CIAMPOLO

166636_498374710052_53267160052_5935679_3452041_nLe partite di pallone finivano a trenta. Lì dietro il rione c’era uno spiazzale enorme, in discesa.

Si faceva il tocco o si lanciava la moneta

La moneta ci piaceva di più.

Ci ricordava le partite vere, quelle dell’Inter di Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Domenghini, Suarez e Corso, che era la nazionale di tutt’Italia.

Noi, a Napoli, però avevamo Jepson e Vinicio.

Ma che c’entra. Quello era il cuore.

La vera nazionale era quell’altra.

Si sceglieva il campo.

I primi quindici gol in discesa e i secondi in salita.

In quella strada passavamo tutto il giorno. Pochi minuti a casa a mangiare e poi di nuovo giù, per finire la partita o per iniziarne un’altra.

Fino alla sera, quando poi le prendevamo di santa ragione tutti per aver rovinato le scarpe nuove o per esserci rotti la capa o perché eravamo tutti pieni di lividi.

I ragazzini di solito avevano i capelli tagliati a zero con la macchinetta.

Io no. Io avevo il ciuffo, come James Dean.

Poi c’erano le ragazze… E’ guaglion.

Ciascuno di noi aveva la sua… o almeno credeva di averla.

Erano storie platoniche, però queste ragazzine ci volevano bene veramente, come nessuna donna ce ne ha più voluto. Questo perché era il primo amore.

La prima volta è la fine del mondo. Fiuti l’aria e sai che c’è.

Poi la trovi!

Nel rione c’era un muro dove ci allenavamo a fare passaggi e tiri in porta. In questo Ciampolo era un vero campione, anche un po’ buffone e capuzziello, ma un amico.

Sua madre mi chiamava piett’ acciar, perché camminavo sempre impettito, col ciuffo impomatato, il colletto della camicia alzato e i jeans veri che compravo da uno con una bancarella di roba americana vicino a Michele l’acquaiolo, ad Antignano.

I jeans originali americani erano un’altra cosa.

Erano di tela vera, come quella delle tende.

Si dovevano scolorire da soli e nei punti giusti: sulle gambe, sul sedere e sulle cosce.

Ci volevano tre, quattro mesi per farlo passare per un vero jeans, ma dovevo stare attento perché quando finalmente era perfetto, mamma avrebbe potuto buttarlo.

Lei però non lo fece mai perché era una vitaiola, mi capiva, era contenta che mi godessi la vita.

Avevo sì e no dodici, tredici anni quando Ciampolo mi insegnò a calciare al volo da sinistra, perché sono destro. Cazzo! Era bello colpire il pallone di collo pieno e bruciare il portiere.

Ciampolo era ambidestro, palleggiava per ore con tutti e due i piedi e con la testa.

Noi eravamo molto amici.

 

Alfò

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