I termini per il recupero dei diritti doganali
La disciplina concernente il termine entro il quale l’amministrazione doganale possa esercitare il proprio potere di accertamento presenta diverse incertezze interpretative dettate, in particolar modo, dalla coesistenza di norme nazionali e comunitarie.
L’art. 103 del CDU (Regolamento (UE) n. 952/2013 del 9.10.13), che disciplina la prescrizione dell’obbligazione doganale, prevede, al primo paragrafo, che la “Nessuna obbligazione doganale può essere notificata al debitore dopo la scadenza di un termine di tre anni dalla data in cui è sorta l’obbligazione doganale”.
Per quanto riguarda “la data in cui è sorta l’obbligazione doganale” la normativa comunitaria specifica, all’art. 77 del CDU (per quanto attiene i regimi dell’immissione in libera pratica e quello dell’ammissione temporanea), che “l’obbligazione doganale sorge al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana”.
L’indicato termine triennale viene sospeso, così come previsto dal 3° paragrafo del citato articolo 103 del CDU, i) nel caso sia presentato un ricorso, per tutta la durata del relativo procedimento (art. 103[1], 3° par., CDU); ii) dalla comunicazione, emessa ai sensi dell’art. 22, par. 6 del CDU, con la quale le Autorità doganali informano il debitore dei motivi in base ai quali intendono notificare l’obbligazione doganale, dalla data di tale comunicazione fino allo scadere del termine entro il quale il debitore può manifestare il proprio punto di vista.
Considerate le ipotesi di sospensione appena richiamate il termine di cui al citato articolo 103 del CDU deve qualificarsi come qualificarsi come termine di prescrizione, atteso che il termine decadenziale non può essere soggetto a sospensione ovvero interruzione.
La normativa comunitaria appena richiamata si pone in contrasto con le disposizioni nazionali ed, in particolare, con quanto previsto dal D.Lgs. n. 374/90, disciplinante la revisione dell’accertamento, che stabilisce che l’avviso di rettifica dell’accertamento debba essere notificato, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni.
Viceversa, l’art. 84 T.U.L.D., definisce di prescrizione il termine per l’esercizio dell’azione di riscossione dei diritti doganali da parte dello Stato.
Diverso è il termine nel caso il fatto generatore del tributi integri tempo, i presupposti di un comportamento penalmente rilevante.
In quest’ipotesi il legislatore comunitario, con il nuovo Codice Doganale dell’Unione, è intervenuto a colmare il vuoto normativo esistente nella previgente normativa (art. 221 CDC e art. 84 TULD), che non prevedeva un termine massimo nel caso di obbligazione doganale sorta a seguito di fatti penalmente rilevanti.
A colmare il preesistente vuoto normativo era intervenuta la Suprema Corte di Cassazione che, rilevata anche l’assenza di una norma, ovvero di un orientamento comunitario, sul tema aveva proposto un contemperamento tra quanto previsto dall’art. 84, comma 3, del T.U.L.D., nonché dalle disposizioni in materia di revisione dell’accertamento ed i principi costituzionali di certezza del diritto e agli artt. 3 e 24 della Carta Costituzionale. Difatti, facendo propri le conclusioni cui è pervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 280 del 15.07.2005, si è categoricamente escluso che il contribuente possa essere esposto ad un’azione di recupero esercitabile da parte della dogana ad libitum, ossia senza limiti temporali massimi (ex plurimis, Corte di Cassazione, sentenza 10.06.2009, n. 13333).
