I nuovi termini per l’accertamento

297720_255310894510749_2094672932_nLa disciplina concernente il termine entro il quale l’amministrazione doganale possa esercitare il proprio potere di accertamento presenta diverse incertezze interpretative dettate, in particolar modo, dalla coesistenza di norme nazionali e comunitarie.

L’art. 221del CDC, che disciplina i termini per la comunicazione al debitore dell’importo dei dazi contabilizzati, prevede, al terzo paragrafo, che la “comunicazione al debitore non può più essere effettuata tre anni dopo la data in cui è sorta l’obbligazione doganale”.

E’ importante chiarire la portata normativa della disposizione comunitaria in oggetto ed in particolare specificare quando sorge l’obbligazione doganale e cosa si intende per “comunicazione al debitore”, così come previsto dal predetto art. 221 CDC.

In merito al primo punto, è la medesima normativa comunitaria che specifica, all’art. 201 del CDC, che l’obbligazione tributaria sorge al momento dell’accettazione della relativa bolletta doganale.

Sul punto, si pone all’attenzione un’apparente contrasto tra la normativa comunitaria e quella nazionale, laddove l’art. 84 T.U.L.D., recita:

  1. L’azione dello Stato per la riscossione dei diritti doganali si prescrive in tre anni.
  2. Il termine decorre: a) dalla data della bolletta per i diritti in essa liquidati e non riscossi in tutto o in parte, per qualsiasi causa, o dovuti in conseguenza di errori di calcolo nella liquidazione o di erronea applicazione delle tariffe; b) dalla data del termine fissato nella bolletta di cauzione di cui all’art. 141, per la presentazione delle merci alla dogana di destinazione, quando si tratta di diritti doganali dovuti in conseguenza della spedizione delle merci ad altra dogana di transito; c) dalla data della chiusura dei conti di magazzino delle singole partite per i diritti dovuti in conseguenza del movimento delle merci depositate nei magazzini doganali e nei magazzini di temporanea custodia; d) dalla data in cui i diritti sono divenuti esigibili, in ogni altro caso.

A parere di chi scrive, stante la rinuncia di sovranità dei singoli stati membri a disciplinare la fattispecie in oggetto, la disposizione comunitaria prevale su quella nazionale con la conseguenza che il termine entro il quale l’Amministrazione Doganale può procedere all’esercizio del proprio potere di revisione delle dichiarazioni doganali è di tre anni decorrenti dalla presentazione della dichiarazione.

In riferimento invece alla “comunicazione” (di cui parla l’art. 221 CDC) capace di interrompere il decorso del riferito termine triennale, si ritiene come l’unico atto idoneo tale scopo sia l’avviso di rettifica dell’accertamento, ovvero l’invito a pagamento.

A supporto di tale interpretazione, si riporta come il Legislatore nazionale, all’art. 11 del D.Lgs. n.374/1990, abbia previsto che entro tre anni dall’emissione della bolletta doganale, la dogana ha il potere di rettificare la dichiarazione, liquidando e richiedendo gli eventuali maggiori tributi accertati.

Alla luce di quanto detto, si ritiene, dunque, che la mera attività accertativa, consistente nella redazione del processo verbale di constatazione, non essendo espressiva del potere di riscossione facente capo all’amministrazione doganale, non sia idonea ad interrompere il decorso del termine così come sancito dalla prefata disposizione comunitaria.

Altra problematica che si palesa nell’affrontare la tematica in oggetto attiene alla qualificazione della natura dell’istituto de quo, ovvero se trattasi di un termine di prescrizione oppure di termine di decadenza. La distinzione non è solo concettuale, ma comporta un diverso regime di regolamentazione del decorso temporale, laddove si consideri come solo in caso di prescrizione il termine possa essere sospeso ovvero interrotto, mentre nel caso di decadenza l’azione impositoria dell’amministrazione finanziaria dovrà iniziare entro il termine triennale, pena la impossibilità di esercitarla.

Inoltre, in termini processuali, la prescrizione deve essere eccepita dal ricorrente con la conseguenza che incombe sull’amministrazione dover dimostrare la tempestività della propria azione di riscossione dei tributi doganali.

