalla Dogana a fondamento dell’atto di rettifica emesso è carente dal punto di vista della metodologia adottata e dei risultati raggiunti. Infatti la rettifica del valore delle merci importate si basa, innanzitutto, sul confronto con merci “similari” importate dallo stesso paese di origini (Cina) sulla base della identità della voce doganale (VD 6109903000). A tal uopo è opportuno precisare che tale voce è molto generica essendo riferita ad indumenti ed accessori di abbigliamento e maglia che per le loro caratteristiche qualitative e di manifattura possono essere di valore enormemente differente tra loro, non avendo, quindi, alcun valore indicativo e statistico la procedura statistica operata dall’Agenzia delle Dogane consistente nell’operare una media di valore di tutte le merci importate dalla Cina relative a tale voce doganale, media oltretutto ottenuta con un procedimento matematico fuorviante consistente nel dividere il prezzo complessivo dichiarato per i quantitativi di merce importati in altre zone Doganali Italiane (?) con il peso delle stesse all’importazione, e non come sarebbe logico per capi di abbigliamento dividere il valore complessivo dell’importazione per il numero dei capi. Non è evidente, quindi, il processo logico che ha portato alla scelta di dati provenienti da alcune Direzioni Regionali Doganali italiane, non essendo possibile verificare la veridicità e la correttezza degli stessi, il loro valore statistico ed informativo e la loro correlazione con la tipologia di merci importate.

Inoltre appare palesemente violato quanto sancito dall’art.181 bis del Regolamento CEE 2454/93 (DAC) il quale prevede che nel caso di impossibilità del ricorso al metodo di valutazione previsto dall’art.30 del CDC, ovvero nel metodo di valutazione consistente nel determinare il valore di transazione di merci similari vendute allo stesso livello commerciale ed in quantitativi sostanzialmente equivalenti, possa comunque farsi riferimento alla transazione di merci similari vendute ad un altro livello commerciale e/o in quantitativi diversi, apportando però le opportune correzioni per tener conto delle differenze imputabili al livello commerciale e/o ai quantitativi, sempreché tali correzioni siano attuate in base ad un criterio di ragionevolezza e accuratezza. Tale principio è stato totalmente trascurato dalla Dogana che si è limitata acriticamente ad utilizzare dei dati contenuti in una banca dati, senza in alcun modo porsi il problema di evidenziare le differenze commerciali, qualitative e quantitative delle transazioni utilizzate come modello rispetto alla transazione in oggetto, transazione con caratteristiche sicuramente peculiari per la tipologia di merci trattate.

A tal proposito è da rilevare anche che la norma di cui all’art.30 del CDC impone di considerare, ai fini della determinazione del valore di una transazione, preliminarmente il valore di merci identiche e solo in via sussidiaria quello delle merci “simili”.

In realtà questo Collegio non ritiene nemmeno giustificato il ricorso alla rettifica del valore delle merci di cui al già citato art.30 CDC, in quanto al ricorrente ha prodotto una esaustiva e compiuta documentazione probatoria, a  seguito della nota emessa dalla Dogana in data  24/10/2007 prot.221/ris/SVA/AEROP, rappresentata dalla copia della lettera di credito emessa a pagamento della fattura in questione, dalla polizza assicurativa stipulata e dal mandato di rappresentanza doganale, tale da provare compiutamente il valore dichiarato in dogana della importazione delle merci. Tale valore, come dispone l’art.29 del CDC, è quello effettivamente pagato o da pagare da parte del compratore al venditore per le merci importate, pagamento che può anche prescindere, come nel caso di specie, in forma di trasferimento di danaro, ma che può essere effettuato anche mediante lettera di credito o altri strumenti negoziabili, in forma diretta o indiretta”.

 

Le sentenze citate confermano, dunque, che l’intero procedimento seguito dalla dogana risulta viziato sia dalla assenza di motivazione del ragionevole dubbio sulla attendibilità del valore di transazione – presupposto questo indispensabile per avviare una procedura di controllo che potesse portare alla determinazione del valore con un procedimento diverso da quello relativo al valore di transazione – sia dalla assoluta assenza di giustificazione logica e giuridica del metodo con il quale la Dogana ha arbitrariamente determinato il valore .

gianni gargano

vincenzo guastella

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