La Corte di Cassazione aveva quindi stabilito che (cfr. sentenze Corte di Cassazione nn. 19193/06[2], 19195/06, 19197/06, 21227/06[3], 20733/06, 22014/06, 9773[4] del 23/04/2010; 24674/2015) in tema di tributi doganali, il decorso del termine triennale di prescrizione dell’azione di recupero dei dazi all’importazione, il cui mancato pagamento totale o parziale abbia causa da un reato, è prorogato sino ai tre anni successivi alla data d’irrevocabilità della decisione penale (a prescindere dall’esito di condanna o assoluzione), in base all’art. 84, comma 3, del d.P.R. n. 43 del 1973, come modificato dall’art. 29, comma 1, della legge n. 428 del 1990, a condizione che, nel triennio decorrente dall’insorgenza dell’obbligazione doganale, l’Amministrazione emetta un atto nel quale venga formulata una “notitia criminis” tale da individuare un fatto illecito, penalmente rilevante, ed idoneo ad incidere sul presupposto d’imposta.
Il nuovo Codice Doganale Unionale (Regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9.10.2013), in vigore dal 1.05.2016, infatti all’articolo 103, ha chiaramente, stabilito:
“1. Nessuna obbligazione doganale può essere notificata al debitore dopo la scadenza di un termine di tre anni dalla data in cui è sorta l’obbligazione doganale.
- Quando l’obbligazione doganale sorge in seguito a un atto che nel momento in cui è stato commesso era perseguibile penalmente, il termine di tre anni di cui al paragrafo 1 é esteso a minimo cinque anni e massimo dieci anni conformemente al diritto nazionale.
- I termini di cui ai paragrafi 1 e 2 sono sospesi qualora:
- a) sia presentato un ricorso a norma dell’articolo 44; tale sospensione si applica a decorrere dalla data in cui è presentato il ricorso e per la durata del relativo procedimento; o
- b) le autorità doganali comunichino al debitore, ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 6, le motivazioni in base alle quali intendono notificare l’obbligazione doganale; tale sospensione si applica a decorrere dalla data di tale comunicazione fino allo scadere del periodo in cui il debitore ha la possibilità di esprimere il proprio punto di vista.
- Quando l’obbligazione doganale è ripristinata a norma dell’articolo 116, paragrafo 7, i termini di cui ai paragrafi 1 e 2 sono considerati sospesi a decorrere dalla data in cui è stata presentata la domanda di rimborso o di sgravio a norma dell’articolo 121, fino alla data in cui sia stata adottata una decisione in merito al rimborso o allo sgravio.”
Dovrà essere, quinti, il legislatore nazionale, visto l’esplicito rinvio della citata disposizione Unionale, a stabilire il termine entro il quale la Dogana potrà procedere al recupero dei diritti doganali nelle ipotesi in cui il loro mancato pagamento sia stato causato da un fatto avente rilevanza penale.
Nelle more dell’adozione dei provvedimenti legislativi volti a modificare l’articolo 84 del TULD, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, con la circolare 8/D del 19.04.2016 ha ritenuto applicabile, nelle ipotesi di obbligazione doganale sorta a seguito di un atto penalmente rilevante, il termine minimo previsto dall’articolo 103, 2° paragrafo, del CDU, cioè cinque anni.
Considerato che dovrà essere stabilito un termine massimo (compreso fra cinque e dieci anni dalla data in cui l’obbligazione doganale è sorta) entro il quale l’azione dello Stato per il recupero dei diritti doganali dovrà essere esercitata, eliminando, così, l’incertezza causata dall’attuale formulazione della norma nazionale, potrebbe essere previsto che non sia più necessario che entro il termine ordinario di accertamento (tre anni) venga trasmessa la notitia criminis, ma che la stessa venga trasmessa (entro il maggior termine che sarà previsto) al solo scopo di dimostrare la configurabilità di un fatto perseguibile penalmente. In ogni caso entro il termine che sarà stabilito dal legislatore nazionale dovrà essere notificato l’avviso di accertamento (ovvero l’invito a pagamento), trascorso il quale, anche se nelle more sia stata trasmessa la notitia criminis, l’azione dello Stato per il recupero dei diritti doganali dovrà considerarsi prescritta.