A tal proposito, si evidenzia il contrasto tra le disposizioni nazionali ed, in particolare, tra quanto previsto dal D.Lgs. n. 374/90, disciplinante la revisione dell’accertamento, che parla di decadenza e quanto previsto dall’art. 84 T.U.L.D. ove, al comma n. 3, si fa rifermento al termine triennale di prescrizione.

A dirimere il contrasto tra le norme nazionali ci ha pensato il Legislatore comunitario, che, all’art. 221 CDC, nel prevedere un’ipotesi di sospensione ed un’ipotesi di interruzione del termine triennale, ha di fatto, qualificato detto istituto giuridico come prescrizione, atteso che, come detto in precedenza, il termine decadenziale non può essere soggetto a sospensione ovvero interruzione.

Prendendo spunto da quest’ultima riflessione, altrettanto problematico è stato individuare il tempo massimo entro il quale deve essere esercitata l’azione di accertamento e di riscossione de tributi doganali qualora il fatto generatore del tributi integri, allo stesso, tempo, i presupposti di un comportamento penalmente rilevante.

L’art. 84, comma 3, del T.U.L.D. recita, infatti: “Qualora il mancato pagamento, totale o parziale, dei diritti abbia causa in un reato, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili”. Come si può notare, la norma in commento apre ad una indiscriminata lievitazione del tempo in cui possa essere esercitata l’azione impositrice dell’amministrazione finanziaria con la conseguenza che la stessa possa essere posta in essere anche diversi anni dopo l’emissione della bolletta doganale.

Sul punto, non è di supporto nemmeno la normativa comunitaria, laddove si consideri come l’art. 221 del CDC preveda una clausola di copertura generica specificando che “qualora l’obbligazione doganale sorga a seguito di un atto che era nel momento in cui è stato commesso perseguibile penalmente, la comunicazione al debitore può essere effettuata, alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti, dopo la scadenza del termine di cui al paragrafo 3”, ovvero tre anni dalla data in cui è sorta l’obbligazione doganale.

In tale condizioni di incertezza, sono stati necessari numerosi interventi della Corte di Cassazione nonché della Corte di Giustizia Europea che, sul punto, ha specificato in diverse occasioni che spetta al legislatore nazionale ovvero, in mancanza, ai giudici nazionali determinare il regime della prescrizione delle obbligazioni doganali, in ipotesi astrattamente configurabili come illeciti penali. A tal proposito, i giudici comunitari hanno ribadito l’assenza di una normativa comunitaria concernente la specificazione del termine massimo entro cui deve essere esercitata l’azione di riscossione delle singole amministrazioni doganali, rimandando la regolamentazione ai singoli stati membri (si veda Corte di Giustizia Europea, sentenza 18.12.2007, C-62/06 nonché Corte di Giustizia Europea, sentenza del 17.06.2009, C-75/09).

Pertanto, anche alla luce di quanto espresso dalla Corte di Giustizia Europea, si è andato consolidato un orientamento della Suprema Corte nazionale che, rilevata anche l’assenza di una norma de qua, ovvero di un orientamento comunitario sul tema, ha proposto un contemperamento tra quanto previsto dall’art. 84, comma 3, del T.U.L.D., nonché dalle disposizioni in materia di revisione dell’accertamento ed i principi costituzionali di certezza del diritto e agli artt. 3 e 24 della Carta Costituzionale. Difatti, facendo propri le conclusioni cui è pervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 280 del 15.07.2005, si è categoricamente escluso che il contribuente possa essere esposto ad un’azione di recupero esercitabile da parte della dogana ad libitum, ossia senza limiti temporali massimi (ex plurimis, Corte di Cassazione, sentenza 10.06.2009, n. 13333).

La Corte di Cassazione ha quindi stabilito che (cfr. sentenze Corte di Cassazione nn. 19193/06[1], 19195/06, 19197/06, 21227/06[2], 20733/06, 22014/06, 9773[3] del 23/04/2010; 24674/2015) in tema di tributi doganali, il decorso del termine triennale di prescrizione dell’azione di recupero dei dazi all’importazione, il cui mancato pagamento totale o parziale abbia causa da un reato, è prorogato sino ai tre anni successivi alla data d’irrevocabilità della decisione penale (a prescindere dall’esito di condanna o assoluzione), in base all’art. 84, comma 3, del d.P.R. n. 43 del 1973, come modificato dall’art. 29, comma 1, della legge n. 428 del 1990, a condizione che, nel triennio decorrente dall’insorgenza dell’obbligazione doganale, l’Amministrazione emetta un atto nel quale venga formulata una “notitia criminis” tale da individuare un fatto illecito, penalmente rilevante, ed idoneo ad incidere sul presupposto d’imposta.

