Immobili: il criterio del “prezzo valore”
Le regole generali in tema di valutazione ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro sono contenute (salvo le norme specifiche dettate per singole fattispecie) negli articoli 43 e 51 del Testo Unico dell’Imposta di Registro.
In questi articoli si legge che:
l “la base imponibile è costituita, per i “contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali, dal valore del bene o del diritto alla data dell’atto” (articolo 43, comma 1, lett.a), TUR);
l “si assume come valore dei beni o dei diritti quello dichiarato dalle parti nell’atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto” (articolo 51, comma 1, TUR).
Al cospetto dei beni immobili queste regole vanno inoltre “filtrate” attraverso le seguenti ulteriori considerazioni:
a) il valore dei beni immobili è il loro “valore venale in comune commercio” (articolo 51, comma 2, TUR);
b) il “valore venale” dichiarato nell’atto sottoposto alla registrazione può essere rettificato dall’Ufficio (qualora esso ritenga che i beni in questione abbiano “un valore venale superiore al valore dichiarato o al corrispettivo pattuito: articolo 52, comma 1), “avendo riguardo”(articolo 51, comma 3, TUR):
- ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziaria, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto (o alla data in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo), che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni; ovvero:
- al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari; nonché:
- ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai Comuni;
c) non possono essere “sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in misura inferiore” al prodotto che si ottiene moltiplicando la rendita catastale per i coefficienti di aggiornamento di cui si dirà appresso (articolo 52, comma 4, TUR), con la precisazione tuttavia che questa regola (anteriormente applicabile a tutte le tipologie immobiliari dotate o dotabili di rendita catastale) si applica oggi solo nei casi in cui ricorrano i presupposti indicati dall’articolo 1, comma 497, legge 23 dicembre 2005, n. 266, come modificato dall’articolo 35, comma 21, D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (noto come “decreto Bersani”).
Infatti, l’articolo 35, comma 23-ter, D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (introdotto dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248), introduce a sua volta il nuovo comma 5-bis all’articolo 52, TUR, secondo il quale: “Le disposizioni dei commi 4 e 5 non si applicano relativamente alle cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da quelle disciplinate dall’articolo 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni”.
Per effetto dunque del disposto di detto articolo 1, comma 497, legge 23 dicembre 2005, n. 266, in caso di contratto a titolo oneroso avente per oggetto il trasferimento di una abitazione a una o più persone fisiche che non agiscano nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, la parte acquirente può richiedere al notaio rogante che la base imponibile, ai fini dell’applicazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, sia costituita dal prodotto che si ottiene (da qui la denominazione di questa regola come “principio del prezzo-valore”) moltiplicando la rendita catastale per i noti coefficienti di aggiornamento, indipendentemente dal corrispettivo dichiarato nel contratto.
Detto comma 497 (modificato come sopra detto) recita testualmente: “in deroga alla disciplina di cui all’articolo 43 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e fatta salva l’applicazione dell’articolo 39, primo comma, lettera d), ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, per le sole cessioni nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all’atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’articolo 52, commi 4 e 5 , del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell’atto. Le parti hanno comunque l’obbligo di indicare nell’atto il corrispettivo pattuito. Gli onorari notarili sono ridotti del 30 per cento”.
L’applicazione di detta normativa è pertanto subordinata al ricorrere dei seguenti presupposti:
a) l’acquirente sia “persona fisica” (di modo che la disciplina in parola non si applica se l’acquirente sia una società, un ente diverso dalle società, un ente pubblico);
b) l’acquirente “non agisca nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali” (quindi la disciplina in parola non si applica alle cessioni nelle quali l’acquirente sia un soggetto Iva che effettua l’acquisto nell’esercizio della propria attività);
c) il contratto consista in una “cessione” a titolo oneroso; e quindi la disciplina in esame si applica ad esempio ai contratti di compravendita, di permuta, di costituzione di rendita vitalizia; ma non invece, ad esempio, ai contratti di donazione;
d) il contratto sia stipulato nella forma dell’atto notarile (e quindi per atto pubblico o per scrittura privata autenticata), e ciò in quanto la disciplina in esame presuppone appunto che essa si applichi “su richiesta della parte acquirente resa al notaio”;
e) il contratto sia soggetto all’applicazione dell’imposta proporzionale di registro (quindi non si deve trattare di un contratto imponibile a Iva), ciò che accade quando il cedente non agisce nell’esercizio di impresa, arte o professione oppure quando il contratto, pur essendo soggetto a Iva, è esente dall’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto;
f) la “parte acquirente” formuli “all’atto della cessione” una specifica “richiesta al notaio” (il quale la deve riportare nel contesto del contratto) di applicare la disciplina in parola (in mancanza di ciò, si determina l’impossibilità di praticare questo regime di tassazione, aprendosi il problema di capire quale sistema applicare, e cioè se il sistema di tassazione sulla base della “valutazione catastale” o il sistema di tassazione sulla base della valutazione del valore venale dei beni oggetto di trasferimento);
g) nell’atto sia dichiarato l’intero corrispettivo pattuito (e ciò in quanto “se viene occultato, anche in parte, il corrispettivo pattuito, le imposte sono dovute sull’intero importo di quest’ultimo e si applica la sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento della differenza tra l’imposta dovuta e quella già applicata in base al corrispettivo dichiarato, detratto l’importo della sanzione eventualmente irrogata ai sensi dell’articolo 71 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n.131 del 1986”: articolo 1, comma 498, legge 23 dicembre 2005, n. 266).