Infine, sempre l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con la nota prot. 51424 dell’8.06.2017, a correzione di quanto aveva affermato nella citata circolare n. 8/D, ha definitivamente dettato le seguenti indicazioni per la gestione intertemporale dei contesti:
- per le obbligazioni sorte prima dell’entrata in vigore del CDU (1 maggio 2016) si applicherà la disciplina recata dal previgente CDC, prendendo a riferimento non il più il momento dell’accertamento dell’obbligazione (come indicato nella circolare 8/D del 19.04.2016), bensì quello dell’ “insorgenza” della stessa;
- per le obbligazioni sorte dopo l’entrata in vigore del CDU (1 maggio 2016) si applicherà la disciplina di cui all’articolo 103 del CDU.
Gianni Gargano
[1] 3. I termini di cui ai paragrafi 1 e 2 sono sospesi qualora:
- a) sia presentato un ricorso a norma dell’articolo 44; tale sospensione si applica a decorrere dalla data in cui è presentato il ricorso e per la durata del relativo procedimento; o
- b) le autorità doganali comunichino al debitore, ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 6, le motivazioni in base alle quali intendono notificare l’obbligazione doganale; tale sospensione si applica a decorrere dalla data di tale comunicazione fino allo scadere del periodo in cui il debitore ha la possibilità di esprimere il proprio punto di vista.
[2] “2. Fondati risultano invece – per taluni profili – il 1^ ed il 3^ motivo che possono essere congiuntamente trattati coinvolgendo problematiche comuni in tema di decadenza dell’Amministrazione dal diritto di revisione e di prescrizione del diritto al recupero daziario.
Le condizioni per la contabilizzazione e recupero dei dazi “a posteriori” – prima dell’entrata in vigore del CDC (1^ gennaio 1994) erano regolate dal Reg. CEE 1697/79 (in vigore dal 1 luglio 1980) sul quale è stato ricalcata la corrispondente disposizione del CDC (art. 220 sia nella originaria versione sia nella riformulazione operata dal Reg. CE 2700/00).
A sensi degli artt. 2 e 3 del Reg. 1697/02 quando le autorità competenti accertano che i dazi all’importazione od all’esportazione legalmente dovuti per la merce dichiarata per un regime doganale comportante l’obbligo di effettuarne il pagamento non sono richiesti in tutto od in parte al debitore, esse iniziano una azione di recupero dei dazi non riscossi.
Tale azione non può essere più avviata dopo la scadenza del termine di 3 anni a decorrere dalla data di contabilizzazione dell’importo originariamente richiesto ovvero – se non vi è stata contabilizzazione (come nel caso) – a decorrere dalla data in cui è sorto il debito doganale relativo alla merce in questione. Il termine peraltro non è applicabile quando non si sia potuto determinare l’importo esatto dei dazi a causa di un atto passabile di una azione giudiziaria “repressiva”: in questo caso l’azione di recupero si esercita conformemente alle disposizioni vigenti in materia negli Stati membri (ibidem art. 4 par. 23 CDC). Per quanto riguarda l’Italia il D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84, contiene la disciplina della “prescrizione” della riscossione dei diritti doganali, periodo originariamente fissato (a far tempo dalla data indicata nelle bollette od – in mancanza – dalla data di esigibilità dei diritti) in cinque anni e poi ridotto a tre anni (con effetto dal 1 maggio 1991) a seguito delle legge comunitaria del 1990 (L. n. 428 del 1990, art. 29).
Anche la norma nazionale qualora il mancato pagamento-totale o parziale dei diritti – abbia causa da un reato, prevede lo spostamento del termine “in avanti” iniziando esso a decorrere dalla data in cui il decreto o la sentenza pronunziati nel procedimento penale,sono diventati irrevocabili.
È vero che il disposto del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, stabilisce un termine triennale definito di “decadenza” per la notifica all’operatore della rettifica derivante dalla “revisione” dell’accertamento e la decadenza opera per il solo fatto oggettivo del trascorrere del tempo, senza alcuna possibilità di proroga, sospensione o interruzione se non nei casi tassativamente previsti dalla legge.
