Il rappresentante indiretto non sempre risponde della maggiore IVA dovuta all’importazione

395838_10150543070985053_53267160052_8738595_1362814130_nSi riporta qui di seguito il testo della sentenza n. 23674 pubblicata lo scorso 24.09.2019 con la quale la Corte di Cassazione ha fissato alcuni interessanti principi in tema di responsabilità del rappresentante indiretto per la maggiore IVA accertata in sede di revisione dell’accertamento ed in tema di competenza di recupero della stessa nel caso in cui la merce sia stata destinata, dopo l’immissione in libera pratica, ad essere introdotta in un deposito IVA.

SENTENZA

FATTI DI CAUSA

  1. L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, depositata il 22 luglio 2015, che, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla Centro Assistenza Doganale (CAD) Italia s.r.I., ha rideterminato la pretesa erariale fatta valere con un avviso di rettifica dell’accertamento emesso per infedele dichiarazione in ordine al valore di merci importate nel senso di escludere gli importi richiesti per omesso versamento dell’i.v.a. e di ridurre corrispondentemente gli importi richiesti a titolo di interessi e sanzioni.
  2. Il giudice di appello ha ritenuto che la contribuente, coinvolta nelle operazioni di importazione quale mera dichiarante doganale, non poteva essere considerata responsabile del mancato assolvimento dell’i.v.a. da parte dell’importatore, in quanto attinente ad un momento successivo rispetto alla conclusione dell’operazione doganale, coincidente con l’entrata in deposito della merce importata.
  3. Il ricorso è affidato ad un unico motivo.
  4. La Centro Assistenza Doganale (CAD) Italia s.r.l. in liquidazione non svolge alcuna attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Con l’unico motivo di ricorso proposto l’Agenzia denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 67 ss., d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 50 bis, d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. nella I. 29 ottobre 1993, n. 427, per aver la sentenza impugnata escluso la responsabilità della contribuente per il mancato versamento dell’Iva all’importazione.

1.1. Il motivo è infondato.

Dall’esame della sentenza di appello si evince che la ditta importatrice ha destinato i beni importati ad un deposito fiscale, usufruendo dello speciale regime agevolativo che consente il differimento dell’assolvimento dell’i.v.a. all’importazione al momento della estrazione della merce da tale deposito.

In ragione della non esigibilità dell’imposta al momento della presentazione della dichiarazione doganale e del perfezionamento delle operazioni di immissione in libera pratica dei beni importati la Commissione regionale ha ritenuto che il dichiarante doganale non possa essere considerato tenuto al pagamento dell’imposta, trovando la sua responsabilità un limite nella conclusione di tali operazioni e nella sua estraneità ai successivi adempimenti.

1.2. Orbene, giova rammentare l’i.v.a. all’importazione è un’imposta identica all’i.v.a. interna/intracomunitaria, le cui differenze non sono sostanziali, ma solamente di carattere procedimentale, in relazione alla fase di accertamento e riscossione, e, pertanto, deve considerarsi quale tributo inserito nel quadro generale dell’imposta armonizzata, essendone la ratio impositiva quella di «porre i prodotti importati nella stessa situazione dei prodotti nazionali analoghi per quanto riguarda gli oneri fiscali gravanti sulle due categorie di merci» (cfr. Corte UE, 25 febbraio 1988, Rainer Drexl; tra la giurisprudenza nazionale, vedi, tra le altre, Cass. 14 febbraio 2019, n. 4384; Cass., ord., 13 luglio 2018, n. 18652).

Che l’iva all’importazione e l’iva intracomunitaria identifichino la medesima imposta emerge anche dalla sentenza della Corte UE del 17 luglio 2014, Equoland, secondo cui la violazione dell’obbligo formale d’introduzione fisica delle merci nel deposito «non ha comportato, perlomeno nel procedimento principale, il mancato pagamento dell’IVA all’importazione poiché questa è stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile applicato dal soggetto passivo».

In ragione della sua natura, l’i.v.a. all’importazione risulta essere estranea al contenuto dell’obbligazione doganale all’importazione, individuato dall’art. 4, lett. 9, Reg. n. 2913/92 quale «obbligo di una persona di corrispondere l’importo dei dazi», identificati questi ultimi, alla successiva lett. 10, con «i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente dovuti all’importazione delle merci (cfr., in tema, Corte UE, 2 giugno 2016, Eurogate Distribution; Corte UE, 29 luglio 2010, Pakora Pluss).

La natura interna dell’i.v.a. all’importazione non ne consente, dunque, l’assimilazione ai dazi, con cui l’imposta condivide il presupposto impositivo, individuato nel fatto dell’importazione nell’Unione e nella susseguente introduzione nel circuito economico degli Stati membri (cfr. Corte UE, 11 luglio 2013, Harry Winston).

1.3. Deve aggiungersi che se generalmente fatto generatore dell’imposta ed esigibilità della stessa sono identici nei due tributi, vi possono essere situazioni, quale quella in esame, in cui ciò non si verifica.

