Depositi Iva anche se “istituzionali” non mutano natura.

In ordine alla differenza tra i Depositi IVA (così come definiti al primo comma dell’art. 50 bis, del D.L. 331/93: “speciali depositi fiscali, in prosieguo Depositi IVA, per la custodia di beni nazionali e comunitari … “) cosiddetti “istituzionali” e quelli autorizzati dall’Agenzia delle Entrate, alle condizione poste dal 2° comma dell’art. 50 bis, del D.L. 331/93, si osserva che mentre i primi hanno già dimostrato il possesso di tutti i requisiti posti a garanzia degli interessi dell’Erario e godono della fiducia dell’Amministrazione, per i secondi l’autorizzazione può essere concessa solo a soggetti che riscuotano la fiducia dell’ Amministrazione finanziari nonché, se relativa a depositi Iva destinati a custodire beni per conto terzi solo a società per azioni, in accomandita per azioni , a responsabilità limitata, a società cooperative o ad enti, il cui capitale o fondo di dotazione non sia inferiore ad Euro 516.456,90. .

Possono, quindi, ai sensi del primo comma dell’art. 50 bis del D.L. 331/93, fungere anche da “Depositi IVA” (cosiddetti “Depositi IVA istituzionali”):

–       i magazzini generali di cui al Regio Decreto Legge 01.07.1926, modificato dalla Legge n. 635 del 12.05.1930, che rilasciano (art. 1) le fedi di deposito e le note di pegno sulle merci in essi depositate ed il cui regolare funzionamento è accertato dal Ministero delle Finanze (artt. 4 e 16);

–       i depositi franchi[1] regolamentati agli artt. 166 / 181 del Codice Doganale Comunitario (Reg. CEE 2913/92) e artt. 799/814 delle DAC (Reg CE 2454/93) che sono parti del territorio doganale della Comunità o aree situate in tale territorio, separate dal resto di esso, in cui le merci sono considerate come merci non situate nel territorio doganale della Comunità. Il Codice Doganale Comunitario disciplina, dettagliatamente, le condizioni per ottenerne l’autorizzazione, nonché le modalità di controllo e di sorveglianza delle autorità doganali e la minuziosa contabilità con la quale il gestore del deposito deve dar conto dell’esito delle merci in esso introdotte;

–       i magazzini gestiti da imprese operanti nei punti franchi, tutti oggetto di specifica regolamentazione . In tal caso non v’è altra condizione perché qualsiasi magazzino posto in quei “Punti” sia considerato ipso jure autorizzato a funzionare come deposito IVA;

–       i depositi fiscali per i prodotti soggetti ad accisa, previsti all’art. 12 del Testo Unico della Accise, D.Lgs. n. 504 del 26.10.1995, che sono destinati alla custodia e contabilizzazione di prodotti sui quali grava ancora il pagamento dell’accisa che circolano scortati da particolari documenti di accompagnamento. La relativa normativa è contenuta nel Testo Unico citato;

–       I Depositi Doganali che, disciplinati agli artt. 98/115 del Codice Doganale Comunitario ed agli artt. 268/524 delle DAC, costituiscono un regime doganale economico sospensivo. Un insieme di regole, cioè, volte a disciplinare il funzionamento di questa destinazione doganale (art. 4, punti 15 e 16 del CDC). Questo regime è “economico”, perché chi ne richiede l’autorizzazione deve rappresentare all’Amministrazione Doganale la motivazione economica della sua richiesta; è “sospensivo”, perché, potendo questo deposito custodire soltanto merce allo stato estero[2] soggetta, cioè, ancora al pagamento di tutti i diritti doganali di cui all’art. 34 del T.U.L.D. (dazi, prelievi e qualsiasi altro tributo che debba riscuotere l’amministrazione doganale), deve necessariamente essere seguito da una ulteriore destinazione doganale (sospensiva o definitiva, quale, in questa seconda ipotesi, l’importazione definitiva).

Ciò premesso, e osservato ancora una volta che anche depositi nazionali possono essere autorizzati dall’Agenzia delle Entrate a funzionare quali depositi IVA, alle condizioni poste dal 2° comma dell’art. 50 bis, si rappresenta che la disciplina dell’istituto del deposito IVA resta unica e sempre la stessa a prescindere dalla circostanza che quel deposito abbia natura “istituzionale” ovvero sia stato autorizzato dall’Agenzia delle Entrate, alle condizioni di cui al 2° comma dell’art. 50 bis del D.L. 331/93.

In esso potranno essere introdotte soltanto merci nazionali o comunitarie e solo nelle ipotesi di cui al quarto comma lettere a), b), c), d) dell’art. 50 bis e mai merci “estere” sulle quali gravino ancora i dazi.

 



[1] Ai sensi dell’art.2, 5° comma del T.U.L.D. (DPR 43/73) i depositi franchi e i punti franchi sono considerati territori extra-doganali, cioè fuori dal territorio doganale dello Stato.

[2] L’art. 98 del CDC consente al primo paragrafo lett. b) l’introduzione nel deposito doganale privato di merci comunitarie soltanto quando una specifica normativa comunitaria ne preveda, a motivo del loro collocamento nel deposito doganale, il beneficio di misure connesse in genere con l’esportazione delle merci.

gianni gargano

francesco pagnozzi

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