Quanto esposto dalla Suprema Corte è stato confermato, ancora una volta, dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 247 del 20.07.2011 che così recita:

“Né, al fine di sostenere un’interpretazione conforme a Costituzione – nel senso che il raddoppio dei termini opererebbe solo se la denuncia penale sia presentata prima del decorso dei termini “brevi” di accertamento –, può farsi riferimento alla giurisprudenza della Corte di cassazione in materia di termine triennale di «prescrizione» per il recupero “a posteriori” di diritti doganali previsto dall’art. 84, terzo comma, del D.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale). Tale disposizione stabilisce due diversi termini triennali di «prescrizione», a seconda che il mancato pagamento abbia o no causa da un reato. Nel caso in cui non risulti che il mancato pagamento abbia avuto causa da reato, il termine decorre dal momento in cui l’importo dei diritti doganali originariamente richiesto sia stato contabilizzato o, in difetto, sia divenuto esigibile; nell’ipotesi, invece, in cui il mancato pagamento abbia avuto causa da reato il termine – in deroga al sopra visto principio del cosiddetto «doppio binario» – decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza pronunziati nel procedimento penale siano divenuti irrevocabili. La lettera di tale disposizione, secondo la giurisprudenza di legittimità, renderebbe indeterminabile il periodo intercorrente tra la data di contabilizzazione o di esigibilità del debito doganale e la data in cui è divenuta irrevocabile la decisione penale, con la conseguenza che il termine per la revisione dei dazi, in presenza di reato, «sarebbe privo di riferimento temporale e dilatabile all’infinito» (sentenza della Cassazione civile n. 9773 del 2010). Per ovviare a tale «compromissione della certezza dei rapporti giuridici» (sentenze della Cassazione civile n. 19193 e n. 22014 del 2006), la Suprema Corte ha interpretato l’art. 84 nel senso che, in caso di reato che ha causato il mancato pagamento, l’«originario» termine triennale, decorrente dalla contabilizzazione o dall’esigibilità dell’obbligazione doganale, è «prorogato» fino ai tre anni successivi alla data di irrevocabilità della decisione penale, ma ciò solo nel caso in cui sia stata formulata una «ipotesi delittuosa», posta «alla base di una notitia criminis», nel corso dell’«originario» termine triennale (Cassazione civile, decisioni n. 9773 del 2010, n. 19195, n. 20513, n. 21377 e n. 22014 del 2006).

È evidente che – contrariamente a quanto sostenuto dalla parte privata – il citato art. 84, terzo comma, del D.P.R. n. 43 del 1973 reca una disciplina del tutto diversa da quella posta dalle disposizioni denunciate e, pertanto, non può essere invocata a sostegno della tesi secondo cui il raddoppio dei termini opera solo ove la denuncia penale sia presentata prima del decorso dei termini “brevi”. Infatti, mentre il censurato combinato disposto non presuppone alcun accertamento penale definitivo del reato ed ha un preciso riferimento temporale (entro il 31 dicembre dell’ottavo anno o del decimo anno successivo a quello in cui, rispettivamente, è stata o doveva essere presentata la dichiarazione); invece il terzo comma dell’art. 84 del D.P.R. n. 43 del 1973 presuppone una sentenza od un decreto penale di condanna divenuti irrevocabili ed indica un termine complessivo indefinito e non prevedibile nel momento in cui è contabilizzata o diviene esigibile l’obbligazione doganale. Di qui la non pertinenza della normativa e della giurisprudenza di legittimità invocate dalla società contribuente e la correttezza dell’interpretazione fornita dal rimettente.”

La citata pronuncia della Suprema Corte, seppur valida per quanto riguarda il recupero a posteriori dei diritti doganali, risulta superata dalle modifiche apportate dal Legislatore per ciò che concerne le imposte dirette e l’imposta sul valore aggiunto.

Infatti, al fine di rendere più certo il rapporto tra Fisco e contribuenti, la normativa in tema di termini per l’accertamento nel caso in cui la violazione accertata comporti l’obbligo di una denuncia ai sensi dell’articolo 331 del c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 74/2000, è stata modificata, con la rimozione di qualsiasi riferimento al “raddoppio” del termine di prescrizione.

