Redditometro come gli studi di settore: necessità del contraddittorio con il contribuente
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13289 del 16/06/2011, ha evidenziato che anche gli accertamenti basati sul “vecchio redditometro”, relativi ai periodi d’imposta fino al 2008 (per i quali valgono le regole anteriori alle modifiche introdotte con il D.L. n. 78/2010), costituiscono un sistema di presunzioni semplici, ed è pertanto obbligatorio ricorrere al contraddittorio tra le parti, pena la nullità dell’accertamento.
La sentenza precisa come nel “vecchio” sistema, il carattere legale presuntivo sia attribuito attraverso questa metodologia accertativa solo all’incremento patrimoniale, ove si presume che la spesa sia sostenuta nell’anno di effettuazione e nei quattro precedenti.
Con tale sentenza, la Corte di cassazione, sovvertendo la decisione della Commissione tributaria regionale impugnata, ha legittimato valenza reddituale allo specifico indice rivelatore costituito dal possesso, nella specie, di tre autovetture e di altri beni indice di capacità contributiva.
La pronuncia ha anche aggiunto che la connotazione di presunzione semplice e la necessità di esperire il preventivo contraddittorio sono entrambi principi che vincolano il “vecchio” redditometro alle regole previste per il futuro nuovo strumento accertativo.
Il fatto
La vicenda riguarda un avviso di accertamento da redditometro emesso a carico di un contribuente, che non aveva presentato la dichiarazione dei redditi, con il quale l’ufficio ha accertato sinteticamente il reddito complessivo di quell’anno, in applicazione dei coefficienti previsti dalle norme (decreti ministeriali 10 settembre e 19 novembre 1992; articolo 38, comma 4, del Dpr 600/1973, nella versione applicabile fino al periodo d’imposta 2008, ossia prima delle modifiche apportate alla materia dall’articolo 22, del Dl 78/2010).
Il contribuente, esercente attività di impresa, pur avendo nel periodo considerato la disponibilità di automobili e realizzato incrementi patrimoniali (possesso di una casa di abitazione e di un’assicurazione), aveva risposto negativamente a un questionario (anzi, certificando la vendita dei beni mobili) con il quale l’ufficio richiedeva “ulteriori” precisazioni in relazione a documenti già in suo possesso.
Motivi della decisione
Con la sentenza 13289/2011, la Suprema corte afferma, sostanzialmente, che va riconosciuto valore reddituale ai beni che il contribuente ha dichiarato in risposta al questionario. Soluzione che merita la disapprovazione dell’operato della Commissione Tributaria regionale che si era limitata a escludere ogni valenza reddituale allo specifico indice rivelatore quale il possesso delle automobili e degli incrementi patrimoniali.
E ribadisce, al riguardo, il principio di diritto secondo cui il divieto – posto dalla legge 212/2000 – di richiedere al contribuente documenti e informazioni già in possesso dell’Amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche, di per sé, non esclude il potere dell’ufficio di chiedere, oltre a documenti e informazioni non in suo possesso (o in possesso di Amministrazioni terze), soprattutto specificazioni su notizie da esso già conosciute. Questo per dare concretezza ed effettività al contraddittorio, al fine di adeguare l’elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente. Perciò va riconosciuto valore reddituale ai beni dichiarati in risposta al questionario.
A tale risultato si perviene alla luce del canone affermato ripetutamente dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione, sentenze 8738/2002, 2656/2007 e 21661/2010), secondo cui il richiamato articolo 38, che disciplina i criteri di rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche, prevede che il controllo della congruità delle stesse venga effettuato partendo da dati certi e utilizzando gli stessi come indici di capacità di spesa per dedurne, avvalendosi di specifici e predeterminati parametri di valorizzazione (redditometro), il reddito presuntivamente necessario a garantirla.
Quando il reddito determinato in tal modo si discosta da quello dichiarato per almeno due annualità l’ufficio può procedere all’accertamento con metodo sintetico determinando il reddito induttivamente e, quindi, utilizzando i parametri indicati a condizione che il reddito così calcolato sia superiore di almeno un quarto a quello dichiarato.
L’unico onere dell’ufficio è quello di individuare elementi certi indicatori di capacità di spesa, mentre i coefficienti presuntivi vengono utilizzati sia al fine di accertare l’incongruità del reddito dichiarato sia per determinare sinteticamente quello da accertare. Naturalmente, il contribuente può, oltre che contestare il possesso degli indicatori di capacità di spesa, provare, con idonea documentazione, che il maggior reddito determinato (o determinabile) sinteticamente è costituito, in tutto o in parte, da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte. Infatti, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora il contribuente, in sede di risposta ad apposito questionario, ammetta la proprietà e l’utilizzazione di determinati beni, indici di capacità contributiva, ha l’onere di provare in modo rigoroso che tali beni appartengono a terzi e sono da questi utilizzati, restando altrimenti esposto alle conseguenze previste in tema di accertamento presuntivo del reddito della propria dichiarazione (Cassazione 8738/2002).
La Suprema corte sottolinea ancora che il contribuente ha l’onere, nelle sedi amministrativa e processuale, di contestare puntualmente l’applicazione dei coefficienti parametrici, nonché di allegare e provare specifiche situazioni che renderebbero inadeguati al proprio caso gli standard considerati (Cassazione 12786/2011).
Ciò vuol dire, in ultima analisi che, per escludere il fatto indice dal novero dell’accertamento redditometrico, non è sufficiente l’affermazione non dimostrata di utilizzo dei beni nell’esercizio di impresa, in quanto trattasi di elementi rilevatori di capacità contributiva riferita non al fatto in sé, ma all’acquisto – considerato nel suo complesso – e in relazione ai mezzi (non dichiarati) per farvi fronte.
Mentre in passato, la stessa Corte aveva affermato, per il “vecchio” redditometro, che non vi era obbligo, da parte degli uffici dell’amministrazione finanziaria, di attivare il contraddittorio preventivo (ad esempio, ordinanza n. 7485 del 27 marzo 2010) ora la Cassazione stabilisce «la necessità … di esperire il preventivo contraddittorio per adeguare l’elaborazione statistica degli standard considerati dai decreti ministeriali del 1992 alla concreta realtà economica del contribuente». Vi è, quindi, un completo cambio di rotta da parte della Cassazione, che afferma l’obbligo anche per il passato di esperire preventivamente il contraddittorio. Ora, infatti, la necessità del contraddittorio è stabilita dalla legge, ma solo per gli accertamenti riguardanti i periodi d’imposta dal 2009 in poi. Il fatto che si debba attivare obbligatoriamente il contraddittorio anche per il passato (quello effettivo da accertamento con adesione e non quello della semplice risposta ai questionari, affermato dalla circolare 49/E/2007) determina anche la rilevanza del redditometro come presunzione semplice.
Le conclusioni della Corte hanno inevitabili riflessi sia sugli accertamenti in corso che per quelli che verranno fatti con le misure della manovra economica 2010 (per i periodi d’imposta 2009 e in avanti). Per gli accertamenti in corso, relativi agli anni fino al 2008, si afferma, in sostanza che la mancanza del contraddittorio non può che determinare la nullità dell’accertamento. Inoltre, il fatto che l’accertamento da redditometro si basi su presunzioni semplici comporta precisi oneri motivazionali e di prova in capo all’amministrazione finanziaria. Per gli accertamenti che verranno fatti con le norme della manovra economica 2010, si tratta di una conferma che anche questi ultimi si basano su presunzioni semplici.
gianni gargano
vincenzo guastella
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