Nel caso dunque in cui manchi la richiesta di applicazione del cd. regime del “prezzo-valore”, la base imponibile, ai fini dell’applicazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, è costituita dal valore dichiarato oppure dal corrispettivo dichiarato in atto (in mancanza della dichiarazione di valore oppure se il corrispettivo sia superiore al valore dichiarato).
Va peraltro notato che, ai sensi di detto nuovo comma 5-bis all’articolo 52, TUR (secondo cui “le disposizioni dei commi 4 e 5 non si applicano relativamente alle cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da quelle disciplinate dall’articolo 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni”), le norme in tema di “valutazione automatica” non si applicano dunque alle cessioni “diverse” da quelle per le quali si può applicare il regime del “prezzo-valore” (e cioè la “valutazione automatica catastale” si applica solamente alle cessioni di cui all’articolo 1, comma 497, legge 266/2005). Allora, visto che detto comma 5-bis si riferisce non alle cessioni per le quali sia stato “richiesto” il regime del “prezzo-valore”, ma si riferisce alle cessioni “disciplinate dall’articolo 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266” (per le quali, come detto, l’acquirente “può” richiedere – ma anche “può non” richiedere – l’applicazione del regime del “prezzo-valore”), si desume che per tutte le cessioni di cui all’articolo 1, comma 497, legge 266/2005 (sia in esse o meno richiesto il regime del “prezzo-valore”) si applica il sistema della “valutazione automatica catastale” anche dopo l’introduzione del comma 5-bis nell’articolo del D.P.R. 131/1986, e che, pertanto, ove in dette cessioni non sia richiesta l’applicazione del regime del “prezzo-valore”, ma siano comunque dichiarati un valore/corrispettivo non inferiori alla rendita catastale rivalutata, l’Ufficio fiscale non può esperire l’azione di accertamento di valore.
Si tratta a questo punto di stabilire cosa si intenda per “valore catastale”
Per “valore catastale” di un bene immobile si intende, il valore che si ricava moltiplicando la sua rendita, attribuita dal Catasto, per determinati coefficienti di aggiornamento, come si illustrerà in seguito.
Il concetto di “valore catastale” e di “valutazione catastale” o di “valutazione automatica” venne introdotto nel nostro ordinamento in occasione dell’emanazione del DPR. 131/1986.
Anteriormente, il principio fondamentale era quello secondo cui la base imponibile doveva essere rappresentata dal valore venale del bene trasferito (o, se superiore, dal prezzo pattuito) e l’ufficio aveva la possibilità di sottoporre a rettifica il valore di qualsiasi atto presentato alla registrazione, se ritenuto inferiore al valore venale.
In occasione dell’emanazione del Testo Unico, il legislatore scelse di introdurre la “valutazione automatica”, e cioè il principio in base al quale l’Ufficio non aveva potere di rettifica se il prezzo o il valore indicati in atto fossero stati dichiarati in misura non inferiore a quello della rendita catastale rivalutata con l’applicazione dei coefficienti di cui oltre.
Nella Relazione di accompagnamento al TUR, sub art. 52, si legge che “Nell’art. 52, al fine di facilitare i rapporti tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria, di evitare un notevole contenzioso in materia di atti sottoposti a valutazione da parte degli uffici, si è introdotto un parametro di riferimento valutativo automatico disponendosi che gli uffici non provvedono alla rettifica del valore o corrispettivo dichiarato quando detto valore o corrispettivo è dichiarato in misura non inferiore all’ammontare determinato con il criterio automatico”.
E’ evidente che la norma sulla valutazione automatica non rappresenta certo un metodo di valutazione, bensì un limite ai poteri di accertamento, fermo restando che questi poteri rimangono utilizzabili in tutta la loro ampiezza se si tratta di ricercare la parte di prezzo occultata rispetto a quanto formalmente dichiarato nei contratti.