L’originaria previsione è stata novellata, infatti, una prima volta dall’art. 2 del D.Lgs. 128/2015, con il quale sono stati modificati l’articolo 43 del DPR n. 600/73 (in tema di accertamento per le imposte dirette) e l’articolo 57 del DPR n. 633/72 (in tema di accertamento per lVA).

Con tale modifica è stato previsto che il raddoppio dei termini non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione Finanziaria sia stata trasmessa oltre la scadenza dei termini ordinari, cioè oltre il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, ovvero oltre il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, nel caso di omessa dichiarazione.

Successivamente, la disciplina in commento è stata, da ultimo, riscritta dalla Legge di Stabilità 2016: infatti con i commi 130 e 131, da un lato è stata abrogata la previsione del raddoppio dei termini nel caso di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale e, dall’altro, è stato previsto un aumento dei termini per l’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria. In base alle nuove norme gli avvisi di accertamento in materia di imposte dirette (art. 43 DPR 600/73) e di IVA (art. 57 DPR 633/72) devono essere notificati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo quello in cui è stata presentata la dichiarazione, ovvero, nel caso di omessa dichiarazione (o di presentazione di dichiarazione nulla) entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

Le novità da ultimo esposte valgono per gli accertamenti relativi ai periodi d’imposta in corso alla data del 31.12.2016 ed ai successivi mentre per le annualità precedenti restano in vigore le disposizioni previgenti.

Ancora, corre l’obbligo di rappresentare come il legislatore comunitario sia intervenuto a colmare il vuoto normativo sopra descritto, allorquando non è stato previsto un termine massimo entro il quale deve essere esercitata l’azione di recupero dei tributi doganali.

Il nuovo Codice Doganale Unionale (Regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9.10.2013), in vigore dal 1.05.2016, infatti all’articolo 103 prevede:

“1.Nessuna obbligazione doganale può essere notificata al debitore dopo la scadenza di un termine di tre anni dalla data in cui è sorta l’obbligazione doganale.

  1. Quando l’obbligazione doganale sorge in seguito a un atto che nel momento in cui è stato commesso era perseguibile penalmente, il termine di tre anni di cui al paragrafo 1 é esteso a minimo cinque anni e massimo dieci anni conformemente al diritto nazionale.
  2. I termini di cui ai paragrafi 1 e 2 sono sospesi qualora:
  3. a) sia presentato un ricorso a norma dell’articolo 44; tale sospensione si applica a decorrere dalla data in cui è presentato il ricorso e per la durata del relativo procedimento; o
  4. b) le autorità doganali comunichino al debitore, ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 6, le motivazioni in base alle quali intendono notificare l’obbligazione doganale; tale sospensione si applica a decorrere dalla data di tale comunicazione fino allo scadere del periodo in cui il debitore ha la possibilità di esprimere il proprio punto di vista.
  5. Quando l’obbligazione doganale è ripristinata a norma dell’articolo 116, paragrafo 7, i termini di cui ai paragrafi 1 e 2 sono considerati sospesi a decorrere dalla data in cui è stata presentata la domanda di rimborso o di sgravio a norma dell’articolo 121, fino alla data in cui sia stata adottata una decisione in merito al rimborso o allo sgravio.”

Dovrà essere, quinti, il legislatore nazionale, visto l’esplicito rinvio della citata disposizione Unionale, a stabilire il termine entro il quale la Dogana potrà procedere al recupero dei diritti doganali nelle ipotesi in cui il loro mancato pagamento sia stato causato da un fatto avente rilevanza penale.

Considerato che dovrà essere stabilito un termine massimo (compreso fra cinque e dieci anni dalla data in cui l’obbligazione doganale è sorta) entro il quale lo Stato potrà esercitare l’azione di recupero dei diritti doganali, eliminando, così, l’incertezza causata dall’attuale formulazione della norma nazionale, potrebbe essere previsto che non sia più necessario che entro il termine ordinario di accertamento (tre anni) venga trasmessa la notitia criminis, ma che la stessa venga trasmessa (entro il maggior termine che sarà previsto) al solo scopo di far accertare la sussistenza di una condotta penalmente rilevante. In ogni caso entro il termine che sarà stabilito dal legislatore nazionale dovrà essere notificato l’avviso di accertamento (ovvero l’invito a pagamento), trascorso il quale, anche se nelle more sia stata o meno trasmessa la notitia criminis, l’azione dello Stato per il recupero dei diritti doganali dovrà considerarsi prescritta.

