L’economia del vicolo (tempi belli di una volta)

Tutt’intorno era pieno di gente e di botteghe.

Non erano belle e piene di luci, ma dentro c’era sempre qualcuno che sapeva fare qualcosa.

E così il ciabattino che dietro al suo banco,  pieno di piccole caselle,  con chiodini e lacci, e circondato di scarpe da riparare o già riparate, teneva con una mano una scarpa e con l’altra una spazzola per lucidarla. Mentre parlava con le donne che gli portavano le scarpe da riparare o  di pallone con i suoi amici i del vicolo.

Il locale era piccolissimo tanto da sporgersi nel vicolo.

Poi c’era il robivecchi, che vendeva tutte le cose che aveva raccolto tra le case.

Lì dentro c’era davvero di tutto, dalle scarpe usate alle  vecchie cornici nere e vuote,  vecchie fotografie, cassettoni, cassettini, comodini col marmo sopra e con lo sportellino per mettere il pitale, come lo teneva il nonno. Insomma un sacco di cose.

La bottega dei detersivi  dove si trovavano piatti, bicchieri posate e cose per la casa. Ed il sapone sfuso.

Si il sapone per lavare i panni si vendeva sfuso, molle e denso  in una vecchia bangnarola o un barile di stagnola con dentro appizzata una cucchiarella per prenderlo  per  spalmarlo come ricotta su uno dei fogli di carta marrone, tutti uguali, appesi ad un chiodo della parete.

E poi c’era la friggitoria, che vendeva le pizze fritte con la ricotta, i panzarotti, le paste cresciute e gli scagnozzi, che erano polenta fritta a forma di triangolo.

La salumeria dove la pasta si vendeva anche sfusa e avvolta in quella certa carta azzurra.

Anche le sigarette si vendevano sfuse: Dai tabaccai ovviamente.

E un altro sacco di piccole bottegucce poco eleganti ma tutte piene di gente amica.

Io mi incantavo a vedere il lucidatore di metalli che con una spazzola che ruotava velocissima in un  baleno un vecchio  pezzo di metallo sporco diventava splendente. Come nuovo.

I pomi d’ottone delle porte d’ingresso delle case, ad esempio, diventavano come tanti pomi d’oro.

Alfò

 

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