Trieste mia — (da Alfò Le voci di fuori)

Copia di trieste_bora3-500Non mi riesce facile parlare di Trieste, ci sono troppo legato, d’altronde ci sono arrivato a ventitré anni, e me ne sono andato a trentuno. Ci sono stato da re. Come faccio a pensare a quella città senza sentire un grande sentimento d’affetto? Mi sento metà napoletano e metà triestino, sono un napolo-triestino.
Giungemmo a Trieste per la costiera. Subito telefonai a mamma per dirle che non si doveva preoccupare, quello era un posto bellissimo, una specie di paradiso terrestre e poi c’era il mare.
C’era un dialetto dolce: “la ga’ vizin la machina?”
I giuliani credono a quello che dici senza fare alcun ragionamento dietrologico. Quello che dicono quello è. E perciò essi credono ciecamente a quello che dici, non ti devi difendere, puoi vivere rilassato.
Per noi due napoletani questa era una nuova grande esperienza. Nessuno ti voleva fottere e la città era tanto bella da non farci rimpiangere la nostra.
E poi c’era il mare e lo sguardo si poteva perdere.
E poi c’era Pino Ferfoglia. – Ciò Pino go’ nostalgia de’ Trieste – gli dicevo tornato a Napoli.
– Bon mona, te manderò un quadro – mi rispondeva.
Ora quei quadri sono la mia vita, ne ho sette.
La mattina successiva, il 16 aprile 1968 alle ore 8,00, eravamo in ventinove nella stanza del direttore superiore della dogana di Trieste dottor Francesco Cinti. Avevamo tutti meno di venticinque anni ed eravamo tutti meridionali o figli di meridionali. Infatti solo in due parlavano il dialetto triestino, ma i loro tratti non erano certo quelli settentrionali.
Il direttore ci ricevette nella sua stanza, austera, rivestita in legno. Noi eravamo tutti in piedi.
Ci disse cose che ora non ricordo, ma il cui senso è invece vivo nel mio cuore.
Egli sapeva che avevamo lasciato lontano i nostri affetti, ma anche che eravamo tutti felici di aver vinto quello che era considerato tra i concorsi più difficili ed ambiti.
Con una cerimonia semplice fece giurare ad ognuno di noi fedeltà allo Stato, del quale eravamo anche noi entrati a far parte.
Sono rimasto in contatto sempre, con molti di quei miei colleghi e, per la vita che ciascuno di noi ha condotto nell’amministrazione, posso dire che quel giuramento nessuno di noi lo ha tradito.

Alfò

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