Parimenti il legislatore, allo scopo di garantire la certezza del diritto, potrebbe prevedere che per poter beneficiare del maggior termine di cui all’articolo 221, secondo comma del CDU, nel termine ordinario di accertamento (tre anni) debba essere trasmessa la notitia criminis, come attualmente previsto in base alle interpretazioni giurisprudenziali citate.

In ogni caso, a parere di chi scrive, a partire dal 01.05.2016, in attesa della modifica dell’art. 84 del T.U.L.D., così come sollecitata dal Legislatore comunitario, nei termini dallo stesso stabiliti, in virtù della supremazia del diritto sovranazionale su quello interno, la predetta disposizione di legge, così come ora formulata, dovrebbe essere disapplicata nella misura in cui contrasti con le nuove norme in termini di prescrizione stabilite dal CDU.

Le modifiche che saranno apportate all’articolo 84 del TULD potranno avere rilievo anche per ciò che riguarda i termini per la notifica dei collegati atti di contestazione della sanzione, per i quali è previsto, dall’articolo 20 del D.Lgs. 472/97[4] un termine di decadenza collegato a quello previsto per l’accertamento del tributo, che, nel caso di fatti penalmente rilevanti, come detto, sarà modificato alla luce delle indicazioni contenute nel nuovo Codice Doganale dell’Unione.

Francesco Pagnozzi

Francesco Ruggiero

[1]2. Fondati risultano invece – per taluni profili – il 1^ ed il 3^ motivo che possono essere congiuntamente trattati coinvolgendo problematiche comuni in tema di decadenza dell’Amministrazione dal diritto di revisione e di prescrizione del diritto al recupero daziario.

Le condizioni per la contabilizzazione e recupero dei dazi “a posteriori” – prima dell’entrata in vigore del CDC (1^ gennaio 1994) erano regolate dal Reg. CEE 1697/79 (in vigore dal 1 luglio 1980) sul quale è stato ricalcata la corrispondente disposizione del CDC (art. 220 sia nella originaria versione sia nella riformulazione operata dal Reg. CE 2700/00).

A sensi degli artt. 2 e 3 del Reg. 1697/02 quando le autorità competenti accertano che i dazi all’importazione od all’esportazione legalmente dovuti per la merce dichiarata per un regime doganale comportante l’obbligo di effettuarne il pagamento non sono richiesti in tutto od in parte al debitore, esse iniziano una azione di recupero dei dazi non riscossi.

Tale azione non può essere più avviata dopo la scadenza del termine di 3 anni a decorrere dalla data di contabilizzazione dell’importo originariamente richiesto ovvero – se non vi è stata contabilizzazione (come nel caso) – a decorrere dalla data in cui è sorto il debito doganale relativo alla merce in questione. Il termine peraltro non è applicabile quando non si sia potuto determinare l’importo esatto dei dazi a causa di un atto passabile di una azione giudiziaria “repressiva”: in questo caso l’azione di recupero si esercita conformemente alle disposizioni vigenti in materia negli Stati membri (ibidem art. 4 par. 23 CDC). Per quanto riguarda l’Italia il D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84, contiene la disciplina della “prescrizione” della riscossione dei diritti doganali, periodo originariamente fissato (a far tempo dalla data indicata nelle bollette od – in mancanza – dalla data di esigibilità dei diritti) in cinque anni e poi ridotto a tre anni (con effetto dal 1 maggio 1991) a seguito delle legge comunitaria del 1990 (L. n. 428 del 1990, art. 29).

Anche la norma nazionale qualora il mancato pagamento-totale o parziale dei diritti – abbia causa da un reato, prevede lo spostamento del termine “in avanti” iniziando esso a decorrere dalla data in cui il decreto o la sentenza pronunziati nel procedimento penale,sono diventati irrevocabili.