Ma l’art. 221 del CDC – proprio con riferimento alla contabilizzazione dei dazi da esigere ex post (quindi al procedimento di “revisione” e non a quello di “riscossione”) – stabilisce che la comunicazione al debitore dell’importo dovuto può avvenire anche dopo il termine di tre anni dalla data in cui è insorta l’obbligazione doganale allorché la mancata determinazione del dazio sia dovuta a causa di un atto perseguibile a norma di legge (o perseguibile “penalmente” secondo la precisazione introdotta dal Reg. 2700/00).
E nel rispetto della gerarchia delle fonti che vede la prevalenza delle disposizioni comunitarie su quelle nazionali (Cass. 8044/95) è questo il criterio generale cui occorra fare riferimento quando si verta in ipotesi di indebito utilizzo di certificati di origine o di provenienza, al fine di stabilire quando sia giustificabile la postergazione del termine.
…..
È ben vero che secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia (sentenza 27/11/1991 C-273/90 Meico-Fell) l’espressione contenuta nella norma comunitaria si attaglia a qualsiasi atto che – obbiettivamente considerato – integri una fattispecie astrattamente prevista come reato dal diritto penale nazionale, senza che sia dunque necessario verificare se per esso sia iniziata o possa essere iniziata l’azione penale ex art. 405 c.p.p.. Occorre peraltro la formulazione di una ipotesi che sia quanto meno alla base di una notitia criminis, primo atto esterno rivolto a prefigurare il nodo di commistione tra fatto reato e presupposto di imposta destinato ad essere sciolto all’esito del giudizio penale.
È questo l’evento procedimentale (a prescindere dall’esito e durata delle successive indagini) che deve intervenire nell’arco temporale stabilito dalla legge per il recupero a posteriori al fine di prolungarlo senza conseguenze caducatorie dalla sua inosservanza. Come si è detto non è stata fornita alcuna prova in tal senso ne’ tale mancanza può essere ovviata da una ipotetica previsione compiuta incidenter dal Giudice dell’opposizione, specie in assenza di elementi certi acquisiti sulla supposta condotta illecita. Verrebbe compromessa la certezza dei rapporti giuridici se fosse consentito di sanare in questo modo la mancata o tardiva attivazione da parte dell’Amministrazione nel trasmettere la denunzia di reati di cui venga a conoscenza in ragione del proprio ufficio (art. 331 c.p.p.) nel corso della sua attività accertativa coordinata con le autorità dei paesi di provenienza e gli organismi dell’esecutivo comunitario nei controlli c.d. “a posteriori” da svolgere nei termini prefissati dalla legislazione comunitaria e nazionale. Senonché il Giudice di appello ha ritenuto che il triennio corrente dalla data di “esigibilità” dei diritti secondo le previsioni del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84 (non essendo intervenuta alcuna liquidazione nelle bollette di importazione siccome merce esentata dal pagamento del dazio) dovesse prender data dalla rettifica dell’accertamento (30/07/1997) che quei diritti rendeva riscuotibili con la succedanea ingiunzione, considerando per l’effetto tempestiva l’azione dell’Amministrazione finanziaria.
L’assunto non può essere condiviso.
La data di esigibilità coincide con il giorno di effettuazione dell’operazione (di importazione) che segna il verificarsi di tutti gli elementi costitutivi della pretesa tributaria (Cass. 5493/79). È questo l’evento certo ed obbiettivo della nascita dell’obbligazione doganale che coincide con la destinazione al consumo nel territorio comunitario (altrimenti detta “immissione in libera pratica”) a seguito dello svincolo della merce (D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 36 – (TULD)).