In particolare, l’art. 50 bis, d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv., con modif., nella I. 29 ottobre 1993, n. 427, in coerenza con la facoltà riconosciuta agli Stati membri dalla Sesta direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, prevede una serie di ipotesi in cui l’introduzione della merce importata nei depositi fiscali determina il differimento dell’obbligo di assolvimento dell’imposta fino al momento dell’estrazione delle merci per l’immissione in consumo e lo pone direttamente a carico di colui che provvede all’estrazione dei beni.

Infatti, in caso di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA, il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile soltanto nel momento dell’estrazione di tali beni.

1.4. Con particolare riferimento alla disciplina procedimentale dell’iva all’importazione, si osserva che questa va versata, fatta eccezione per i casi di esenzione, per effetto ed in occasione di ciascuna importazione, ai sensi dell’art. 70, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana.

Quanto alle autorità competenti all’accertamento e alla riscossione dell’imposta, è stato affermato che l’attuale quadro normativo interno (art. 62 e 63, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300), caratterizzato da una duplice competenza, con rapporto di specialità reciproca, tra Agenzia delle Entrate, competente in ordine all’i.v.a., e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, competente in ordine ai diritti doganali ed alla «fiscalità interna agli scambi internazionali» debba essere interpretato nel senso che, qualora l’immissione in libera pratica e l’immissione in consumo coincidono, l’autorità doganale e quella che accerta l’iva all’importazione possono coincidere anch’esse per economia di procedimento (cfr. Cass. 5 agosto 2016, n. 16459).

Qualora, invece, come nel caso in esame, l’immissione in libera pratica preceda con un certo intervallo temporale l’immissione in consumo, l’autorità che accerta l’iva all’importazione/intracornunitaria non si può definire, in base alla normativa comunitaria dinanzi richiamata, autorità doganale, in quanto la riscossione dell’iva al di fuori degli spazi doganali non afferisce alla «fiscalità interna negli scambi internazionali» contemplata dall’art. 63, d.lgs. n. 300 del 1999.

1.5. Dalle considerazioni che precedono consegue che in caso di coincidenza del presupposto impositivo e di esigibilità dell’i.v.a. all’importazione e del dazio all’importazione, in ragione della coincidenza dell’immissione in libera pratica con l’immissione al consumo, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli è competente per l’accertamento e la riscossione di entrambi i tributi e soggetto tenuto all’adempimento delle relative obbligazioni è, ai sensi dell’art. 201, par. 3, Reg. n. 2913/1992, il dichiarante e, in caso di rappresentanza indiretta, la persona per conto della quale è presentata la dichiarazione, nonché le (eventuali) persone che hanno fornito detti dati necessari alla stesura della dichiarazione e che erano o avrebbero dovuto ragionevolmente essere a conoscenza della loro erroneità (cfr., sul punto, da ultimo, FIT„, sul punto), Corte Giust., 19 ottobre 2017, A; nonché, tra la giurisprudenza interna, da ultimo, Cass. 26 febbraio 2019, n. 5563).

L’ambito di applicazione di tale disposizione si estende, dunque, anche all’individuazione dei soggetti responsabili del versamento dell’i.v.a. all’importazione, in ragione della centralità che l’elemento dichiarativo assume ai fini dell’immissione in commercio dei beni importati e delle esigenze di semplificazione ed efficienza nella riscossione dei tributi, sottese alla richiamata disciplina in ordine al riparto di competenze tra le agenzie fiscali.

1.6. Qualora, invece, tale presupposto impositivo e di esigibilità non coincida, competente dell’accertamento e della riscossione dell’i.v.a. all’importazione sarà unicamente l’Agenzia delle Entrate, non essendo prospettabile la competenza dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli in ragione dell’insussistenza delle richiamate esigenze di economia procedinnentale, in quanto immissione in libera pratica e immissione in consumo della merce importata non coincidono, poiché la prima precede con un certo intervallo temporale la seconda (cfr. Cass., ord., 30 ottobre 2017, n. 30358; Cass. 5 agosto 2016, n. 8659).

Con particolare riferimento alle ipotesi di operazioni interessanti beni introdotti in depositi fiscali, la cesura temporale e concettuale tra immissione in libera pratica e immissione in consumo dei beni importati fa assumere alla dichiarazione doganale una diversa rilevanza, maggiormente aderente all’accertamento dei diritti doganali, con la conseguenza, sancita dal legislatore, della responsabilità del soggetto che procede all’estrazione dei beni per il pagamento dell’i.v.a. all’importazione, eventualmente in solido con il gestore del deposito nei casi previsti dal richiamato art. 50-bis.

Conseguentemente, va esclusa la responsabilità del rappresentante indiretto, in quanto il presupposto impositivo si pone su un piano logico diverso rispetto alla dichiarazione doganale.

Può, dunque, formularsi il seguente principio di diritto: «In caso di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito fiscale, l’autore della dichiarazione doganale non risponde del mancato versamento dell’imposta relativa

all’estrazione dei beni».

Il giudice di appello, nell’escludere la responsabilità del dichiarante doganale per le vicende successive all’introduzione della merce nel deposito fiscale, ha fatto corretta applicazione dei suesposti principi.

Pertanto, il ricorso non può essere accolto.

Nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio, in assenza di attività difensiva da parte della parte vittoriosa..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 marzo 2019.

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