È vero che il disposto del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, stabilisce un termine triennale definito di “decadenza” per la notifica all’operatore della rettifica derivante dalla “revisione” dell’accertamento e la decadenza opera per il solo fatto oggettivo del trascorrere del tempo, senza alcuna possibilità di proroga, sospensione o interruzione se non nei casi tassativamente previsti dalla legge.

Ma l’art. 221 del CDC – proprio con riferimento alla contabilizzazione dei dazi da esigere ex post (quindi al procedimento di “revisione” e non a quello di “riscossione”) – stabilisce che la comunicazione al debitore dell’importo dovuto può avvenire anche dopo il termine di tre anni dalla data in cui è insorta l’obbligazione doganale allorché la mancata determinazione del dazio sia dovuta a causa di un atto perseguibile a norma di legge (o perseguibile “penalmente” secondo la precisazione introdotta dal Reg. 2700/00).

E nel rispetto della gerarchia delle fonti che vede la prevalenza delle disposizioni comunitarie su quelle nazionali (Cass. 8044/95) è questo il criterio generale cui occorra fare riferimento quando si verta in ipotesi di indebito utilizzo di certificati di origine o di provenienza, al fine di stabilire quando sia giustificabile la postergazione del termine.

…..

È ben vero che secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia (sentenza 27/11/1991 C-273/90 Meico-Fell) l’espressione contenuta nella norma comunitaria si attaglia a qualsiasi atto che – obbiettivamente considerato – integri una fattispecie astrattamente prevista come reato dal diritto penale nazionale, senza che sia dunque necessario verificare se per esso sia iniziata o possa essere iniziata l’azione penale ex art. 405 c.p.p.. Occorre peraltro la formulazione di una ipotesi che sia quanto meno alla base di una notitia criminis, primo atto esterno rivolto a prefigurare il nodo di commistione tra fatto reato e presupposto di imposta destinato ad essere sciolto all’esito del giudizio penale.

È questo l’evento procedimentale (a prescindere dall’esito e durata delle successive indagini) che deve intervenire nell’arco temporale stabilito dalla legge per il recupero a posteriori al fine di prolungarlo senza conseguenze caducatorie dalla sua inosservanza. Come si è detto non è stata fornita alcuna prova in tal senso ne’ tale mancanza può essere ovviata da una ipotetica previsione compiuta incidenter dal Giudice dell’opposizione, specie in assenza di elementi certi acquisiti sulla supposta condotta illecita. Verrebbe compromessa la certezza dei rapporti giuridici se fosse consentito di sanare in questo modo la mancata o tardiva attivazione da parte dell’Amministrazione nel trasmettere la denunzia di reati di cui venga a conoscenza in ragione del proprio ufficio (art. 331 c.p.p.) nel corso della sua attività accertativa coordinata con le autorità dei paesi di provenienza e gli organismi dell’esecutivo comunitario nei controlli c.d. “a posteriori” da svolgere nei termini prefissati dalla legislazione comunitaria e nazionale. Senonché il Giudice di appello ha ritenuto che il triennio corrente dalla data di “esigibilità” dei diritti secondo le previsioni del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84 (non essendo intervenuta alcuna liquidazione nelle bollette di importazione siccome merce esentata dal pagamento del dazio) dovesse prender data dalla rettifica dell’accertamento (30/07/1997) che quei diritti rendeva riscuotibili con la succedanea ingiunzione, considerando per l’effetto tempestiva l’azione dell’Amministrazione finanziaria.

L’assunto non può essere condiviso.

La data di esigibilità coincide con il giorno di effettuazione dell’operazione (di importazione) che segna il verificarsi di tutti gli elementi costitutivi della pretesa tributaria (Cass. 5493/79). È questo l’evento certo ed obbiettivo della nascita dell’obbligazione doganale che coincide con la destinazione al consumo nel territorio comunitario (altrimenti detta “immissione in libera pratica”) a seguito dello svincolo della merce (D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 36 – (TULD)).

Persino nella procedura di “daziato sospeso” a sensi dell’art. 164 del Regolamento Doganale (R.D. n. 65 del 1896) dove è la stessa dogana – in attesa di avere informazioni sulla attendibilità della documentazione presentata dall’operatore o sulla natura della merce dichiarata – a procrastinare il recupero dei diritti previa acquisizione di idonea garanzia – il dies a quo è fatto risalire al momento dell’accettazione della dichiarazione (Cass. 11020/94 e 9908/94) e così in altre ipotesi di differimento della liquidazione e riscossione il presupposto della obbligazione è sempre individuato nella importazione della merce e non nella determinazione finale del tributo (Cass. 6622/97 e 10184/97).