Persino nella procedura di “daziato sospeso” a sensi dell’art. 164 del Regolamento Doganale (R.D. n. 65 del 1896) dove è la stessa dogana – in attesa di avere informazioni sulla attendibilità della documentazione presentata dall’operatore o sulla natura della merce dichiarata – a procrastinare il recupero dei diritti previa acquisizione di idonea garanzia – il dies a quo è fatto risalire al momento dell’accettazione della dichiarazione (Cass. 11020/94 e 9908/94) e così in altre ipotesi di differimento della liquidazione e riscossione il presupposto della obbligazione è sempre individuato nella importazione della merce e non nella determinazione finale del tributo (Cass. 6622/97 e 10184/97).
La stessa giurisprudenza comunitaria, argomentando sull’art. 2 del Reg. 1697/79, ha avuto sul punto occasione di affermare che la sospensione della riscossione alla data di accettazione della dichiarazione doganale non influisce – una volta ripristinato il regime – sul calcolo dei dazi legalmente dovuti a tale data rispetto alla quale non opera la accordata sospensione (Corte di Giustizia, 24 settembre 1998 C-413/96 Sportgoods).
Né la norma dell’art. 2935 c.c., quando stabilisce che la prescrizione incomincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere esercitato potrebbe valere a spostare l’esigibilità al momento dell’accertamento e/o scoperta della irregolarità con invalidazione dei titoli rilasciati per la contabilizzazione “a zero”.
Il principio actio nondum nata non prescribitur impedisce il corso della prescrizione solo al cospetto di impedimenti giuridici a far valere il diritto, non a fronte di impedimenti soggettivi od ostacoli di fatto che trovino causa nell’ignoranza e/o nel ritardo con cui si procede ad accertare l’illecito rispetto al quale il comportamento del debitore può influire solo in quanto rappresenti un occultamento doloso del debito (Cass. 7898/94 e Cass. 14249/04).
È questa l’unica causa tassativa di sospensione legale prevista dall’art. 2948 c.c., n. 8, che va peraltro fattualmente prefigurata e dimostrata in un contesto che – evidentemente – non può essere quello in cui non sia dato neppure sapere – come del caso – dell’esistenza di un procedimento penale, dei soggetti coinvolti e dei relativi capi di imputazione.
Una diversa interpretazione finirebbe per prorogare sine die il termine per la contabilizzazione a posteriori che eventi di penale rilevanza sono suscettibili di procrastinare nella misura in cui sottendano indagini e verifiche almeno iniziate nel previsto arco temporale.” (Cass. 19193/06)
[3] “La stessa giurisprudenza comunitaria ha avuto occasione di affermare – in tema di recupero a posteriori dei dazi doganali- che la sospensione della riscossione alla data di accettazione della dichiarazione doganale non influisce – una volta ripristinato il regime – sul calcolo dei dazi legalmente dovuti a tale data rispetto alla quale non opera la accordata sospensione (Corte di Giustiziai settembre 1998 C-413/96 Sportgoods). Né la norma dell’art. 2935 c.c. – quando stabilisce che la prescrizione incomincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere esercitato – potrebbe valere a spostare l’esigibilità al momento di riconoscimento di debenza dei dazi provvisoriamente non riscossi. Il principio actio nondum nata non prescribitur impedisce il corso della prescrizione solo al cospetto di ostacoli giuridici ad esercitare il diritto, non a fronte di impedimenti di fatto o ritardi nell’eliminare la situazione di incertezza che la stessa Amministrazione – tra l’altro – dà atto di aver risolto sin dal 3.3.1995 con la ricezione della comunicazione della Commissione CEE attestante che le carni bovine provenienti dalla Macedonia non potevano godere del regime agevolativo previsto dal Reg. 859/92 CEE.” (Cass. N.21227/06)”
[4] “Il motivo e’ fondato, anche se il principio di diritto va precisato nel senso che il termine di prescrizione dell’azione doganale viene prorogata a seguito della comunicazione di una “notitia criminis” che impedisca l’esatta quantificazione dei dazi, purché tale notizia intervenga nel termine triennale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 1973, articolo 84 (Cass. 8146/2003; 20513/2006).”
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