Su questa linea la sentenza della Corte di Cassazione del 09/09/2004 n. 18150, secondo cui: “con riguardo alla determinazione della base imponibile nel caso di contratti a titolo oneroso aventi per oggetto beni immobili…….l’accertamento del “valore venale in comune commercio” cui fa riferimento a tal fine l’art. 51, secondo comma , del DPR 26/04/1986, n. 131, non può prescindere dal prezzo effettivo pattuito dalle parti – il quale rappresenta, ordinariamente e per sua natura, il valore venale del bene……”
In tal senso anche la C.M. n. 6 del 06/02/2007, secondo cui, quando viene dichiarato un prezzo non inferiore alla rendita catastale rivalutata, “la rettificabilità della base imponibile risultava preclusa, salva l’ipotesi in cui l’ufficio fosse venuto a conoscenza di corrispettivi occultati. Infatti, pur inibendo l’accertamento di valore, il criterio automatico di valutazione non implicava in alcun modo una diversa determinazione della base imponibile, che continuava ad identificarsi, ai sensi del combinato disposto degli articoli 43, comma 1, e 51 TUR, con il “valore del bene o del diritto alla data dell’atto”, assumendosi per tale “quello dichiarato dalle parti nell’atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito”
In altri termini la “valutazione automatica” non esime dal dichiarare il prezzo realmente pattuito il cui occultamento è un comportamento gravemente evasivo.
Quindi, oggi, il sistema di valutazione con l’utilizzo delle rendite catastali permane, di regola, solo nel perimetro dell’applicabilità del sistema “prezzo-valore”, mentre si torna al vecchio sistema della rettificabilità da parte dell’Ufficio del prezzo/valore dichiarato in ogni altro contratto di trasferimento di immobili.
Per effettuare dunque il calcolo del “valore catastale”, occorre procedere nel modo qui di seguito indicato: bisogna innanzitutto rivalutare la rendita catastale (articolo 3, commi 48 e 51, legge 23 dicembre 1996, n. 662) con le seguenti aliquote:
– 5 per cento per la rendita catastale dei fabbricati;
– 25 per cento per i redditi dominicali dei terreni.
Il prodotto così ottenuto va poi moltiplicato per i seguenti coefficienti (ai sensi del D.M. 14 dicembre 1991):
a) 75, per i terreni;
b) 34, per i fabbricati di categoria “C/1” (i negozi) e quelli del gruppo “E”;
c) 50, per i fabbricati di categoria “A/10” (uffici) e del gruppo “D” (opifici);
d) 100, per tutti gli altri fabbricati e, quindi, in particolare, per le abitazioni.
Nell’articolo 2, comma 63, della legge 24 dicembre 2003 n. 350 è poi stato disposto (“ai soli fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali”) l’aumento dei moltiplicatore delle rendite catastali con una loro rivalutazione del 10 per cento.
Nell’articolo 1-bis, comma 7, del D.L. 12 luglio 2004, n. 168, aggiunto dalla legge di conversione 30 luglio 2004, n.191, e sempre “ai soli fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale” (e con riguardo ai soli immobili diversi dalla “prima casa”), è stato inoltre disposto che la rivalutazione del 10 per cento sancita dal sopra richiamato articolo 2, comma 66, della legge 350/2003, fosse elevata al 20 per cento.
Ai sensi di tutta la normativa sopra menzionata, ai fini dell’imposta di registro, attualmente il valore catastale si calcola pertanto (oggi, come detto, questi calcoli principalmente rilevano solo per quel che concerne le abitazioni e loro pertinenze acquistate da persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di una partita Iva) come segue:
- si applica alle rendite catastali il coefficiente di rivalutazione (del 5 per cento per i fabbricati e del 25 per cento per i terreni;
- si moltiplica il prodotto così ottenuto con i coefficienti di cui al Dm 14 dicembre 1991; e infine:
- si deve rivalutare il tutto del 20 per cento (o del 10 per cento se si tratta di abitazione per la quale sia richiesta la cosiddetta agevolazione per l’acquisto della “prima casa”).
Valga il seguente esempio:
appartamento con una rendita catastale di Euro 500,00 che rivalutata del 5% risulta essere di Euro 525,00;
moltiplicando tale rendita rivalutata per il coefficiente 100 si avrà il valore di Euro 52.500,00;
rivalutando il tutto del 20%, si avrà un valore definitivo di Euro 63.000,00;
Valore da considerare per il calcolo dell’imposta di registro, catastale ed ipotecaria.
Giovanni Gargano
Vincenzo Guastella
Lascia un commento