La stessa giurisprudenza comunitaria, argomentando sull’art. 2 del Reg. 1697/79, ha avuto sul punto occasione di affermare che la sospensione della riscossione alla data di accettazione della dichiarazione doganale non influisce – una volta ripristinato il regime – sul calcolo dei dazi legalmente dovuti a tale data rispetto alla quale non opera la accordata sospensione (Corte di Giustizia, 24 settembre 1998 C-413/96 Sportgoods).

Né la norma dell’art. 2935 c.c., quando stabilisce che la prescrizione incomincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere esercitato potrebbe valere a spostare l’esigibilità al momento dell’accertamento e/o scoperta della irregolarità con invalidazione dei titoli rilasciati per la contabilizzazione “a zero”.

Il principio actio nondum nata non prescribitur impedisce il corso della prescrizione solo al cospetto di impedimenti giuridici a far valere il diritto, non a fronte di impedimenti soggettivi od ostacoli di fatto che trovino causa nell’ignoranza e/o nel ritardo con cui si procede ad accertare l’illecito rispetto al quale il comportamento del debitore può influire solo in quanto rappresenti un occultamento doloso del debito (Cass. 7898/94 e Cass. 14249/04).

È questa l’unica causa tassativa di sospensione legale prevista dall’art. 2948 c.c., n. 8, che va peraltro fattualmente prefigurata e dimostrata in un contesto che – evidentemente – non può essere quello in cui non sia dato neppure sapere – come del caso – dell’esistenza di un procedimento penale, dei soggetti coinvolti e dei relativi capi di imputazione.

Una diversa interpretazione finirebbe per prorogare sine die il termine per la contabilizzazione a posteriori che eventi di penale rilevanza sono suscettibili di procrastinare nella misura in cui sottendano indagini e verifiche almeno iniziate nel previsto arco temporale.” (Cass. 19193/06)

[2]La stessa giurisprudenza comunitaria ha avuto occasione di affermare – in tema di recupero a posteriori dei dazi doganali- che la sospensione della riscossione alla data di accettazione della dichiarazione doganale non influisce – una volta ripristinato il regime – sul calcolo dei dazi legalmente dovuti a tale data rispetto alla quale non opera la accordata sospensione (Corte di Giustiziai settembre 1998 C-413/96 Sportgoods). Né la norma dell’art. 2935 c.c. – quando stabilisce che la prescrizione incomincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere esercitato – potrebbe valere a spostare l’esigibilità al momento di riconoscimento di debenza dei dazi provvisoriamente non riscossi. Il principio actio nondum nata non prescribitur impedisce il corso della prescrizione solo al cospetto di ostacoli giuridici ad esercitare il diritto, non a fronte di impedimenti di fatto o ritardi nell’eliminare la situazione di incertezza che la stessa Amministrazione – tra l’altro – dà atto di aver risolto sin dal 3.3.1995 con la ricezione della comunicazione della Commissione CEE attestante che le carni bovine provenienti dalla Macedonia non potevano godere del regime agevolativo previsto dal Reg. 859/92 CEE.” (Cass. N.21227/06)

[3] “Il motivo e’ fondato, anche se il principio di diritto va precisato nel senso che il termine di prescrizione dell’azione doganale viene prorogata a seguito della comunicazione di una “notitia criminis” che impedisca l’esatta quantificazione dei dazi, purché tale notizia intervenga nel termine triennale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 1973, articolo 84 (Cass. 8146/2003; 20513/2006).”

[4] 1. L’atto di contestazione di cui all’articolo 16, ovvero l’atto di irrogazione, devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui e’ avvenuta la violazione o nel diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi. Entro gli stessi termini devono essere resi esecutivi i ruoli nei quali sono iscritte le sanzioni irrogate ai sensi dell’articolo 17, comma 3.

  1. Se la notificazione e’ stata eseguita nei termini previsti dal comma 1 ad almeno uno degli autori dell’infrazione o dei soggetti obbligati in solido, il termine e’ prorogato di un anno.
  2. Il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni. L’impugnazione del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione, che non corre fino alla definizione del procedimento.

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